Salvataggi e/o disubbidienze
Migranti, dopo l’entrata in porto forzata in Sicilia (e non a Livorno) scatta il fermo per Mediterranea. E parte il piagnisteo della Ong
Scattano le sanzioni di legge dopo la violazione del Decreto Piantedosi fatte ignorando le disposizioni del Viminale che indicavano nel porto sicuro in Toscana assegnato la meta ultima da raggiungere. E prende il via la solita lamentela che ripertica ad hoc le immancabili (pretestuose) accuse
Non c’è pace per il Mar Mediterraneo. E non c’è tregua per il governo. Come non c’è fine al piagnisteo delle Ong che scatta regolarmente a ogni ovvia e conseguenziale risposta di legge all’ennesimo atto di disobbedienza. L’ultima puntata della saga “salvataggi & disubbidienze”, allora, vede protagonista la nave Mediterranea, bloccata – come di dovere giuridico e amministrativo – a Porto Empedocle. Il motivo? Una cristallina violazione del decreto del governo e delle indicazioni assegnate dal Viminale.
Come noto infatti, invece di navigare diligentemente verso Livorno, il porto sicuro assegnato dal ministero dell’Interno per lo sbarco dei 92 migranti a bordo, la Ong ha optato per la forzatura e lo sbarco di default alla banchina di Porto Empedocle in Sicilia. E come ogni volta che la musica cambia, e le regole vengono applicate, scatta immediato il solito, “struggente” piagnisteo degli attivisti.
Migranti, dopo l’approdo disobbediente in Sicilia, scatta il fermo per Mediterranea
Scatta il fermo per Mediterranea, la nave dell’omonima Ong che martedì scorso ha sbarcato a Porto Empedocle 92 migranti, tra cui 31 minori non accompagnati, soccorsi nei giorni precedenti in diverse operazioni nel Mediterraneo centrale. A renderlo noto è la stessa Mediterranea, spiegando che la scorsa notte «su mandato del ministero dell’Interno, la Polizia di Stato e la Capitaneria di Porto Empedocle hanno notificato al comandante e all’armatore il verbale che contesta la presunta violazione del decreto legge Piantedosi per “non aver raggiunto senza ritardo il porto di sbarco assegnato”. Il Viminale, infatti, aveva indicato Livorno come porto di approdo sicuro, che però la Ong lamenta fosse «a 630 miglia nautiche, quasi 1.200 chilometri e oltre quattro giorni di navigazione dal soccorso».
Una questione di percorso a tempo e di rivalsa sulle norme di governo?
Una questione di numeri, percorso e tempo? Forse non proprio. O almeno ci permettiamo di dubitare: anche se non del tutto. Il vero fulcro – e vulnus – della vexata quaestio potrebbe essere semmai il braccio di ferro perennemente in atto tra Ong e governo; diritto internazionale e nazionale; leggi e decreti di Stato e arbitraria interpretazione delle stesse. Con tutto il corollario di recriminazioni e accuse sanguinose indirizzate dalle Ong alle autorità, sfidate a suon di disobbedienza e forzature. E rivendicate nel segno dell’operazione umanitaria. Per loro, dunque, “l’inumana ossessione” che guida l’imposizione su provvedimenti ingiusti e illegittimi, è sempre una sola: ostacolare il soccorso civile in mare. Ma le cose non starebbero proprio così.
Migranti, dopo la forzatura dell’entrata in porto in Sicilia (e non a Livorno) scatta il fermo e parte il piagnisteo
Insomma, l’accusa è sempre la stessa: il governo italiano avrebbe la terribile “ossessione” di far rispettare indicazioni, norme e divieti, e «ostacolare – a detta delle Ong e di Mediterranea in questo caso – il soccorso civile in mare». Curioso, visto che le autorità italiane avevano assegnato l’approdo toscano, non certo negato salvataggio e sbarco… Ma evidentemente non era abbastanza “civile” o il punto di approdo abbastanza “vicino” per i paladini del mare, per procedere come da disposizioni comunicate. E così oggi la Ong si lamenta che la navigazione avrebbe richiesto un percorso più lungo e scomodo. E che la cosa avrebbe potuto tradursi in un inferno per i 92 migranti a bordo. Citando, a sostegno del cahiers de doleances opportunamente stilato, il medico di bordo. E persino il Cirm. Uno zelo a chilometraggio controllato e appositamente rivendicato…
Le accuse a Viminale e governo: Mediterranea al contrattacco
Ma il vero dramma, per Mediterranea, adesso diventa un altro: «La nostra nave è adesso bloccata in catene a Porto Empedocle». E, lamenta la Ong: «Dovremo attendere giorni per sapere dal prefetto di Agrigento per quante settimane o mesi sarà sottoposta a detenzione amministrativa e, quindi, poter presentare ricorso. Intanto, ci stanno ingiustamente impedendo di soccorrere altre vite in mare». Senza la nave, dicono insomma da Mediterranea, come faranno gli attivisti a ignorare le direttive ministeriali e trasformare i confini italiani a loro uso e consumo marittimo?
Denuncia e pregiudizio
E così, partendo al contrattacco, la Ong ci va giù piatta, arrivando all’estremo di accusare il governo di avere come obiettivo «politiche di morte». Un’iperbole retorica, talmente logora e ormai di scarso appeal sull’opinione pubblica, soprattutto quando a essere contestato è l’obbligo di rispettare il porto assegnato. Forse l’ossessione, a ben vedere, non è «inumana». Ma semplicemente decretata in ottemperanza all’esigenza di un Paese che cerca di far valere la propria sovranità e i propri dispositivi, stanco di essere trattato come un distributore automatico di approdi a richiesta.
Ora, la nave aspetterà la decisione del Prefetto. Ma state sereni: la macchina del fango – anzi, quella del piagnisteo mediatico – è già partita. E non si bloccherà per giorni o mesi. L’importante, per le Ong, è ribadire il principio di salvare vite (cosa che, peraltro, nessuno impedisce loro di fare, ma in coordinamento con le autorità), ma di poterlo fare alle loro condizioni. E lamentarsi sonoramente all’occorrenza quando qualcuno osa chiedere un minimo di rispetto delle leggi nazionali nel farlo…