Maya: ottimi astronomi pessimi profeti

16 Dic 2012 0:02 - di Mauro Scacchi

Il 21 dicembre di ogni anno ricorre il solstizio d’inverno. Alla notte più lunga segue la rivincita della luce sulle tenebre: le ore diurne aumentano e il Sole trionfa. “Sol Invictus” lo chiamavano i romani. Quest’anno, però, il solstizio coincide con un’oscura profezia che in tempi come questi, pregni di difficoltà, ha trovato fertile terreno di propaganda: la profezia dei Maya.
Per l’antico popolo precolombiano in quella data fatidica il mondo cesserà di esistere. I Maya erano capaci di effettuare calcoli astronomici di una precisione incredibile. La loro vita era scandita secondo un calendario molto complesso formato dall’incastro di diversi sotto calendari, il quale riportava una data iniziale, il 13 agosto 3114 a.C., ed una finale, il 21 dicembre 2012.
Le fonti archeologiche più interessanti da cui trae origine la profezia Maya sono essenzialmente due: la stele numero sei di Tortuguero (Messico) scoperta negli anni Sessanta e alcuni geroglifici rinvenuti nell’aprile di quest’anno (la notizia è stata resa pubblica il 28 giugno) presso il sito de La Corona (Guatemala). L’11 maggio è stato fatto un altro ritrovamento che smentirebbe, in parte, la data finale: a Xultún, ancora in Guatemala, una equipe di archeologi di Boston (tra cui l’italiano Franco Rossi) ha potuto desumere, da alcune scritte murali, un posticipo di almeno 7mila anni rispetto al fatidico prossimo solstizio. Le fonti documentali si riferiscono principalmente a codici Maya risalenti all’epoca precoloniale tra cui il Codice di Dresda che, all’ultima pagina, descrive la fine del mondo attraverso terribili inondazioni.
Il Popol Vuh, o Libro della Comunità, redatto nella sua ultima versione nel XVI sec. d.C., afferma che le età del genere umano sono quattro e che, da un’età all’altra, la vita sulla Terra sarebbe progredita fino all’attuale età dell’oro in procinto di terminare. Tra un’età e l’altra, inoltre, cataclismi d’ogni genere spazzerebbero via le forme senzienti preesistenti. Il Chilam Balam di Chumayel, libro Maya scoperto nel 1860, riporta che alla fine giungerà Kukulkan, essere divino preposto a ricominciare daccapo l’intero ciclo.
Tutti questi elementi non potevano non attirare l’attenzione della corrente New Age dalla quale provengono i più tenaci assertori della teoria della fine del mondo, sia che si tratti di distruzione di massa, sia che si tratti di una fase di passaggio spirituale (il primo a divulgare questa teoria fu lo statunitense José Argüelles, prima nel ‘75 e poi nell’87 in occasione dell’Harmonic Convergence, un evento di meditazione globale collettiva). Negli anni si sono sviluppate due scuole di pensiero: i catastrofisti da un lato e, potremmo dire, gli “speranzosi” dall’altro, questi ultimi in attesa di un non ben definito risveglio della coscienza umana. Si sono susseguiti a ritmo frenetico pubblicazioni e convegni sul tema e non si può non menzionare il film di Roland Emmerich “2012: Doomsday”, uscito nel 2009 e interpretato da John Cusack. A dar sostegno ai Maya vi sono altre profezie, in primis quella di Malachia. San Malachia vescovo di Armagh scrisse 112 frasi brevi, una dedicata ad ogni Pontefice a partire da Celestino I (1143). L’ultimo Papa viene chiamato Petrus romanus preceduto da un certo De gloria olivae. Secondo certuni il penultimo Papa sarebbe l’attuale Benedetto XVI in quanto il suo nome richiama l’ordine dei monaci benedettini, detti “olivetani”. L’ultimo Pontefice potrebbe essere l’attuale cardinale camerlengo, Pietro Tarcisio Bertone, nato a Romano Canavese (Piemonte). Da un punto di vista astronomico il 21 dicembre avverranno due cose notevoli: la Terra terminerà un intero giro precessionale intorno al proprio asse ed il Sole sarà allineato con il centro della Via Lattea. Due eventi rari che capitano soltanto una volta ogni 26mila anni circa. Come che sia, ormai tanto gli scettici quanto gli ingenui più sfegatati attendono la data del 21 dicembre con una certa trepidazione, i primi per dileggiare successivamente i secondi. Ma, per tornare ai romani, in medio stat virtus: non aspettiamoci sicure catastrofi, che già se ne vedono ormai ogni giorno, ma non restiamo neppure con le mani in mano in perenne attendismo. Cerchiamo di cogliere ciò che di buono c’è nell’umanità e proviamo a svilupparlo, a dargli fiducia. Per far ciò, però, non serve attendere alcuna data, né tanto meno distruzioni apocalittiche o illuminazioni collettive. Basterebbe volerlo e il mondo diventerebbe un luogo più accogliente in cui vivere.

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