Il caso
Luigi Mangione torna in tribunale per l’udienza preliminare: il killer di New York rischia la pena di morte
«Volevo ribellarmi contro il cartello letale delle assicurazioni sanitarie, guidato dall’avidità» scriveva il ragazzo sul manifesto ritrovato: ora la Corte valuta se quelle parole potranno pesare nel processo
A volte basta un dettaglio minimo per alterare il corso di un’indagine. Nel caso di Luigi Mangione — il 27enne italoamericano accusato dell’esecuzione dell’amministratore delegato di UnitedHealthCare, Brian Thompson — quel dettaglio sono state le sopracciglia. Folte, riconoscibilissime anche sopra la mascherina, hanno attirato l’attenzione di clienti e dipendenti di un McDonald’s di Altoona, in Pennsylvania, convinti di trovarsi davanti al presunto omicida ricercato a New York. Il particolare è riemerso ieri in udienza alla Corte Suprema di Manhattan, dove è stata riprodotta la chiamata al 911 che diede il via all’arresto.
Dalla chiamata al 911 al confronto in aula
È il direttore del fast-food a segnalare all’operatore le insistenze dei clienti: «Non è davvero un’emergenza, ma ho un cliente qui di cui altri clienti si sono insospettiti, perché sembra lo sparatore del CEO di New York». L’uomo, spiega, indossava «una giacca nera con una mascherina sanitaria e un berretto color sabbia calato sulla fronte» lasciando visibili soltanto «le sue sopracciglia». E aggiunge: «È in fondo alla nostra sala, vicino al bagno… Non so davvero cosa fare, ragazzi».
Pochi minuti dopo arrivano i primi agenti. Il video della sorveglianza — mostrato in aula nonostante le obiezioni della difesa — ritrae Mangione seduto a un tavolo mentre mangia un hash brown. Interagisce con i poliziotti continuando a portare il cibo alla bocca. Poi l’arrivo di altri agenti, la perquisizione, l’arresto.
Il fronte della difesa
Ieri Mangione si è presentato invece in tribunale con un completo grigio e una camicia a quadretti rossi. Secondo i suoi avvocati ha potuto scegliere tra «3 abiti, 3 camicie e tre pullover». L’obiettivo della difesa è chiaro: far dichiarare inammissibili le prime dichiarazioni rese agli agenti e soprattutto escludere dal fascicolo il contenuto dello zaino sequestrato al momento dell’arresto.
È proprio nello zaino, secondo l’accusa, che sarebbero stati trovati il «manifesto del killer», una pistola stampata in 3D, un silenziatore e alcune chiavette Usb. Nel taccuino Mangione avrebbe scritto di volere «ribellarsi contro il cartello letale delle assicurazioni sanitarie, guidato dall’avidità» colpendo «una compagnia che letteralmente estrae la vita umana per denaro». E in una lettera diretta all’Fbi avrebbe aggiunto: «Mi scuso per ogni trauma, ma bisognava farlo. Francamente questi parassiti se la sono cercata».
La difesa sostiene invece che la polizia non abbia letto i diritti all’imputato in tempi corretti e che la perquisizione sia stata eseguita prima dell’ottenimento del mandato. È su questi aspetti procedurali — decisivi per il processo statale in cui l’imputato rischia l’ergastolo — che si concentra l’udienza preliminare.
Migliaia di lettere una sola risposta
Accanto alle vicende giudiziarie si muove un fenomeno sociale inatteso. Mangione ha ricevuto migliaia di lettere da 54 Paesi e molte persone lo considerano un simbolo contro il sistema sanitario statunitense. Una sola risposta è stata autenticata dai suoi avvocati: a una madre di nome Karen, che denunciava le condizioni della figlia affetta da una malattia rara, Mangione ha scritto il 29 dicembre 2024: «La tua lettera è stata la prima che mi ha fatto piangere. Mi dispiace tanto per quello che tu e tua figlia avete dovuto subire senza senso».
Le donazioni per sostenere le spese legali hanno superato 1,34 milioni di dollari, con una media di venti dollari a persona e un contributo anonimo da 50 mila. Fuori dal tribunale, come ogni volta, si è formata una fila lunga e variegata: giovani donne, studenti, attivisti contro la pena capitale. Tra loro anche le “Mangionistas”, create da Abril Rios, che insieme ad Ashley ha passato due notti in tenda pur di assistere all’udienza.
La vicenda ha acceso anche il dibattito politico. Donald Trump aveva già definito il ragazzo «un assassino puro» e chi lo sostiene «un terrorista». Le reazioni sono contrastate: c’è chi lo crede innocente, chi colpevole ma animato da motivazioni condivisibili, e chi teme un processo imparziale impossibile, vista l’influenza del settore assicurativo.
Il nodo delle prove
Il cuore delle udienze preliminari resta la valutazione della correttezza delle procedure adottate la mattina dell’arresto. L’accusa ha chiamato in aula agenti ed esperti di videosorveglianza, mentre la difesa tenta di escludere l’ingresso delle prove chiave.