Ecco cosa non torna
Emanuela Orlandi, c’è un’indagata dopo 42 anni: chi è Laura Casagrande e perché i pm l’hanno messa nel mirino
Dalle versioni contrastanti sul 22 giugno 1983 alla telefonata dell’“americano”: perché la sua posizione è oggi centrale nell’inchiesta
«Non c’era né un’amicizia né una conoscenza molto approfondita, che forse stava nascendo nell’ultimo periodo. All’epoca ero una ragazzina di 14 anni, molto timida». Da queste parole, riemerge una delle pagine più oscure e irrisolte della storia italiana e vaticana. Un solo nome al centro: Laura Casagrande, oggi cinquantasettenne e formalmente indagata per false informazioni ai pubblici ministeri nell’ambito del procedimento sulla scomparsa di Emanuela Orlandi.
Chi era? Perché conosceva Emanuela Orlandi?
Nel 1983 Laura ha 14 anni. Frequenta il Pontificio Istituto di Musica Sacra “Tommaso da Victoria”, lo stesso dove studia Emanuela Orlandi. Le due ragazze si incrociano alle lezioni di canto. «Brevi scambi di saluti, qualche battuta, ma niente di ché», dirà anni dopo davanti alla Commissione parlamentare. Un rapporto sempre descritto come superficiale, mai una vera amicizia. È proprio questa marginalità dichiarata a incrinarsi quando le versioni iniziano a sovrapporsi.
Il 22 giugno 1983 Emanuela scompare. Casagrande racconta: «Il ricordo che ho impresso di quel giorno è che non venne alla lezione di coro. La aspettavo, perché era una delle ragazze con le quali avevo più legato». Poi l’incertezza: «Non la vidi arrivare o arrivò molto tardi, a lezione cominciata: questo ora mi sfugge». Infine la negazione: «Non uscimmo insieme, me ne sarei ricordata».
Agli atti, però, restano altre dichiarazioni, quelle fatte alla squadra Mobile e poi ai carabinieri. Due versioni diverse, rese a poca distanza di tempo. In una Laura afferma di aver visto Emanuela alla fermata dei bus 70 e 26. In un’altra racconta di averla osservata da lontano mentre si affrettava verso l’autobus, voltandosi più volte. Oggi, invece, il vuoto: «Rimango basita» e «mi sento mortificata, ma non ricordo».
I rilievi della Commissione parlamentare
È il presidente della Commissione bicamerale d’inchiesta, il senatore di Fratelli d’Italia Andrea De Priamo, a esplicitare i sospetti: «Fu una delle prime audizioni della Commissione e ci apparve molto contraddittoria, come se la audita volesse togliersi dalla scena». Gli accertamenti successivi portano ancora a ritenere che Casagrande «possa essere stata una delle ultimissime se non l’ultima persona ad aver visto Emanuela a Corso Rinascimento».
Per questo il suo nome era già stato inserito tra quelli da risentire. Oggi, dopo essere stata ascoltata come persona informata sui fatti, la Procura ha deciso l’iscrizione per false informazioni. Troppe le lacune, troppi i “non ricordo”.
L’8 luglio 83’ e la telefonata dell’“americano”
L’8 luglio 83’ segna un passaggio decisivo. Verso le quattro del pomeriggio il telefono di casa Casagrande squilla. Risponde la madre. Dall’altra parte della linea un uomo con un accento descritto come «tra l’arabo e il mediorientale». La dettatura è rapida, incalzante. Il messaggio è destinato all’Ansa. Laura prende appunti.
«Abbiamo prelevato la cittadina Emanuela Orlandi per la sua appartenenza allo Stato del Vaticano». Seguono l’ultimatum, il riferimento ad Ali Agca, la frase chiave: «la cittadina Orlandi attualmente non si trova in territorio italiano». È la voce che diventerà quella dell’“americano”.
Pochi giorni dopo Casagrande racconta l’episodio a Chi l’ha visto: «Il messaggio diceva che Emanuela era stata presa soltanto perché era cittadina vaticana e poi c’erano ancora 20 giorni di tempo prima che fosse uccisa». E aggiunge: «Mi chiedevo come mai avessero il mio numero».
La spiegazione arriva a fine estate: «Sicuramente, nel corso dell’anno scolastico le avrò dato il mio numero di telefono e l’indirizzo, scrivendoglielo, mi ricordo, su un foglietto di carta». Versione ribadita nel luglio 2024 davanti alla Commissione: «Da piccola avevo la passione dello scambio epistolare e le scrissi il mio numero, visto che stava finendo l’anno».
Il plico giallo e l’indirizzo scritto
Il 4 settembre 1983 un plico giallo viene ritrovato in un cestino di via Porta Angelica. All’interno c’è la fotocopia del frontespizio di un album con 40 esercizi per flauto di Luigi Hugues, lo spartito che Emanuela aveva con sé il giorno della scomparsa. Sulla copertina sono annotati l’indirizzo di Laura Casagrande in via degli Scaligeri e il numero di telefono di casa. Sul foglio compaiono anche i nomi di altre due amiche.
Secondo un’ipotesi investigativa, potrebbe trattarsi di un messaggio rivolto proprio a loro: un invito al silenzio su eventuali confidenze. «Questa iscrizione è importante», osserva l’avvocato Laura Sgrò, che assiste la famiglia Orlandi, insieme «al lavoro del pm Luciani sulle contraddizioni emerse in tutti questi anni tra le diverse versioni fornite da Casagrande».
Memorie a confronto
Oggi la donna sostiene: «Non ricordo di aver visto Orlandi, non ricordo nulla della mia deposizione, ho il vuoto totale. Ricordo il fatto che era arrivata tardi quel giorno a lezione, è l’unica immagine che ho conservato». Ma un’amica delle due ragazze afferma che Casagrande si sarebbe avvicinata a Emanuela su Corso Rinascimento, poco prima che salisse sull’autobus.
Storie opposte. Una sola verità.
A quarantadue anni dalla scomparsa non c’è ancora una svolta definitiva. Ma c’è un dato nuovo: un’indagata. E il suo ruolo, mai chiarito, è diventato centrale in un intrigo senza fine. «Mi sono sempre chiesta come abbia fatto a fidarsi di andare via con qualcuno», ha detto Casagrande ricordando Emanuela. «Poteva capitare anche a me».
È una domanda che resta sospesa, come molte altre. E che oggi non riguarda più soltanto la memoria, ma la responsabilità di chi quella memoria l’ha raccontata, negli anni, in modo diverso.