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Un’immagine di repertorio e la locandina di annuncio di “Cloud dancer” come colore dell’anno, che spiega: “Calma la mente e fornisce una tela bianca su cui creare”

Deliri woke

Chi ha paura del bianco? Pantone lo sceglie come colore dell’anno ed è subito allarme “suprematismo”

La scelta del "Cloud Dancer" ha scatenato una fantasiosa caccia alle streghe in cui il bianco non evoca più purezza, luce e pulizia ma un retaggio colonialista da combattere con ogni mezzo, anche a costo di coprirsi di ridicolo

Politica - di Dalila Di Dio - 14 Dicembre 2025 alle 07:00

Cloud Dancer 11-4201: no, non si tratta della sigla di una pericolosa arma chimica di ultima generazione, né del nome in codice di una sanguinaria organizzazione criminale. È solo l’ultimo nemico giurato dei progressisti: il bianco nuvola, scelto da Pantone come colore dell’anno 2026. È bastato che l’azienda statunitense, madre del celebre e omonimo sistema di classificazione dei colori, comunicasse che la scelta era caduta su una morbida declinazione di bianco, per scatenare le ire del mondo woke: una scelta poco sensibile al clima culturale attuale, soprattutto negli Stati Uniti, sostengono.

Dal bianco alla “bianchezza” è un attimo

Grande «miopia culturale», denunciano i detrattori, secondo cui il bianco non sarebbe, come nelle intenzioni di Pantone, un colore neutro ma un’esaltazione della bianchezza con tutti i privilegi e le sopraffazioni che essa porterebbe con sé. Una scelta «avulsa dal presente», secondo Vogue, in un periodo in cui negli Usa si starebbe affermando una deriva suprematista. Effettivamente, in un tempo in cui si costruiscono carriere politiche sull’idea che si debba «smantellare la bianchezza», quello di Pantone sembra quasi un atto rivoluzionario.

La scelta di Pantone era un invito alla ripartenza

Sebbene Pantone abbia spiegato come il bianco sia stato scelto per la sua capacità di azzerare e come invito a ricominciare e che la selezione non ha alcuna connotazione sociale o politica, nei circuiti culturali intrisi di woke e in cui ogni giorno si è impegnati in una nuova, fantasiosa caccia alle streghe, il bianco non evoca più purezza, luce e pulizia ma un colonialismo da combattere con ogni mezzo, anche a costo di coprirsi di ridicolo.

Il derby tra bianco e marrone nei deliri del mondo woke

Secondo i nemici giurati del bianco nuvola, la scelta sarebbe stata dettata addirittura dalla volontà di cancellare il marrone scelto per il 2025, cui evidentemente il mondo woke aveva attribuito un significato politico molto ben gradito. Insomma, c’è suprematismo e suprematismo, nella migliore tradizione della sinistra.

L’idea che un team di esperti provenienti da ogni settore – dalle arti, ma anche dalla scienza e dalla tecnologia – definiti addirittura «antropologi del colore» si sia riunito per partorire una scelta di ispirazione suprematista e colonialista, d’altronde, può albergare solo in menti totalmente intrise di ideologia e da cui il pensiero critico è stato totalmente estirpato: le menti degli stessi che credono che chi ha la pelle bianca, in quanto portatore di un privilegio atavico, debba scusarsi costantemente per il solo fatto di esistere e magari debba vivere espiando le colpe di una sorta di peccato originale.

La punta di un iceberg ideologico

L’attacco al presunto suprematismo di Pantone suscita ilarità ma non deve essere ridotto a semplice bizzarria woke: è la punta di un iceberg ideologico che ha costruito sulla supposta esistenza di un privilegio bianco la pretesa di introdurre nell’ordinamento quote per le minoranze che, vendute come mezzo per integrare e includere, sono divenute vere e proprie sacche di privilegio, con buona pace delle capacità e dei meriti.

Le “affirmative actions” da strumento necessario a clava politica

Se negli anni in cui sono state pensate negli Usa, infatti, le affirmative actions avevano un senso ed erano pure necessarie – la segregazione razziale negli Usa è stata abolita a metà degli anni 60 – oggi, in una società multietnica, fluida e globalizzata non fanno che alimentare un sistema distorto. E il paradosso è che ci sia una parte politica che scimmiottando quello che accade oltreoceano, tra inginocchiamenti e pugni alzati al cielo, tenti di importare anche in Europa la questione del privilegio bianco che già sul finire del secolo scorso sembrava tramontata anche negli Stati Uniti.

Dopo un periodo di pacificazione sociale, infatti, lo scontro in America è riesploso per mano di movimenti come Black lives matter, che, tra violenze e sopraffazioni hanno fatto tornare in auge la questione del white privilege: arma politica contro il temibile Donald Trump da un lato, e vera e propria leva per rilanciare le affermative action dall’altro. Nate quando erano veramente necessarie, le politiche di integrazione sono finite, oggi, per costituire vere e proprie corsie preferenziali per le minoranze, in danno dei pericolosi cittadini bianchi che meritano di essere scavalcati in quanto colpevoli di colonialismo ereditario.

Il passo indietro degli Usa: c’era Biden, non Trump

Nel pieno della presidenza Biden però, il 29 giugno 2023, la Corte Suprema degli Stati Uniti ha pubblicato un parere sul caso “Students for Fair Admissions, Inc. v. President & Fellows of Harvard College”, sancendo che i programmi di ammissione dello Harvard College e dell’Università della North Carolina – in cui la razza di un candidato poteva essere un fattore a favore o contro l’ammissione del candidato stesso – sono contrari alla “equal protection clause” del XIV emendamento e quindi incostituzionali. Una decisione fortemente criticata ma che ha riportato il merito al centro delle decisioni sulle ammissioni negli atenei americani, cancellando quella che era divenuta a tutti gli effetti una discriminazione al contrario.

A chi giova scagliarsi contro la tonalità più in voga per cappottini e suppellettili?

Il tutto mentre in Europa si accusano di razzismo governi che vogliono solo proteggere i propri confini, si impone un modello di integrazione impossibile da realizzare e al contempo pericoloso e dannoso, si tenta di imporre una convivenza basata sulla progressiva rinuncia dei cittadini alle loro tradizioni, alle loro identità, alla loro cultura, tutto per non urtare la sensibilità dello straniero nei confronti del quale, anche noi, avremmo un peccato originale da espiare. Non sorprende, dunque, che tutto, anche il colore scelto per i cappottini e le suppellettili più in voga nel 2026, diventi il pretesto per la solita ridicola indignazione a orologeria. E allora, tra una risata e l’altra, sarebbe bene che ci domandassimo «cui prodest?».

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di Dalila Di Dio - 14 Dicembre 2025