Geopolitica
Il futuro dell’Occidente? Atreju celebra l’atlantismo del governo. Malan: “Il buon rapporto con gli Usa aiuta la Ue”
Dazi, Nato, Ucraina e crescita economica: nel confronto tra politica e analisi emerge il ruolo di Roma come cerniera strategica del rapporto transatlantico, tra dialogo con Washington e rilancio europeo
Il futuro dell’Occidente, oggi, passa anche da Roma. È questa la cornice entro cui si è mosso il panel di Atreju dedicato al dialogo transatlantico, con l’Italia indicata come possibile cerniera tra Stati Uniti ed Europa in una fase di profonda ridefinizione degli equilibri globali. Un confronto articolato, privo di toni celebrativi, segnato da letture differenti ma convergenti su un punto essenziale: la centralità del rapporto con Washington resta un dato strutturale, non contingente.
Malan: “l’Ue segue Giorgia Meloni”
Lucio Malan, capogruppo di Fratelli d’Italia al Senato, ha messo subito a fuoco il punto: «Noi non possiamo fare a meno dell’Europa – ha detto – togliere all’Europa prospettive internazionali sarebbe autolesionistico». I numeri, tuttavia, raccontano una dinamica che non può essere elusa: «L’Europa continentale negli ultimi 35 anni è scesa dal 25% al 14% del prodotto lordo mondiale. Gli Stati Uniti, nello stesso periodo, sono cresciuti». Una traiettoria che Malan attribuisce a «ipergolamentazione» e a «politiche autolesionistiche come il Green Deal».
Sul piano transatlantico, il capogruppo FdI ha rivendicato la linea del governo Meloni, «quella del dialogo con gli Stati Uniti, si è evitato uno scenario molto più duro sui dazi». E sui timori agitati dall’opposizione ha aggiunto: «I dazi al 15% non sono stati una tragedia. Le esportazioni sono salite».
Europa e Unione Europea, due piani distinti
Più radicale la riflessione di Gennaro Sangiuliano, che ha insistito su una distinzione netta: «Una cosa è l’Europa, un’altra è l’Unione europea». L’Europa come civiltà, ha spiegato, è «un grande valore comunitario» fondato sul diritto romano, sul cristianesimo e su una storia comune. L’Unione Europea, invece, è «una sovrastruttura burocratica» che in alcuni casi «ha tradito lo spirito fondante dei padri fondatori». Da qui l’allarme su una crisi dell’Occidente che è prima di tutto culturale: «Perdita di valori, perdita di identificamento, perdita del senso della storia». E un passaggio chiave: «Pensare a una entità Europa-Stati Uniti contrapposta è fuori dalla storia». In questo quadro, Sangiuliano ha definito Giorgia Meloni «una cerniera», ricordando l’attenzione costante della stampa francese verso il suo modello politico.
Il tempo lungo della politica estera
Federico Rampini ha invitato a guardare oltre l’immediato. «Tra dieci anni Trump non ci sarà più», ha osservato, richiamando l’instabilità strutturale del sistema politico americano e le incognite già aperte sulla successione. Proprio per questo, ha sostenuto, «mantenere l’Italia ancorata al rapporto transatlantico è inevitabile». Anche di fronte alle tensioni sulla Nato, «l’Italia deve mantenere il timone saldo anche se la tempesta scuote la nave».
Maria Luisa Rossi Hawkins ha ridimensionato lo “sbigottimento” suscitato dal documento strategico americano: «Dall’epoca di Kennedy gli Stati Uniti chiedono all’Europa di partecipare di più alle spese per la difesa». Cambia il tono, non la sostanza: «L’interesse americano non cambia, cambia il modus». Ha poi indicato due fattori critici per l’Europa: l’immigrazione «assorbita troppo e troppo velocemente» e la crisi interna del Partito democratico americano, segnato dall’avanzata di istanze socialiste difficilmente governabili.
Giovanna Pancheri è stata della stessa linea. Nulla di sorprendente, ha detto, nel linguaggio di Trump: «Nulla di nuovo sotto il sole». Ma il fatto che certe posizioni siano messe «nero su bianco» cambia il quadro.
L’interesse nazionale e il pragmatismo italiano
Giovanna Botteri ha riportato il dibattito su un piano di realismo politico: «La cosa importante è capire cosa conviene a noi, all’Italia». Ribandendo però la sua posizione: «L’Europa, pur imperfetta e iperburocratica, ha una potenzialità straordinaria», se riesce a dotarsi di una vera politica estera comune.
Economia, investimenti e Made in Italy
Sul versante economico, Simone Crolla, managing director dell’American Chamber in Italy, ha portato dati difficili da ignorare. «La stabilità italiana è un sistema abilitante del business». Le esportazioni verso gli Stati Uniti valgono circa 80 miliardi e, nonostante i dazi, sono cresciute del 7%. Ma soprattutto gli investimenti diretti: «Le imprese italiane negli Stati Uniti hanno uno stock che sfiora i 50 miliardi». Segno, ha sottolineato, di un Made in Italy industriale spesso sottovalutato.
Piero Armenti ha raccontato la percezione americana dell’Italia e dell’Europa dal punto di vista del mondo Maga: Meloni «è vista molto positivamente», ma l’Europa resta «un continente iper regolamentato» e «debole dal punto di vista militare». Una critica diffusa negli ambienti conservatori e libertari statunitensi.