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L’idea di ambientalismo appartiene all’area conservatrice, non alla sinistra: tradizione contro utopia

La verità ecologica

L’idea di ambientalismo appartiene all’area conservatrice, non alla sinistra: tradizione contro utopia

Politica - di Marzia Mazzoni - 4 Dicembre 2025 alle 11:04

A Belém la COP30 si è conclusa con il consueto copione: dichiarazioni roboanti e nessun impegno vincolante. Stati Uniti assenti, fronte BRICS-arabo compatto nel bloccare qualsiasi roadmap sui fossili, Europa a portare la croce da sola con i suoi obiettivi del -90% al 2040 che nessun altro intende imitare.
Ma il problema è più profondo. Il problema è l’idea stessa di sostenibilità che la sinistra globale ha fatto propria: svuotata del suo senso originario, ridotta a slogan, brandita come arma contro l’industria, la crescita, la sovranità energetica. È una parola che ci hanno soffiato. E che va ripresa — non per nostalgia, ma perché la vera sostenibilità, quella che guarda alle generazioni future senza massacrare il presente, è sempre stata un’idea conservatrice.

Ecco perché l’ambientalismo è di destra: altro che sinistra ecologica

Nelle Riflessioni sulla Rivoluzione in Francia del 1790 — testo fondativo del conservatorismo moderno — Edmund Burke scrisse che la società non è un contratto commerciale da sciogliere a piacimento, ma “un patto non solo tra i viventi, ma tra i viventi, i morti e coloro che devono ancora nascere”. Ecco già tutta l’essenza della sostenibilità: non siamo proprietari del mondo, ma custodi temporanei. Abbiamo ereditato e dobbiamo trasmettere. Questa intuizione attraversa l’intero pensiero conservatore. Chesterton la chiamò “la democrazia dei morti”: il diritto di voto esteso a chi ci ha preceduto. Tolkien la incarnò negli Ent, custodi di foreste millenarie il cui motto è “non dobbiamo essere frettolosi” — creature che agiscono solo dopo aver ponderato le conseguenze per generazioni.

La sinistra ambientalista ha ribaltato tutto questo. Ha trasformato la sostenibilità in emergenza permanente, in panico climatico che giustifica qualsiasi forzatura. Ha sostituito la custodia paziente con l’urgenza rivoluzionaria, il giardiniere con l’attivista che imbratta i quadri. E il risultato? Un ambientalismo che smantella più di quanto protegga. L’industria europea sacrificata a una transizione che ingrassa Pechino. Posti di lavoro cancellati per tecnologie ancora acerbe. Il tessuto sociale fatto a pezzi in nome di un futuro che nessuno ha chiesto ai cittadini se vogliono.

L’Italia in prima linea per l’ambientalismo: la “Valutazione di Impatto Generazionale”

Intanto, mentre la narrazione internazionale resta inchiodata agli slogan, l’Italia ha fatto qualcosa di concreto. Il 29 ottobre 2025 la Camera ha approvato in via definitiva la legge 167/2025 che introduce la Valutazione di Impatto Generazionale — VIG. D’ora in poi, ogni atto normativo del governo dovrà essere accompagnato da un’analisi delle conseguenze sulle generazioni future: sui giovani di oggi e su quelli che nasceranno. L’Italia diventa così il primo Paese europeo a rendere obbligatoria la VIG a livello nazionale. Non una dichiarazione d’intenti, non un protocollo da dimenticare nel cassetto: una legge che l’ASviS ha definito un “traguardo storico”. L’Europa impone divieti e scadenze. L’Italia, per una volta, introduce metodo.

È conservatorismo applicato: il patto intergenerazionale tradotto in norma giuridica. Parma, che nel 2027 sarà Capitale Europea dei Giovani, l’aveva già sperimentata. Bologna, Milano, Vicenza, L’Aquila hanno seguito. Ora è sistema nazionale. Burke sarebbe soddisfatto. Ma la VIG, da sola, non basta. La vera sostenibilità conservatrice si declina in modi che la sinistra ignora. Prendiamo la demografia, che è la prima infrastruttura di una nazione. Senza figli non c’è futuro, punto. L’Italia ha uno dei tassi di natalità più bassi al mondo — 1,18 figli per donna nel 2024, il minimo storico dall’Unità — eppure la sinistra considera le politiche per la famiglia un residuo clericale. Il governo Meloni ha introdotto bonus e detrazioni. Non basta, certo. Ma almeno ha posto il problema. Chi parla di “generazioni future” e poi considera la natalità un non-tema sta prendendo in giro qualcuno.

L’Energia, la manifattura e la cultura: tre nodi da sciogliere

C’è poi la questione del debito. Ogni euro di debito pubblico è un’ipoteca sul futuro di chi oggi non può votare. Il Superbonus costerà quasi 130 miliardi. Centotrenta miliardi. La più grande rapina generazionale della storia repubblicana: soldi dei figli per le ristrutturazioni dei padri. Questa è giustizia intergenerazionale?
E che dire dell’industria? Emanuele Orsini, presidente di Confindustria, è stato chiaro all’Assemblea del settembre 2024: “La decarbonizzazione al prezzo della deindustrializzazione è una debacle”. Meloni ha annuito: “Risultati disastrosi di un approccio ideologico”. L’Europa sta smantellando la propria manifattura mentre la Cina costruisce. Chiamatela pure transizione verde. Io la chiamo resa.

Sull’energia il discorso è semplice: chi dipende da altri per l’energia, dipende da altri per tutto. L’ossessione per le rinnovabili intermittenti e la demonizzazione del nucleare ci hanno reso dipendenti prima dal gas russo, ora dai pannelli e dalle batterie cinesi. Una transizione che sostituisce una dipendenza con un’altra non è una transizione. Abbiamo cambiato fornitore, non destino. E infine la cultura, che poi è il cuore di tutto. Conservare non significa bloccare: significa innovare a partire da ciò che regge, non fare tabula rasa. I distretti italiani — la ceramica di Sassuolo, il tessile di Prato, la meccanica veneta — sono esempi di eccellenza costruita nei decenni e la sinistra green vorrebbe azzerare stili di vita, modelli di consumo, tradizioni produttive. Ma le rivoluzioni che disprezzano il passato finiscono sempre per divorare il presente.

La sostenibilità non appartiene a chi urla più forte

La sostenibilità non appartiene a chi la urla più forte. Appartiene a chi la pratica con la pazienza del giardiniere, non con la furia del rivoluzionario. A chi costruisce istituzioni invece di bloccare autostrade. A chi fa figli invece di rimproverare chi li fa. Ma soprattutto a chi difende l’industria che dà lavoro, invece di inseguire utopie che lo distruggono.
La tradizione del pensiero conservatore ha sempre saputo che il futuro si costruisce onorando il passato e rispettando il presente. L’Italia, con la VIG, ha iniziato a tradurre questa saggezza in legge. È una lezione che l’Europa delle COP e dei divieti farebbe bene ad ascoltare. “Non dobbiamo essere frettolosi”, ammoniva Barbalbero. Ma dobbiamo essere seri. E la serietà, oggi, è di destra.

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di Marzia Mazzoni - 4 Dicembre 2025