Ecr study days
Il multiculturalismo è sostenibile solo se rispetta l’identità di chi accoglie
Perché un equilibrio duraturo tra culture diverse richiede confini valoriali chiari, regole condivise e la consapevolezza di ciò che definisce la civiltà europea
La difesa dell’identità europea – che include il riconoscimento delle radici giudaico-cristiane – non è una chiusura: è il presupposto per stare nel mondo a testa alta, con apertura e con regole. Un’Europa consapevole di sé dialoga meglio, integra meglio, costruisce partnership più solide.
Le radici giudaico-cristiane dell’Europa
È a partire da questa premessa – identità chiara e radici giudaico-cristiane riconosciute – che il confronto di Roma acquista un senso politico immediato. Ieri a Roma si sono riuniti i Conservatori e riformisti europei del gruppo Ecr al parlamento europeo per discutere di radici giudaico-cristiane e valori conservatori. L’incontro, coordinato dalla vicepresidente del parlamento Ue Antonella Sberna, ha visto la partecipazione del Professor senatore Marcello Pera e di Monsignor Dario Viganò. È stato un momento di chiarezza politica: capire che cosa tiene insieme l’Europa quando tutto intorno spinge verso la frammentazione.
Riflessioni sulla responsabilità politica
Questo confronto mi ha portato ad alcune riflessioni personali, che vanno oltre la cronaca dell’incontro e chiamano in causa la responsabilità politica di chi oggi guida l’Europa. Massificazione e omologazione non facilitano la convivenza: producono vuoti. E i vuoti diventano terreno fertile per gli estremismi.
Le radici giudaico-cristiane come fondamento culturale
Le radici giudaico-cristiane non sono un’etichetta. Sono un fondamento culturale che ha inciso nelle istituzioni europee un’idea decisiva: la persona viene prima del potere, e il potere deve riconoscere un limite. Da qui discendono parole concrete: primato della legge, distinzione dei poteri, libertà di coscienza, pari dignità. Quando questa architettura regge, l’Europa è stabile e capace di integrare. Quando si indebolisce, emergono zone grigie: comunità parallele, ricatti, radicalizzazioni, insicurezza.
La metafora della piazza europea
A Roma ho potuto riproporre un’immagine di cui avevo sentito parlare dal professor Pera e che mi aveva molto colpito: la “piazza europea” con tre palazzi – potere civile, potere religioso, potere giudiziario – vicini ma distinti. Non è un esercizio teorico: è una lezione di governo. La fede può ispirare, ma non comandare. La politica governa, ma non impone verità. La giustizia giudica, e resta autonoma. È così che si difende la libertà: funzioni indipendenti, regole comuni, una sola legge nello spazio pubblico.
Islam, islamismo e integrazione
Questo punto è inseparabile dal tema dell’integrazione e dalla sfida dell’islamismo. Chi confonde Islam e islamismo alimenta l’ambiguità, e l’ambiguità è sempre un regalo agli estremisti. L’Islam è una religione, plurale e complessa. L’islamismo è un progetto politico-ideologico che usa la religione contro libertà, pluralismo e distinzione dei poteri.
Va ribadita una distinzione ulteriore: tra musulmani e islamisti. I primi sono credenti. I secondi sono militanti di un’ideologia che vuole trasformare la fede in potere. Confondere le persone con l’estremismo è ingiusto e controproducente. Significa indebolire chi, dentro quelle comunità, può essere il primo argine contro la radicalizzazione.
Tempi storici e rischi di politicizzazione
Le tre grandi religioni monoteiste non hanno alle spalle lo stesso tempo: ebraismo circa 30 secoli, cristianesimo circa 20 secoli, islam circa 15 secoli. Questa differenza non giustifica eccezioni alla legge comune. Ricorda però che i percorsi di elaborazione dottrinale e di rapporto tra fede e potere hanno tempi lunghi. In questo senso l’Islam, anche per la sua “giovinezza” storica, può presentarsi come una religione più “semplice” e meno stratificata sul piano istituzionale, e quindi più esposta a letture politiche aggressive: è qui che si inserisce l’islamismo.
Valori condivisi come terreno di dialogo
C’è un altro punto che va detto senza timidezze. L’Islam condivide con la tradizione giudaico-cristiana valori e riferimenti che possono essere un terreno di incontro: monoteismo, responsabilità morale della persona, centralità della famiglia e della comunità, dimensione etica della vita. Nella sua autodefinizione, l’Islam non si presenta come cancellazione, ma come continuità della linea abramitica. Riconosce ebraismo e cristianesimo come “religioni del Libro”. Questo non risolve automaticamente i problemi della convivenza, ma indica che lo spazio del dialogo esiste.
Dialogo e fermezza: una linea politica chiara
Per questo la linea deve essere netta e insieme intelligente: pazienza nel dialogo e fermezza nelle regole. Nessuna eccezione alla legge comune, uguale per tutti. Sostegno a chi vive la fede in modo compatibile con la convivenza europea. Isolamento di chi la trasforma in ideologia di dominio. La distinzione che conta è politica: rispetto per la fede, rifiuto dell’ideologia islamista, primato della legge civile.
Il ruolo dell’Italia nei rapporti con il mondo arabo
La presenza del Presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, al Consiglio di Cooperazione del Golfo è un segnale politico di prim’ordine. È un segnale di normalizzazione e rafforzamento dei rapporti con gli Stati arabi, in un formato che non vedeva leader europei dal 2016 e in cui l’Italia non era mai stata presente a quel livello. L’obiettivo è chiaro: sviluppo e stabilizzazione del Golfo come interesse europeo, perché quell’area è uno snodo del progetto Imec. Qui si innesta il Piano Mattei: un disegno di partenariato e normalizzazione dei rapporti con gli Stati del Nord Africa e, più in generale, con l’Africa, capace di trasformare stabilità e investimenti anche in controllo dei flussi, riducendo l’immigrazione clandestina e togliendo spazio ai trafficanti.
Politiche migratorie: due facce della stessa scelta
La lotta all’immigrazione clandestina e la costruzione di una migrazione regolata non sono due capitoli diversi. Sono due facce della stessa scelta di governo. La differenza la fa la chiarezza: regole certe, controlli efficaci, distinzione tra chi ha diritto e chi no. Rimpatri per chi non ha titolo, protezione delle frontiere esterne, cooperazione con i Paesi partner. E soprattutto un principio che dovrebbe essere ovvio ma che per troppo tempo è stato negato: l’integrazione funziona solo con reciprocità. Diritti e doveri. Accoglienza e rispetto pieno delle regole comuni.
Identità come condizione della libertà
Se non si capisce questo, si finisce nell’illusione più pericolosa: che la neutralizzazione dell’identità renda tutto più facile. In realtà rende tutto più difficile. Perché l’annullamento dell’identità produce vuoti. E i vuoti vengono riempiti: comunità parallele, radicalizzazione, ricatti, insicurezza. È così che una società aperta diventa una società vulnerabile.
Chiarezza, regole, libertà
Ecco il punto politico finale. Identità significa chiarezza. Chiarezza significa regole. Regole significa libertà.. E se vogliamo parlare con gli altri – Mediterraneo, Africa, Golfo, mondo arabo – dobbiamo farlo da una posizione di consapevolezza, non di complesso. L’Europa non deve chiedere scusa per la propria civiltà: deve difenderla. Perché solo così può essere rispettata, e solo così può integrare davvero.