Dopo il Louvre
Ennesima beffa dei ladri a Parigi: mega furto di porcellane all’Eliseo sotto gli occhi di Macron
La Francia in panne: dal maggiordomo infedele al buco di bilancio. Il furto diventa la metafora di uno Stato che non controlla più né i suoi beni né i suoi conti.
Parigi scopre di avere un problema doppio: i ladri girano indisturbati nei palazzi del potere e, intanto, lo Stato fatica a tenere insieme i propri conti. Da una parte, piatti di Sèvres che spariscono dall’Eliseo come cucchiaini dopo un caffè; dall’altra, un bilancio pubblico con l’acqua alla gola, che costringe il presidente Emmanuel Macron e il suo governo a navigare a vista. Due storie diverse, ma non troppo: entrambe parlano di controllo che manca, di inventari ignorati, di un sistema che si accorge dei guai solo quando il danno è ormai fatto.
Il sorvegliante indignato e la passione segreta
Il furto è di quelli che sembrano scritti da un romanziere d’altri tempi. Un sorvegliante del Louvre, Ghislain M., indignato paladino dell’ordine durante una riunione interna successiva proprio al clamoroso furto dei gioielli della Corona, tuona contro i dirigenti: «A un certo punto bisognerebbe scendere dai vostri uffici, non siete a contatto con le sale, non bisogna prenderci per degli imbecilli!». Applausi. Due mesi dopo, lo stesso sorvegliante viene trovato “con le mani nella marmellata”, immerso in un traffico di porcellane degno di un mercante d’arte ottocentesco.
Mentre vigilava sulle opere del Louvre, coltivava una passione-ossessione: le porcellane di Sèvres. Così raffinate da diventare una collezione privata di circa 500 pezzi, esposta con orgoglio al padiglione Enrico II di Villers-Cotterêts, tra tavole imbandite di «Sèvres reali e imperiali». «La mia passione è un omaggio a coloro che, nei laboratori della manifattura di Sèvres, hanno fatto risplendere l’eccellenza francese», spiegava con candore giusto due settimane fa. Peccato che parte di quell’eccellenza provenisse, secondo l’accusa, direttamente dai depositi dell’Eliseo.
Un furto da film, pezzo dopo pezzo
Il meccanismo era semplice e proprio per questo efficace. Un maître d’hôtel ed economo della presidenza, Thomas M., incaricato della gestione delle stoviglie ufficiali, avrebbe sottratto più di un centinaio di pezzi: piatti, tazze, servizi completi. Un furto progressivo, paziente. «All’inizio gli sono stati proposti pezzi che non avevano un grande valore, e non si è posto domande. Poi, man mano che la qualità saliva di livello, ha finito per sospettare qualcosa», sostiene l’avvocato di Ghislain M. su Le Figaro. «Non è un trafficante, ma è stato travolto dalla sua passione», esclama ancora il difensore.
Tutti hanno confessato. Tutti si sono impegnati a restituire il “maltolto”. Il processo è rinviato al 2026. Nel frattempo, resta una domanda imbarazzante: com’è possibile che per due anni nessuno si sia accorto che le porcellane ufficiali evaporavano, neanche Monsieur le président? Troppo impegnato con i volenterosi forse?
Dai piatti al deficit: quando il folclore diventa politica
Qui però il racconto smette di essere folclore e diventa politica. Perché lo stesso Stato che perde di vista i piatti perde oggi anche il controllo del bilancio. Macron osserva la scena con un problema ben più serio sul tavolo: la Francia rischia l’«esercizio provvisorio», una sorta di limbo contabile che congela il bilancio e lascia il deficit oltre il 5%. Il primo ministro Sébastien Lecornu prova a tamponare con una «legge finanziaria speciale», ma la sostanza non cambia: il disavanzo resta enorme, il debito vola al 117% del Pil, e il governatore della Banca centrale avverte che così si va verso un «deficit molto più alto del desiderato».
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