Meriti e demeriti
Trump alla Nazione, 20 minuti per inchiodare Biden: “Ho ereditato un disastro e lo sto risolvendo”
“Ho chiesto pazienza”, ha detto il presidente, promettendo che il 2026 porterà «un boom economico come il mondo non ha mai visto prima», proprio nell’anno del 250esimo anniversario della fondazione degli Stati Uniti
Nessuna richiesta di indulgenza, nessun passo indietro. Donald Trump si è presentato alla Nazione scegliendo la linea dell’attacco frontale. Venti minuti, tono controllato ma fermo, un messaggio chiaro: ciò che oggi non funziona negli Stati Uniti ha un nome e un cognome, ed è quello del suo predecessore: Joe Biden.
Trump: «Ho ereditato un disastro»
«Undici mesi fa ho ereditato un disastro e lo sto risolvendo». È da questa frase che il presidente americano ha fatto partire il suo discorso, senza mai nominare sleeply Joe, ma chiamandolo costantemente in causa. Il carovita, l’energia, l’inflazione: tutto viene ricondotto a un’eredità democratica che Trump considera fallimentare.
Il presidente non ha parlato come un uomo sotto pressione. Ha parlato come chi rivendica il diritto politico e morale di distribuire responsabilità.
Economia: la linea di confine sui numeri
Il tycoon ha rivendicato una traiettoria positiva dell’economia americana. Ha sostenuto che i salari crescano più dell’inflazione e che «i prezzi stanno calando», citando il tacchino del Ringraziamento in calo del 33% e le uova dell’82% rispetto a marzo.
I fact-checker americani hanno contestato queste cifre, ma il punto politico del discorso non era la precisione statistica. Era il posizionamento. Trump ha scelto di entrare nel cuore del disagio quotidiano degli americani, terreno su cui i dem avevano recentemente costruito parte del loro consenso.
«Ho chiesto pazienza», ha detto, promettendo che il 2026 porterà «un boom economico come il mondo non ha mai visto prima», proprio nell’anno del 250esimo anniversario della fondazione degli Stati Uniti.
Il “dividendo del guerriero”
L’annuncio più concreto è stato quello del cosiddetto warrior dividend: un assegno da 1.776 dollari destinato a quasi un milione e mezzo di militari. «Gli assegni sono già stati spediti, arriveranno per Natale», ha assicurato Trump.
Il riferimento all’anno dell’Indipendenza non è casuale. È una scelta identitaria, che parla direttamente all’America in uniforme. Un messaggio lineare: lo Stato riconosce chi lo difende. La priorità dichiarata resta chi serve il Paese, non le élite che lo osservano da lontano.
Dazi, energia e la mossa venezuelana
Trump ha difeso ancora una volta i dazi, definendoli «la mia parola preferita». Ha sostenuto che abbiano già attirato 18.000 miliardi di investimenti. Ha poi annunciato il «blocco totale e completo» delle petroliere venezuelane, una decisione che rafforza la linea dura contro il regime di Nicolás Maduro e sposta l’attenzione su un fronte esterno.
Una scelta tutt’altro che casuale, mentre l’economia interna attraversa una fase di assestamento dopo lo shutdown.
Le tensioni interne e il fronte Maga
Il discorso arriva in un momento delicato anche sul piano interno. Un’intervista di Vanity Fair alla capo di gabinetto Susie Wiles ha portato alla luce frizioni e giudizi durissimi all’interno dell’amministrazione. Parole che la Casa Bianca ha tentato di ricomporre rapidamente, ma che restano sullo sfondo di una presidenza impegnata a rimettere la nave in rotta.
A questo si sommano le divisioni nella base Maga, alimentate dallo scandalo Epstein e dal malcontento per l’attenzione riservata ai grandi interessi della Silicon Valley.
La scommessa sulle midterm
Trump sa che il tempo è una variabile decisiva. Il discorso alla Nazione non è stato un rituale, ma una mossa strategica. L’obiettivo è chiaro: convincere gli americani che il peggio è alle spalle, che il nemico è tanto la Cina quanto il Venezuela e che i risultati arriveranno prima delle elezioni di midterm del novembre 2026.