Il ritorno
“Mao”, artista a 360° con il genius loci nel cuore: «Con l’intelligenza artificiale? Non è più musica…»
Artista di riferimento della scena musicale alternativa italiana degli anni '90, aprirà le date del tour dei Delta V in cui presenterà i brani del nuovo atteso album
Mao, all’anagrafe Mauro Gurlino, è un artista poliedrico: cantautore, musicista, attore, conduttore radio-televisivo. Artista di riferimento della scena musicale alternativa italiana degli anni ’90, aprirà le date del tour dei Delta V in cui presenterà i brani del nuovo atteso album che sarà pubblicato nel 2026. Ci concede questa piacevolissima chiacchierata: un salto liberatorio oltre la siepe della banalità ed ovviamente oltre la “massificazione” dei suoni.
Le radici del sodalizio tra Mao e Delta V risalgono agli anni ’90 torinesi. Come è nata l’idea di questa nuova collaborazione?
«Ma guarda, sostanzialmente un po’ a caso. Ci siamo sentiti al telefono con Carlo Bertotti e con Flavio Ferri, loro erano nella fase in cui dovevano promuovere il nuovo album mentre io avevo interesse nel suonare le mie nuove canzoni in giro. Con uno spirito di avventura abbiamo deciso di fare questa cosa, cioè girare i locali, incontrare la gente e stare assieme, che sostanzialmente è il motivo che per cui abbiamo iniziato a fare musica e continuiamo a farla. Se ci pensi è la linfa della musica pop, dove racconti quello che ti succede, la realtà che ti circonda, o almeno cerchi di farlo. Paradossalmente mi sembra un po’ di rifare il giro da capo perché un’esperienza simile l’ho avuta nel ’93 quando ho fatto una sessantina di date solo chitarra e voce per promuovere Sale, il primo disco di Mao e la Rivoluzione».
C’è grande attesa per il tuo nuovo album, possiamo aspettarci un ritorno alle sonorità anni ’90 che abbiamo sentito in dischi come Sale o Casa?
«La mia idea di musica negli anni ’90 viveva anche del fatto che avevo la possibilità di condividere la musica con altre persone, perché avevo la band e perché era un altro periodo, anche della mia vita. Chiaramente lo scenario dal quale sono partito per questo album è lo stesso, sono i viaggi musicali di sempre, anche se adesso ho qualche anno in più e sono magari capace di curare gli arrangiamenti e suonare il basso, la chitarra. Sono curioso di vedere che effetto farà, intanto lo proviamo così, come dire in bianco e nero, chitarra e voce, e poi quando uscirà proprio l’album vediamo la versione espansa che effetto farà».
Mao tu hai vissuto l’età dell’oro della scena alternativa italiana. Condividi il fatto che si sia persa l’idea di scena musicale, intesa come il contesto culturale di un determinato luogo?
«Sono d’accordissimo, viene sempre meno la possibilità di tirare fuori il Genius loci, cioè la possibilità di condividere e raccontare esperienze assieme ad altre persone in un determinato luogo. Di contro si va verso un individualismo assurdo che ha l’effetto di massificare la scena musicale e penalizzare le realtà di musica di insieme perché ormai si è convinti che basta fare una canzone a casa e metterla su YouTube e la cosa è fatta. Sappiamo benissimo che fare la musica con l’intelligenza artificiale è un’assurdità totale di cui spero il prima possibile ce ne renderemo conto».
Vedi spiragli positivi?
«In qualche modo voglio essere realista, questa cosa qui di cui stiamo parlando oggi non è organica, naturale. È qualcosa di imposto e al momento che questa imposizione mancherà di propulsione si scioglierà come neve al sole. Bisogna ridare di nuovo spazio a quello che abbiamo conosciuto noi, che poi è anche il modo in cui la nostra cultura è venuta fuori. Invece siamo quasi costretti a parlare una lingua che nemmeno capiamo, noi che abbiamo avuto Dante Alighieri».
Tu hai vissuto la stagione d’oro di MTV, sei stato protagonista di diversi format e co-conduttore di Kitcken assieme ad Andrea Pezzi, che aria si respirava in quel periodo?
«Ma guarda: io sono stato fortunato perché l’aria che respiravo era di grande libertà, avevamo carta bianca su quello che volevamo fare. MTV ha introdotto un nuovo linguaggio, fatto di video, Real, ministories che ha preparato il pubblico al linguaggio dei social. Poi le cose sono cambiate a livello tecnologico, sono nati degli strumenti più idonei per diffondere questo linguaggio e si è deciso di investire su altro, giocoforza MTV non ha saputo reggere la concorrenza. È stato funzionale a una transizione a un’altra fase, e le cose cambieranno ancora, vedremo».
C’è stato successivamente un interesse a investire e a lavorare nella tua città, pagando magari in termini di visibilità a livello nazionale. Come mai?
«A me è sempre piaciuto lavorare a livello locale, non perché mi spaventa il mondo, ma perché credo si possa innescare la scintilla dalla quale far crescere delle cose che abbiamo un senso, originali, e senza pressioni esterne. Ho cercato di sviluppare qui quello che è il mio piccolo, diciamo, talento. Ho fatto il salotto di Mao, format in cui sono stati ospiti più di 1000 artisti. E poi c’è Cortocorto, la mia squadra di lavoro che mi segue da più di 20 anni e che ha collaborato con me per il nuovo disco. Col senno di poi sono contento di aver fatto questo tipo di investimento perché è rimasta un po’ la mia casa, ecco».
Una provocazione finale, che senso aveva la scelta del nome Mao e la rivoluzione negli esordi e che senso potrebbe avere invece oggi?
«Ma sai, parlare di rivoluzione a vent’anni è figo, adesso a 50 un po’ meno, per partire poi da dove avevamo lasciato? In realtà il nome prende spunto anche da Prince & The Revolution, vedi Prince è uno degli artisti che ho stimato di più, anche lui se n’è fregato e ha combattuto contro tutto e tutti».