Contro le minimizzazioni
Askatasuna, l’ex pm di Torino Rinaudo: «Vogliono dichiarare guerra allo Stato e a questo governo che ha riportato la legalità»
Il magistrato, che contestò il reato di terrorismo, avverte: «In quell’edificio si pianifica l’assalto alle istituzioni. Questo gruppo si muove e opera con metodi propri delle organizzazioni che hanno una preparazione tipica della guerriglia urbana»
«C’è voglia di dichiarare guerra allo Stato, mi pare evidente». È da questa constatazione, netta e priva di ambiguità, che Antonio Rinaudo fa partire la sua analisi su quanto sta accadendo a Torino, città in cui è stato pubblico ministero. Per anni in prima linea contro l’eversione antagonista, Rinaudo osserva gli assalti di Askatasuna e le tensioni di queste settimane non come episodi isolati, ma come l’ennesima manifestazione di una strategia consolidata, che ha nella sfida alle istituzioni il proprio orizzonte politico. «Ciò che Askatasuna sta dicendo con le proteste a seguito dello sgombero del palazzo che occupa illegalmente e con l’annuncio di ulteriori cortei, è una sfida allo Stato e a questo governo in particolare, che ha deciso di ripristinare la legalità», aggiunge l’ex pm di Torino.
Il centro sociale come luogo di regia
Askatasuna, secondo Rinaudo, non è un semplice centro sociale, ma un luogo di regia. «In quell’edificio si pianifica l’assalto alle istituzioni», afferma, in un’intervista a Libero, senza attenuanti. Una struttura che, nel tempo, ha beneficiato di una sorta di immunità politica, nonostante sequestri preventivi e provvedimenti giudiziari.
Il nodo, per l’ex pm, è anche amministrativo: un immobile pubblico occupato illegalmente, con costi che ricadono sui cittadini. «Un danno erariale sul quale mi domando perché la Corte dei Conti non intervenga».
Le minacce e gli occhi chiusi a sinistra
Rinaudo parla con cognizione di causa. Le minacce ricevute negli anni – lettere con proiettili, polvere da sparo, plichi esplosivi intercettati in tribunale – non appartengono al folklore dell’estremismo. Sono, al contrario, il segno concreto di un odio organizzato.
Eppure, in piazza, esponenti del Comune, sindacalisti e parlamentari della sinistra radicale sono disposti a chiudere un occhio o addirittura sostenere le violenze. E quello del magistrato, non è stupore ma amarezza. Soprattutto di fronte alle parole del segretario regionale della Cgil, Giorgio Airaudo, secondo cui «non sono i muri a creare tensione».
La replica al contrario è ancorata invece ai fatti: «Questo gruppo si muove e opera con metodi propri delle organizzazioni che hanno una preparazione tipica della guerriglia urbana». E richiama episodi che segnano un confine invalicabile, come l’assalto al Palazzo di Città il Primo Maggio, con bandiere No Tav sul balcone d’onore e una scala lanciata contro gli agenti.
Qui la critica diventa anche culturale. Minimizzare, per Rinaudo, significa non voler vedere. «Dire “siamo a favore dello sgombero del centro sociale” sarebbe come dare ragione al governo Meloni, sarebbe un placet politico all’azione dell’esecutivo di centrodestra. E questo per sinistra e Cgil è inconcepibile», osserva, spiegando perché una parte della sinistra preferisca rifugiarsi in «parole di facciata prive di significato» piuttosto che riconoscere «la verità oggettiva». Una verità che, dal suo punto di vista, è chiara: «Askatasuna è un’organizzazione preordinata a compiere azioni illecite». L’immobile è solo un mezzo; il fine resta lo scontro.
Organizzazione, risorse e finanziamenti
Ma c’è di più: necessita risorse. «Sicuramente ci sono delle fonti di sovvenzionamento clandestino che arrivano ai leader», sostiene Rinaudo, aggiungendo che parte dei fondi deriva anche da reati contro il patrimonio. Un flusso, secondo le indagini, ha alimentato una macchina organizzativa tutt’altro che spontanea, capace di pianificare gli attacchi, addestrare al corpo a corpo, dotarsi di protezioni contro gli idranti e ricorrere sistematicamente a pietre e oggetti contundenti.
Askatasuna e No Tav: ruoli diversi
Nel mosaico dell’antagonismo torinese, l’ex pm chiarisce un equivoco diffuso: Askatasuna e No Tav non sono sullo stesso piano. «Aska è sia la mente che il braccio delle azioni di piazza, i No-Tav sono manovalanza». Senza quella regia, sostiene, il movimento della Val di Susa non avrebbe avuto la forza di reggere l’urto con lo Stato. E ricorda un episodio emblematico del 2011, l’assalto al cantiere di Chiomonte e il sequestro di un maresciallo dei carabinieri: la mediazione non passò dai leader storici della valle, ma dal capo di allora di Askatasuna.
Il nodo del terrorismo e il ricambio generazionale
Rinaudo non rinnega neppure la scelta, poi rigettata dai giudici, di contestare il terrorismo nel 2013. All’epoca i giudici ritennero che mancasse il “grave danno” allo Stato. «Per me gli estremi c’erano e lo ribadirei anche oggi», dice, lasciando intendere che il tempo potrebbe imporre una rilettura di quella decisione.
Oggi il volto dell’antagonismo è più giovane: passa dalle università, arriva ai licei, si intreccia con nuove cause, dalla galassia pro-Pal al nascente No Ponte. Cambiano i temi, non i metodi. Ed è qui che Rinaudo traccia l’ultima linea di confine: «La libera manifestazione di dissenso mi starebbe benissimo, è democrazia. Ma quando ci sono tali metodiche di guerriglia non è più democrazia». La ricetta finale è tanto semplice quanto scomoda: «Non cedere e continuare su questa strada».