Sovraffollamento
Il futuro delle carceri e la revisione del reato di tortura al consiglio nazionale del Sappe
Focus sul futuro della polizia penitenziaria e la revisione del reato di tortura al 38esimo Consiglio nazionale del Sappe che si conclude il 4 dicembre ad Abano Terme. Il segretario generale Donato Capece ha presentato la relazione introduttiva “Uno sguardo al futuro senza dimenticare il passato”, ripercorrendo la storia del sindacato. “Sovraffollamento, carenze di organico, aumento dei detenuti psichiatrici e tossicodipendenti, tensioni quotidiane, aggressioni e strutture fatiscenti hanno trasformato il lavoro in carcere in una battaglia quotidiana”, ha sottolineato il numero uno del Sappe.
Polizia penitenziaria e reato di tortura al tavolo del Consiglio del Sappe
“Le carceri minorili sono diventate veri e propri campi di battaglia. Le nostre colleghe e i nostri colleghi si trovano a lavorare in condizioni inaccettabili, tra detenuti disorientati e, a volte, fuori controllo. Spesso i baschi azzurri hanno in dotazione solo la loro pazienza e il loro coraggio. Chi opera nelle carceri lo sa. Oggi entrare in servizio significa varcare la soglia di un luogo dove il rischio è quotidiano e la solitudine è compagna di turno”.
Carceri minorili, veri e propri campi di battaglia
Un passaggio centrale è stato dedicato alla “fuga” dei giovani dal Corpo. Circa 500 agenti del 185esimo corso, riferisce il Sappe, “hanno lasciato la divisa in pochi mesi, segnale di un disagio che impone interventi urgenti sul piano delle tutele, della formazione e del riconoscimento economico”. Per questo il sindacato di polizia chiede “corsi di durata adeguata, organici almeno a 50.000 unità, una revisione del reato di tortura secondo la convenzione Onu. E l’introduzione di strumenti di difesa non letali per garantire sicurezza senza criminalizzare l’azione di servizio”.
Distinguere l’abuso dall’intervento legittimo
“Un elemento rilevante è anche il timore di commettere errori, di essere accusati o sottoposti a procedimento giudiziario nell’esercizio delle proprie funzioni. In tale contesto – dice ancora Capece – si inserisce il reato di tortura, disciplinato dall’articolo 613-bis del codice penale. La cui attuale formulazione solleva criticità dal punto di vista operativo – ha spiegato – La norma, considerata da molti operatori come vaga e ambigua, può generare incertezza applicativa e mettere a rischio chi svolge legittimamente il proprio ruolo di servizio”. Il Sappe considera prioritario promuovere una riformulazione del reato di tortura ispirata alla definizione della Convenzione Onu. Viene inoltre richiesto che venga adeguatamente distinto l’abuso dall’intervento legittimo, affinché lo Stato possa continuare a sostenere e proteggere il proprio personale senza ingiustificati rischi di imputazione.