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La giustizia che torna ai cittadini: perché la riforma Nordio non è una bandiera ma una promessa mantenuta

Coerenza e responsabilità

La giustizia che torna ai cittadini: perché la riforma Nordio non è una bandiera ma una promessa mantenuta

Dopo quattro letture in Parlamento e un iter trasparente, il centrodestra porta a compimento un impegno preso con gli elettori: una giustizia più giusta, equilibrata e al servizio dei cittadini

Politica - di Antonio Giordano - 4 Novembre 2025 alle 20:10

I parlamentari del centrodestra hanno tempestivamente firmato per il referendum confermativo, consapevoli di chiudere un percorso lungo e coerente che ha visto quattro letture tra Camera e Senato e ha condotto alla versione definitiva della riforma Nordio. Non è stato un gesto dimostrativo, ma un atto di responsabilità politica: dare immediata continuità a un provvedimento che ha rispettato fino in fondo l’iter costituzionale e il confronto parlamentare.

Hanno firmato subito: una scelta di coerenza

Fin dall’inizio era chiaro che la riforma avrebbe richiesto il passaggio referendario, ma il centrodestra, con l’adesione di una parte dell’opposizione, ha scelto di affrontarlo con trasparenza e determinazione, forte della legittimazione popolare ricevuta alle urne.

Era un punto qualificante del programma elettorale e, dopo il voto favorevole della maggioranza dei votanti, è diventato un impegno solenne nei confronti degli elettori.

Hanno firmato subito, dunque, non per calcolo politico, ma per coerenza e rispetto di quella promessa: completare una riforma attesa da decenni e restituire ai cittadini una giustizia più giusta, equilibrata e libera da ogni corporativismo.

Perché è giusta per i cittadini

Quando oggi un cittadino entra in un’aula di tribunale, si trova davanti tre figure: l’avvocato dell’accusa, l’avvocato della difesa e un giudice che è collega dell’avvocato dell’accusa.

Nessuno mette in dubbio la buona fede o la professionalità del magistrato e del pubblico ministero, ma resta un fatto: appartenere allo stesso ordine e condividere lo stesso percorso di carriera incide sulla percezione di imparzialità.

Pubblico ministero e giudice fanno parte dello stesso corpo professionale, eleggono lo stesso organo di autogoverno — il Consiglio Superiore della Magistratura — e possono entrambi aspirare, un giorno, a farne parte.

È inevitabile, dunque, che si crei un rapporto di prossimità: chi oggi giudica potrebbe domani avere bisogno del voto del collega che oggi sostiene l’accusa, e viceversa.
Non è una questione personale, ma strutturale: un legame interno che rischia di offuscare l’immagine di terzietà che ogni giustizia dovrebbe garantire.

L’obiezione non regge

L’obiezione secondo cui le carriere sarebbero già separate non regge. È vero che la riforma Cartabia ha reso più complesso il passaggio tra funzioni requirenti e giudicanti, ma non lo ha eliminato: un magistrato può ancora, in determinate condizioni, cambiare ruolo nel corso della carriera.

E il cittadino, quando entra in aula, non ha alcun modo di sapere se quel giudice o quel pubblico ministero abbiano già esercitato l’opzione o se possano ancora cambiare carriera. È una zona grigia che mina la fiducia nel sistema e che solo una separazione netta e definitiva delle carriere può risolvere.

Perché la giustizia, per essere credibile, deve essere anche visibilmente terza: non basta esserlo, bisogna apparirlo.

Perché è giusta per i magistrati

La riforma Nordio non nasce contro i magistrati, ma a favore di quella larga maggioranza che ha fatto una scelta di vita, di studio e di rigore, e che non ha mai cercato favori ma solo il riconoscimento del proprio merito.

Un magistrato ha studiato duramente per fare della competenza e del senso del dovere l’unico criterio di avanzamento, e la riforma restituisce valore proprio a questa vocazione.

Separare le carriere significa liberare ogni togato dal sospetto di appartenenza, restituendo dignità e forza a una funzione che deve essere percepita come neutrale, non come parte di un sistema chiuso.

Il problema, oggi, non è una magistratura debole, ma una magistratura spesso frenata dalle logiche di corrente, dove avanzamenti e incarichi dipendono più dalle appartenenze che dal merito.

La riforma rompe questo meccanismo: toglie la gestione delle carriere dal controllo delle correnti — o dei cosiddetti “sindacati della magistratura” — e la affida a un sistema di valutazione realmente indipendente.

D’ora in poi, il giudice, sia esso requirente o giudicante, sarà valutato da colleghi senza vincolo di mandato, sorteggiati tra magistrati di comprovata esperienza e riconosciuta autorevolezza. È una scelta di trasparenza e libertà che protegge i migliori da condizionamenti interni e restituisce valore alla professionalità, non all’appartenenza.

Così il Consiglio Superiore della Magistratura torna a essere un organo di garanzia, non il terreno di scontro tra correnti. L’indipendenza della magistratura non nasce dalla chiusura corporativa, ma dalla responsabilità personale. Ed è proprio questa indipendenza, limpida e visibile, che la riforma intende restituire.

Un impegno mantenuto

La riforma Nordio è un atto di coerenza e di rispetto verso gli elettori. Dopo anni di rinvii e di promesse non mantenute da altri governi, il centrodestra ha scelto di portare a termine una riforma attesa da tempo.

È una riforma che restituisce fiducia ai cittadini e dignità ai magistrati. Non divide, ma unisce, perché mette al centro il diritto, non la politica. È il segno di uno Stato che torna a credere nella sua giustizia e nei suoi servitori.

*Antonio Giordano, deputato di Fratelli d’Italia

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