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«Un pilastro del cinema, passato dal fascismo all’antifascismo con un colpo secco». Siniscalchi racconta Luigi Chiarini

Il colloquio

«Un pilastro del cinema, passato dal fascismo all’antifascismo con un colpo secco». Siniscalchi racconta Luigi Chiarini

Nel libro dedicato all'«ultimo Titano della cultura cinematografica italiana» l'autore rivendica il dovere dello storico di raccontare i fatti per come sono andati, esplorando anche ciò che avvenne nella "zona grigia" di defeliciana memoria

Cultura - di Lorenzo Cafarchio - 14 Dicembre 2025 alle 07:00

Chiedimi chi era Luigi Chiarini. Lo abbiamo fatto e ci siamo seduti al tavolo di Claudio Siniscalchi. L’autore del volume L’ultimo Titano della cultura cinematografica italiana Luigi Chiarini 1900-1975 (216 pp.; 16,00€), pubblicato per i tipi di Eclettica, ha fotografato la vita e l’impatto sul mondo dietro e davanti alla cinepresa di una delle personalità più importanti del cinema italiano. «Ha avuto incarichi fondamentali. È stato il primo presidente del Centro sperimentale di cinematografia, fondato dal suo maestro Luigi Freddi, ha diretto il periodico Bianco e Nero, creato case editrici e fatto nascere riviste ed è stato, tra il 1963 e il 1968, direttore della Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia», ci dice appassionato Siniscalchi.

Il saggio su Luigi Chiarini: più di un libro, un viaggio in una generazione

Il suo non è solo un libro, ma un viaggio in quella generazione che è trasmigrata dal fascismo all’antifascismo senza soluzione di continuità. L’esempio lampante, con buona pace delle polemiche letterarie di questo tempo, che la rivoluzione dei Mussolini, dei Bottai, dei Gentile, dei Marinetti e dei Volpe (ci fermiamo qui perché le liste si fanno solo per la spesa) era intrisa di cultura. Di una cultura di primissima linea. La chiacchierata con l’autore entra nel vivo. «Chiarini è stato punto di riferimento, indiscutibile, del cinema. Ha chiuso con la Mostra di Venezia ed è lui che ha “inventato” il ruolo del direttore moderno. La sua direzione diceva: “Io sono il capo e i film, quindi, li scelgo io”. Pensiamo a esclusioni clamorose come Andrej Rublëv, del sovietico Andrej Tarkovskij, o a Gangster Story che i produttori americani non vollero concedere a Chiarini».

Siniscalchi: «Rappresenta la vicenda culturale italiana iniziando dal 1934»

L’autore con cui colloquiamo negli ultimi anni ha toccato il mondo della cultura da Pasolini a Marinetti, passando per Brasillach e Rebatet. Ma il suo lavoro è la pellicola – in carriera è stato storico del cinema e già docente di storia del cinema alla Lumsa – e il passaggio attraverso L’ultimo titano è un una prece che incontra la devozione. «Personaggio fondamentale dico. Rappresenta la vicenda culturale italiana iniziando nel 1934, divenendo funzionario della propaganda, per spegnersi agli albori del 1970. Parliamo di livelli stratosferici, non c’è un altro personaggio come lui nella cinematografia nostrana. È passato dal fascismo all’antifascismo senza meditazione. Un colpo secco. Quando casca il regime deve decidere se andare a Salò oppure nascondersi a Roma. Sceglie la Capitale e approccia la “zona grigia”, così definita da Renzo De Felice». Ovvero quell’area in cui sono finiti tutti quelli che hanno vissuto il ventennio, anche con incarichi di rilievo, per poi ritornare nella società civile e nella vita d’Italia dopo il 25 aprile 1945. «Nel 1948 l’ottica democristiana cerca di rimettere dentro la nomenclatura fascista, ma Chiarini capisce che il cinema va a sinistra, così – continua Siniscalchi – si avvicina prima ai comunisti e poi ai socialisti. Svolgendo sempre un lavoro di altissima qualità».

Quel “vuoto” nella biografia dell’ultimo titano

Però qualcosa non torna all’autore. Lo riflette all’interno della nostra conversazione: «Un passaggio il suo dal fascismo a quello che verrà dopo privo di spiegazioni. Quello che imputo all’uomo, a una personalità di così grande esperienza e con una così fervente passione fascista, è di non averci lasciato una biografia in cui spiegava il suo trasmigrare da Mussolini all’antifascismo. Questa è l’unica pecca. Pensate che nella contestazione del 1968, che travolse anche Venezia, i manifestanti tirarono fuori le foto di Chiarini con l’orbace».

Il dovere dello storico di raccontare i fatti per come sono andati

Siniscalchi ci tiene, come spesso ha fatto attraverso la scrittura – importante per capire i passaggi della sua produzione, il rapporto e il lavoro con De Felice – a sottolineare come «il fascismo – Chiarini in tal senso è stato uno degli esempi più lampanti – ha avuto una cultura altissima e moderna. Non dobbiamo mai dimenticarci che lo storico deve raccontare i fatti e i fatti sono andati così».

Il passaggio dal fascismo all’antifascismo e i marosi del ’68

Il testo è l’attraversamento della scatola nera dell’Italia novecentesca. Dove Chiarini sulle pagine della rivista Educazione fascista scrive che «l’arte è sempre preceduta dalla politica». Ma soprattutto «si avrà un’arte nuova, un’arte fascista soltanto quando gli artisti italiani saranno stati capaci di assimilare la nuova cultura, cultura che è azione, carattere, pensiero, fede». Per continuare a incidere anche alle soglie degli anni ‘70. Oltre trent’anni di Nazione che non è stata una, ma due, dieci anzi cento. Questo giornale, nei giorni della Mostra di Venezia del ‘68, scrisse che la colpa della farsa in cui si era trasformato l’evento cinematografico era di «Chiarini e di tutta la sinistra italiana responsabile del rovinoso fallimento che ha travolto la rassegna del Lido».

Così come fece Nino Tripodi che non gli ha perdonato, al riparo del fascismo, di essere «stato maestro di propaganda littoria attuata attraverso il cinematografo» per poi scegliere l’antifascismo. E senza pietà lo definisce come un fascista «nei vigili e accorti limiti della convenienza». Eppure siamo qui davanti a chi ha ammodernato l’Italia attraverso l’invenzione dei fratelli Lumière. Carmelo Bene, proprio in quel travagliato 1968, solidarizzò col “professore”. Arrivò a dire che gli stava simpatico «perché è arrogante e perentorio, perché decide da solo ignorando i regolamenti e le proteste, perché non ha paura di sbagliarsi». I suoi nemici? «Senza talento si servono del cinema per fare le prediche». Tutto il contrario rispetto alle sterili figure che affastellano il dibattito culturale odierno.

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di Lorenzo Cafarchio - 14 Dicembre 2025