L'editoriale
La famiglia del bosco contro il mondo moderno? Elogio della “rivolta” che non fa male a nessuno
Si intravede una scintilla nella ribellione della “famiglia del bosco” contro il mondo moderno. È una di quelle vicende, infatti, che sembrano avere la capacità di illuminare – anche solo per un attimo – il grigiore omologante di un’epoca
Si intravede una scintilla nella ribellione della “famiglia del bosco” contro il mondo moderno. È una di quelle vicende, infatti, che sembrano avere la capacità di illuminare – anche solo per un attimo – il grigiore omologante di un’epoca: dove tutte le storie devono tendere in qualche modo a convergere verso un unico modello. Quello che al centro vede esistenze nevrotiche, fluide, disaggregate, in perenne moto caotico. Quella di Nathan e Chaterine, e dei loro tre bambini sottratti alla loro cura, registra un moto opposto: è la fondazione di un mito familiare, di un piccolo cosmo. È una storia di libertà, di autodeterminazione. Una storia particolare secondo i parametri della contemporaneità: eppure, a guardarla bene, è così “normale”…
Da una parte troviamo una famiglia, la natura, una comunità e una visione del mondo che in politologia si definisce ormai “campagna”. Dall’altra, appunto, la “città”: incarnata da un Tribunale dei minori che sostiene di applicare una legge che in realtà, però, non sembra valere per tutti. Perché in tanti – inclusi insigni giuristi come Andrea Venanzoni – pensano che lo stesso trattamento non venga fatto valere per certe comunità (rom e non solo) o per i ghetti urbani occupati dalla malavita: luoghi dove ai bambini vengono sottratti, eccome, quei diritti elementari alla base della controversa decisione del Tribunale de L’Aquila nei confronti dei coniugi di Palmoli.
Anche per questo evidente doppiopesismo la vicenda della famiglia “colta e vagamondo” dei coniugi Trevallion, che ha scelto di fermarsi nel cuore dell’Abruzzo per vivere in mezzo agli alberi, invece che in mezzo ai palazzi, e di offrire ai propri figli una visione delle cose, delle relazioni e dell’educazione “differente” ha scosso l’opinione pubblica e noi stessi. Ma in questa storia, appunto, c’è di più. Perché, se si va a vedere in profondità, sono i contrafforti che reggono i loro rapporti a creare scandalo in determinati gangli dello Stato e della cultura dominante.
Già, perché è destinata a “dare fastidio” la famiglia di Palmoli? Prima di tutto perché non appartiene ad alcuna minoranza. Anzi: è dannatamente conforme. C’è un nucleo “naturale” – papà, mamma, figli – che ha scelto di vivere in un contesto sano, amorevole ed equilibrato. La “famiglia del Mulino bianco” come reazione alla gentrificazione della Ztl? Alla “giungla”, sempre più violenta e fuori controllo, dei centri urbani? Sì, perché no. Poi c’è il “bosco”: l’elemento jungheriano per eccellenza. Perché sì, nella scelta di abitare nel bosco non si può non leggere il gesto di ribellione dell’“anarca” allo Zeitgeist: non un isolarsi dal mondo, ma un atto di affermazione individuale contro l’automatismo delle masse. Ed è ciò che in piena libertà entrambi Nathan e Catherine vogliono per se stessi e per i propri figli: non paradisi artificiali o surrogati creati dall’algoritmo ma il bosco come elemento sfidante in cui sviluppare la propria identità.
Cosa dà fastidio in questo modello iperbolico e ruralista di “normalità”? Forse proprio questo: il fatto che dimostri come sia possibile quel «ritorno al reale» di cui parlava Gustave Thibon. Magari non come scelta così totalizzante e radicale ma a dosi facilmente replicabili: ossia che la famiglia torni a essere, con piena assunzione di responsabilità, il primo centro di socializzazione e di educazione. Argomenti quanto mai attuali quando c’è chi pensa – in pieno furore neo-dirigista – che i figli «siano dello Stato» o che l’educazione affettiva (contravvenendo clamorosamente all’articolo 30 Costituzione «più bella del mondo» che dicono di sostenere) debba essere appannaggio delle astrazioni mondane dei pedagogismi queer e non un percorso relazionale incentrato sul binario costruito dalla famiglia di ciascuno.
La famiglia del bosco, senza volerlo, ha già donato tante suggestioni. Non tutte condivisibili, non tutte sbagliate. Nell’epoca però in cui la vulgata dice che “si deve” essere libertari, la scelta estrema di tribunali e servizi sociali di sottrarre i figli ai genitori di Palmoli – in assenza di quei fenomeni di degrado e abbandono in altri contesti invece assolutamente conclamati – sembra un attacco alla libertà educativa. Si spera che dietro il paravento delle norme e dei non meglio precisati vincoli della società non emerga allora un potere discrezionale che voglia contendere lo spazio di sovranità oggi alla famiglia, domani alla fede o al credo politico. I sintomi di questa deriva inquietante sono già presenti in altri Paesi. Se è così ben vengano le storie di rivolta a una certa modernità come questa. E speriamo che come tutte le fiabe abbia il lieto fine. E che faccia, in tutti i sensi, letteratura.
Veramente questa magistratura è da riformare. Fanno i duri con i deboli e chi si comporta bene,ma proteggono chi ruba e ammazza.