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Magistrati a favore della riforma della giustizia: Cesare Mirabelli, Antonio Di Pietro, Luigi Bobbio, Sabino Cassese

Verso il referendum

C’è chi dice sì anche in pubblico: le toghe che sono a favore della riforma della giustizia

Da Di Pietro a Bobbio, da Mirabelli a Cassese, voci autorevoli della magistratura spiegano perché separazione delle carriere e Csm a sorteggio vanno salutati con favore. E qualcuno si schiera apertamente sul voto

Politica - di Sveva Ferri - 3 Novembre 2025 alle 19:14

«Molti» ammettono di essere d’accordo con la separazione delle carriere solo «in privato», come ha spiegato il ministro della Giustizia, Carlo Nordio. Ma anche nel gran coro di magistrati ed ex magistrati che si esprimo in pubblico contro la riforma della Giustizia, si distingue qualche voce che dice apertamente di condividere la riforma. E sono voci autorevoli, alcune delle quali neanche la più fervida immaginazione dietrologica potrebbe tacciare di simpatie per il governo.

Di Pietro per il sì al referendum: «La separazione delle carriere serve ai cittadini»

Fra quanti hanno chiarito che voteranno sì si colloca Antonio Di Pietro. «La separazione delle carriere non è una vendetta: serve ai cittadini. E poi: il referendum è l’istituto più democratico che esista e gli italiani dovrebbero farne tesoro, per decidere quale Costituzione vogliono», ha detto Di Pietro in un’intervista al Corriere della Sera di qualche giorno fa, ricordando che «questo referendum è il completamento di un percorso iniziato nell’89, voluto da Vassalli e Pisapia». Quanto al sorteggio per il Csm, l’ex pm di Mani pulite ha chiarito che «non si potrà più fare la comunella alla Palamara e, soprattutto, finirà una situazione impropria. Con l’istituzione dell’Alta Corte disciplinare, eventuali errori dei magistrati saranno giudicati da un organo davvero terzo, e non da quello di un Csm governato dalle correnti».

Lo sfogo in diretta tv: «Vogliamo avere il coraggio di dire che un po’ di autocritica i magistrati devono farla?»

Ma, ospite di In Onda su La7, Di Pietro ha fatto anche di più: «Ma vogliamo avere il coraggio, l’umiltà, la responsabilità di dire – ha chiesto – che un po’ di autocritica i magistrati devono farla? O pensate davvero che tutti i magistrati abbiano fatto tutti il loro dovere in questi anni? O non è vero, forse, che dal ruolo del magistrato, che è quello di cercare chi ha commesso un reato, si è passato molto spesso al ruolo del magistrato per vedere se qualcuno ha commesso un reato. E in questo modo, credetemi, molte persone innocenti, sì, vengono poi prosciolte o assolte, ma intanto dal punto di vista comunicativo, vengono distrutte. E lo dico perché ho messo tante giacchette».

Bobbio: «La magistratura teme il sorteggio, che azzera il potere di controllo e degli agganci»

Estrazione diversa (è stato parlamentare di An), ma considerazioni simili per il magistrato Luigi Bobbio, che è fra i promotori del Comitato “SìSepara”, costituito dalla Fondazione Luigi Einaudi. «Non v’è dubbio che la magistratura tema sommamente il sorteggio. Lo temono i capi corrente perché azzera il più potente fattore di controllo interno e non solo di opinione del corpo giudiziario, e questo perché il metodo elettivo rafforza lo spirito politico e di casta. Ma lo temono anche i magistrati nel loro complesso perché, con il sorteggio, ciascuno va a perdere i propri agganci personali all’interno del Csm guadagnati con il voto e la campagna elettorale a favore degli eletti», ha detto in un’intervista a Libero, che per spiegare poi la necessità della separazione delle carriere ha usato una metafora legata alla famiglia.

La metafora dei fratelli per spiegare la necessità della separazione delle carriere

«Pm e giudici – ha detto – oggi sono due fratelli, nati dalla stessa madre e cresciuti nella stessa casa. Certo, due fratelli, in concreto, possono anche trovarsi in disaccordo su singoli episodi della vita (si pensi ai casi in cui le richieste del pm vengono rigettate dal giudice) ma sono casi che non incidono sulla fratellanza. Continuano a condividere la stessa educazione, la stessa visione delle cose, il reciproco senso di “famiglia”. Sono e restano fratelli anche agli occhi del mondo. Questo legame, questa identità di genere va spezzata e la separazione rappresenta il mezzo necessario, il solo utile. Del resto, autonomia e indipendenza, sia del pm che dei giudici, sono mantenute e riaffermate con forza nel testo dello stesso articolo 104 della Costituzione».

