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“L’Italia prima degli italiani”: la mostra che restituisce il ritratto di una Nazione appena nata

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“L’Italia prima degli italiani”: la mostra che restituisce il ritratto di una Nazione appena nata

In un’epoca che ci ha fatto dimenticare quello che vogliamo essere, obnubilando quello che siamo stati, trovarsi a nelle stanze del Castello Visconteo Sforzesco di Novara per ammirare l’Italia di ieri è un esercizio doveroso per poi scrivere il racconto di quella di domani

Cultura - di Lorenzo Cafarchio - 9 Novembre 2025 alle 07:00

Novara conferma la sua attitudine di capitale della pittura ottocentesca in Italia. Nel corso degli anni, esattamente otto, decine di quadri e pittori hanno ripreso vita nello scenario del Castello Visconteo Sforzesco in questo lembo di terra cultore del riso e viatico della Pianura Padana. Infatti, l’aria dell’Italia unità e del Risorgimento nella toponomastica e nel sentire è ancora brezza che spira in città. Così il 1° novembre è stata inaugurata la mostra L’Italia dei primi italiani. Ritratto di una Nazione appena nata, che si concluderà il prossimo 6 aprile. L’iniziativa è stata curata da Elisabetta Chiodini e vede sette sezioni che vanno dagli anni ‘50 dell’Ottocento fino agli anni ‘30 del secolo successivo con oltre 70 opere esposte che rappresentano una cinquantina di pittori. La rassegna è stata organizzata congiuntamente da Mets Percorsi d’Arte, dal comune di Novara e dal Castello novarese. La curatrice e ideatrice dell’esposizione spiega come «noi italiani siamo sempre stati un popolo sui generis, anche quando non eravamo affatto un popolo ma ancora, come avrebbe detto di sé uno dei grandi poeti del Novecento, solo “un grumo di sogni”». Ovvero Giuseppe Ungaretti ne Il porto sepolto.

Tutto attorno agli occhi, quindi, la genia dalla quale proveniamo. Quello che siamo stati, ma soprattutto spettatori del futuro immaginato da quegli infanti, quelle donne e quegli uomini immortalati eternamente su tela. Gli intrecci sono infiniti ci sono vicende chiare, altre sospese mentre il mito del tricolore forse è meno intenso che in mostre passate, ma i richiami verso una Nazione appena creata sono vivi. Potremmo perderci, tranquillamente, in questi dipinti, ma come guida vi consigliamo cinque opere davanti alle quale annodare il filo di quasi 165 anni d’Italia.

L’esule che dall’Alpe guarda l’Italia di Stefano Ussi (1850)

Parliamo dell’opera che apre la mostra. Qui ci sono tutti i sentimenti dei Menotti, dei Garibaldi, dei Mazzini, dei Manara e di tutti quelli che hanno sentito il richiamo ancestrale della Patria. L’esule eccolo, col braccio fasciato al collo, guardare l’Italia da una pietra che ne segna il confine. Allontanato e vinto, ma non pago e con uno sguardo sognante. Affianco a lui la moglie con gli occhi trasaliti di commozione e in braccio, coperto dal freddo con un tabarro, il figlio. Ussi come tutti i giovani dell’epoca era ricolmo della parole di Foscolo e del suo Ultime lettere di Jacopo Ortis e anche di Pellico e de Le mie prigioni. Non c’è il romanzesco, qui, appare il reale e i sentimenti come un fuoco accendevano le passioni degli italiani in divenire. Un esordio pittorico, per l’evento, che è devozione verso i simboli della religione della Nazione.

Processione a Prestinone di Val Vigezzo di Carlo Fornara (1896)

Siamo alle porte del divisionismo per il pennello nato proprio in questi luoghi dell’alto, anzi altissimo Piemonte. I colori sono carichi e il labaro rosso che anticipa la processione è il centro non solo del quadro, ma anche di quel microcosmo che è l’Italia. Lo Strapaese, per dirla alla Longanesi, che ha 8mila campanili che suonano all’unisono. Le pietre, la chiesa alle spalle e il villaggio in cui siamo immersi dove la montagna respira in questa lunga fila indiana di fedeli. Poco più in là la Svizzera, terra di confine come decine a queste latitudini. Le pennellate sono un’anticipazione di quello che sarà il gusto dei decenni a venire.

In battello sul lago Maggiore di Angelo Morbelli (1915)

Lo scegliamo, innanzitutto, perché è l’unico dipinto in cui vediamo il tricolore sventolare. La scena rappresenta lo svago della borghesia di inizio ‘900. Morbelli racconta il puro paesaggio del lago Maggiore dove una “figuretta” appoggiata sul battello è intenta a perdere lo sguardo nei meandri delle acque del golfo del Borromeo. La signora raffigurata, come la definisce la stessa Chiodini, è “elegante e pensosa” di cui è “nota una stampa di un’istantanea scattata da Morbelli intorno alla metà del primo decennio del secolo in occasione di uno dei suoi abituali soggiorni in Liguria”. Nella semplicità e nel non impegno sociale c’è il racconto degli ozi e del tempo libero dell’epoca. Uno spaccato che ci riporta alla semplicità dei gesti lontani dagli obbiettivi, ma immortalati dall’estro di pennellate vive quando già l’uso della fotografia era ampiamente diffusa.

Il dettato di Demetrio Cosola (1891 circa)

Donne, fanciulle, madri, vedove. Ma principalmente vita. Il lato femminile della mostra è spiccatamente pronunciato e per raccontarlo al meglio, tra le infinite opere, scegliamo quella del Cosola. Una maestra con lo sguardo imperscrutabile e assorto nella professione che all’epoca, forse ancora più di oggi, era una missione di costruzione e costituzione degli italiani. Sono tutte giovani allieve intente a scrivere, operose nel confrontarsi e una di loro bionda al centro osserva la professoressa con fare solenne. Alle spalle la cartina fisica dell’Italia, quello che solo tre decenni prima è stato il principio della conquista. La tecnica che ammiriamo, come spiega Virginia Bertone, “è l’adozione della tecnica del pastello, che in quegli anni conosceva una rinnovata fortuna”.

In Corte d’Assise di Francesco Netti (1882)

Chiudiamo con la cronaca giudiziaria che è emblema della storia italiana. La cronaca nera del resto è il romanzo di questi decenni, ci affascina lasciandoci intrisi coi suoi lati oscuri. Infatti qui uno stuolo di donne è intenta ad ascoltare il processo a seguito dell’uccisione del capitano Giovanni Fadda, reduce delle guerre risorgimentali, intentato alla moglie Raffaele Saraceni e all’amante il cavallerizzo Pietro Cardinali. Il solito accanimento della stampa concupì l’alta società romana, così le donne vennero ammaliate da questo episodio delittuoso. Infatti il soggetto di questo dipinto è il pubblico in rosa “assetato di pettegolezzi”, come spiega Isabella Valente. Mentre l’imputata si intravede appena e la scritta “La legge è uguale per tutti” è coperta dal chiacchiericcio delle dame in primo piano.

In un’epoca che ci ha fatto dimenticare quello che vogliamo essere obnubilando quello che siamo stati, trovarsi a Novara nelle stanze del castello per ammirare l’Italia di ieri è un esercizio doveroso per poi scrivere il racconto di quella di domani.

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di Lorenzo Cafarchio - 9 Novembre 2025