A volte ritornano
Kamala Harris ci riprova contro Trump e si affida a due grandi classici della sinistra: piagnisteo e supponenza
Il libro dell'ex vice di Biden "107" arriva in Italia e le anticipazioni sono tutte un programma: autoassoluzione e demonizzazione dell'avversario. Ma per sperare di aver qualche chance deve rivolgersi a chi non ricorda il suo mandato
A volte ritornano, o almeno ci provano. È il caso di Kamala Harris, che si è rifatta viva sulla scena statunitense con il libro 107, che in questi giorni è in uscita in Italia. Il volume racconta i 107 giorni, appunto, della sua campagna elettorale contro Donald Trump e ha il chiaro scopo di accreditarla come candidata in pectore anche per le prossime presidenziali. Partendo stavolta con il dovuto anticipo, che le è mancato – è la lamentela già sintetizzata nel titolo – la scorsa volta. Da qui in poi il libro si connota come una sorta di lunga autoassoluzione in cui Harris si presenta come vittima designata del cambio di candidatura in corsa, degli errori di Biden, di quelli dei democratici, come se dalle responsabilità di tutto ciò, benché vicepresidente in carica, fosse esclusa.
Kamala Harris ci riprova contro Trump e si veste da Cassandra
C’è poi la parte di attacco a Trump, che è quella che si legge, per esempio, in una anticipazione pubblicata da Repubblica. Dai dazi al rischio “fascismo”, nell’estratto al presidente sono rivolte accuse di ogni tipo, accompagnate da recriminazioni che sembrano accomunare la sinistra a ogni latitudine: ha vinto per poco, lo ha votato una parte minoritaria dell’elettorato e chi lo ha votato ha creduto alle sue promesse poi «non mantenute», scrive Harris. Ma lei, come una Cassandra dei nostri giorni, rivendica che «avevo previsto tutto questo. Avevo messo in guardia da tutto questo». E ora torna per dire al mondo, in sintesi, che “io l’avevo detto e peccato che non mi abbiate creduto, ma adesso potete farlo”.
Tra piagnisteo e demonizzazione dell’avversario
«Non resterò più seduta a Washington nella grandiosità dell’ufficio cerimoniale. Sarò con la gente, nelle città e nelle comunità dove potrò ascoltare le loro idee su come ricostruire la fiducia, l’empatia e un governo degno degli ideali di questo Paese», assicura Harris, indicando anche la sua platea di riferimento. «Al centro della mia visione per il futuro c’è la Gen Z. Il membro più giovane di quella generazione ha ora 13 anni, il più anziano 28. Tra cinque anni, i membri più giovani saranno in età di voto, i più vecchi potrebbero avere dei figli», scrive, aggiungendo che «la loro generazione è più numerosa di quella dei baby boomer. Dobbiamo investire su di loro».
La “mossa” di Kamala: rivolgersi a chi era troppo giovane per ricordarsi di lei alla Casa Bianca
Certo, lo si può leggere come un investimento sul futuro, ma anche come un tentativo disperato di rivolgersi a chi fra cinque anni non avrà una coscienza diretta di cosa siano state la sua presidenza e la sua disastrosa campagna elettorale, essendo stato troppo giovane quando si consumavano. Del resto, perfino il corrispondente da New York della certo non ostile Repubblica, Paolo Mastrolilli, in un breve commento che accompagna l’anticipazione di Harris, scrive che il tempo ristretto a disposizione dell’ex vicepresidente per cercare di confermare la presidenza ai dem «non basta a spiegare una sconfitta frutto di sbagli suoi, del presidente e del Partito democratico» e che «se il partito avesse tenuto le primarie, la candidata prescelta non sarebbe stata lei, perché aveva già fallito nel 2020 e aveva un bagaglio personale che la frenava».