Il punto
Imec è la grande rete dell’Europa. E l’Italia può davvero guidarla
L’India–Middle East–Europe Economic Corridor non è un’opzione: è la scelta inevitabile per evitare la marginalizzazione del Mediterraneo e restituire all’Europa una strategia globale
L’India–Middle East–Europe Economic Corridor, conosciuto come Imec, è un progetto internazionale che mira a creare una grande rotta infrastrutturale tra India, Medio Oriente ed Europa, attraverso collegamenti ferroviari, portuali, energetici e digitali. La vera domanda, tuttavia, non è che cosa possa offrire l’Imec, ma che cosa accadrebbe se il progetto non decollasse.
Il Summit di Trieste
La sua centralità è emersa con forza al summit di Trieste, dove istituzioni, diplomazie e imprese a livello internazionale hanno convenuto che l’Europa deve decidere rapidamente come posizionarsi in questa trasformazione globale. Come ricordato anche nell’articolo di Alice Carrazza pubblicato sul Secolo d’Italia, il summit ha mostrato che il dibattito sull’Imec è europeo e coinvolge attori internazionali consapevoli della posta in gioco.
Un segnale politico forte
A conferma di questa direzione, la partecipazione del Primo Ministro italiano, Giorgia Meloni, al Consiglio per la Cooperazione del Golfo (Gcc) della scorsa settimana ha rappresentato un passaggio storico: è stata la prima volta che l’Italia sedeva a quel tavolo, e al contempo il primo ritorno di un leader europeo dal 2016. Un segnale politico forte, che sancisce l’impegno italiano nel sistema di relazioni con il Golfo e rafforza la dimensione internazionale dell’Imec.
La recente guerra mediorientale ha messo sotto pressione il Canale di Suez, mostrando quanto sia fragile affidare l’intero traffico euro-asiatico a un unico punto di passaggio. Rallentamenti, deviazioni e rischi operativi hanno reso evidente che l’Europa non può più permettersi una dipendenza così unilaterale.
Che succede se non facciamo Imec
Gli scenari alternativi alla mancata realizzazione dell’Imec sono già visibili. Le rotte sud-africane potrebbero diventare la nuova direttrice dei traffici globali, lasciando il Mediterraneo ai margini. Le infrastrutture promosse da potenze che non condividono valori e interessi europei — Cina, Russia e altri attori asiatici — stanno avanzando rapidamente. Le rotte artiche, pur limitate da stagionalità e fondali bassissimi, aggiungono ulteriori elementi di competizione e incertezza.
L’Imec non è un’opzione, ma una necessità
È in questo contesto che appare evidente ciò che molti hanno ribadito anche a Trieste: l’Imec fa bene all’Europa, fa bene all’Italia e farà bene a Trieste. Di conseguenza, l’Imec non è un’opzione, ma una necessità strategica per l’Europa.
Immaginare un’autostrada
Per comprenderne davvero la portata, dobbiamo andare oltre l’idea del “corridoio”, un termine che riduce l’Imec a un tracciato rigido e vulnerabile. L’immagine corretta non è quella di una linea, ma di una grande autostrada veloce, una dorsale che parte dall’India, attraversa il Medio Oriente, entra nel Mediterraneo, raggiunge gli Stati Uniti e può estendersi fino al Giappone. È una struttura dinamica, capace di generare connessioni e non semplici passaggi.
Come ogni autostrada moderna, l’Imec funziona solo se dispone di numerosi bocchettoni di immissione: svincoli, accessi, nodi logistici distribuiti lungo il percorso. E questi punti non si ereditano: si conquistano, costruendo capacità, efficienza e attrattività. L’Italia deve prepararsi a essere non solo un tratto della dorsale, ma uno dei principali hub della rete.
Più l’Imec si ramifica, più diventa resiliente
La vera natura dell’Imec, però, è un’altra: non è una linea, è una rete. Al summit di Trieste sono state presentate mappe israeliane, turche, marocchine ed europee, tutte diverse tra loro. Sovrapponendole, si comprende ciò che conta davvero: più l’Imec si ramifica, più diventa resiliente.
Ed è qui che entra in gioco il Nord Africa. Un Imec che si innerva in Marocco, Algeria, Tunisia ed Egitto diventa più efficiente, più robusto e più sicuro, garantendo continuità anche in caso di crisi. Come nelle prime architetture di Internet, se un nodo cade, la rete continua a funzionare. Una rete estesa trasporta non solo merci, ma benessere, cultura, stabilità e valori sociali, contribuendo allo sviluppo e alla sicurezza dell’intero Mediterraneo.
Il ruolo dell’Italia
In tutto questo, l’Italia è chiamata a fare la sua parte. Trieste si è candidata con impegno a diventare uno dei principali snodi dell’Imec, forte della sua posizione geopolitica e della sua vocazione portuale. È la dimostrazione che l’Italia non vuole essere spettatrice, ma protagonista responsabile di una trasformazione che riguarda l’intero continente.
In questa visione, l’Imec si integra pienamente con il Piano Mattei, che rappresenta la proiezione euro-africana della strategia italiana: una piattaforma di cooperazione, sviluppo e sicurezza che si connette naturalmente alla rete indo-mediterranea.
Guidare questa nuova architettura
L’Europa deve quindi guidare questa nuova architettura. E l’Italia, per storia e posizione, è il partner strategico naturale dell’Imec: il Paese che può trasformare la visione europea in infrastruttura concreta, costruire gli svincoli migliori e riportare il Mediterraneo al centro delle rotte globali.
L’Imec non è un progetto contro qualcuno, ma un progetto a favore dell’Europa, con l’Italia al centro. Non coglierlo sarebbe un errore storico.