Mirabelli accende il faro sui contenuti

Ha affidato il suo pensiero a La Stampa l’ex presidente della Corte costituzionale, Cesare Mirabelli, chiarendo di essere più interessato ai contenuto che al toto-risultato del referendum, anche perché pure in caso di vittoria del no «si apre comunque l’opportunità di intervenire su alcuni nodi critici». Per Mirabelli «l’obiettivo è assicurare, anche dal punto di vista ordinamentale, in maniera netta e forte, la diversità di funzioni tra giudice e pubblico ministero. E assicurare l’assoluta terzietà del giudice». Per quanto riguarda il Csm, poi, «bisogna assicurarne un funzionamento libero, anche se il termine è forte e forse improprio, dall’incidenza e dal condizionamento delle correnti». «Se la legge verrà approvata, si valuterà l’applicazione e i limiti del sorteggio. In caso contrario, è comunque opportuna una riscrittura della legge elettorale. Il Csm dev’essere organo di garanzia e non di rappresentanza», ha aggiunto, sottolineando che ci deve essere «una garanzia del Csm per la carriera e non un dominio sulla carriera».

Il pm sottomesso al potere dell’esecutivo? «Non si può ritenere che sia quello il cammino»

Mirabelli non ha dichiarato apertamente se si esprimerà per il sì o per il no, ma a una domanda diretta sul tema, con particolare riferimento proprio al sorteggio, ha risposto che «è una soluzione diretta a rompere il dominio delle correnti sui sistemi elettorali. Mi chiedo se ci possano essere dei temperamenti al sorteggio, che la legge potrebbe prevedere, o modalità elettorali che raggiungano lo stesso obiettivo». «Teme che il pubblico ministero finisca sotto il potere dell’esecutivo?», ha poi chiesto Irene Famà, che firma l’intervista. «La Costituzione attuale – ha risposto Mirabelli – afferma che il pubblico ministero ha le stesse garanzie della magistratura giudicante. E in questo non verrà modificata». E «in futuro?». «Non si può ritenere che quello sia il cammino», è stata la replica.

Cassese: «Questa riforma è quasi un atto dovuto»

Nota ormai da molto tempo, infine, la posizione del già giudice della Corte costituzionale e ministro del governo Ciampi, Sabino Cassese. Anche lui ha ricordato che la legge approvata dal Parlamento è la conclusione della riforma avviata da Vassalli, avvertendo che dunque la riforma su cui si voterà al referendum «è una decisione quasi obbligata, quasi un atto dovuto, maturata a lungo nella cultura giuridica italiana per assicurare ai cittadini la massima garanzia di imparzialità del giudice, nel rapporto trilaterale accusa- difesa- giudizio». Inoltre, «rappresenta l’attuazione di un principio fissato dalla Costituzione e attribuisce al corpo dei pubblici ministeri, che verrebbe separato da quello dei magistrati giudicanti, le stesse garanzie che ha oggi l’intero corpo della magistratura. Quindi le norme sono conformi alla Costituzione».

L’avvertimento sui rischi di una politicizzazione del referendum

Quanto alla campagna referendaria Cassese, come già fatto da Nordio, ha messo in guardia dalla politicizzazione, perché farlo diventare un referendum pro o contro il governo creerebbe una sovrapposizione impropria (e contraria alla Costituzione) tra i meccanismi della «democrazia rappresentativa, quella che si realizza quando si eleggono i parlamentari, e una democrazia deliberativa, che si realizza con il referendum». In questo modo «la democrazia diretta finisce per diventare una nuova forma di democrazia rappresentativa. In secondo luogo, il referendum inteso come voto rivolto al governo tradisce la domanda che viene posta (“approvate voi il testo della legge costituzionale già approvato dal Parlamento e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale”?) perché quello che è sottoposto al referendum non è un atto del governo, ma un atto del Parlamento».

 

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di Sveva Ferri - 3 Novembre 2025