L'analisi
Il destino eccezionale di De Gaulle, l’uomo che incarnò la Francia eterna: non di destra o di sinistra “ma dei francesi!”
Il generale de Gaulle morì il 9 novembre 1970 a Colombey-les-Deux-Églises. Il 27 aprile dell’anno precedente, in seguito alla sconfitta sul referendum sulla regionalizzazione, si dimise e lasciò l’Eliseo come aveva promesso in caso di vittoria del “no”. Lo annunciò con una laconica dichiarazione televisiva: “Cesso dalle mie funzioni di Presidente della Repubblica. Questa decisione entra in vigore oggi a mezzogiorno”. Questa partenza rifletteva una vita sempre intransigente nell’adesione ai principi che la governavano. De Gaulle seppe incarnare, come nessuno, una Francia rispettata e un’autorità indiscussa dello Stato. “La Francia è vedova!” esclamò Pompidou. La sua gloria non ebbe bisogno di un mausoleo: gli bastò la modesta tomba nel piccolo cimitero di Colombey-les-Deux Eglises.
Per Franz-Olivier Giesbert, De Gaulle fu un concentrato del meglio che la Francia ha saputo offrire. Da Giovanna d’Arco, ereditò un coraggio sconfinato. Da San Luigi, l’ossessione per il rigore e il bene comune. Da Carlo V, la spinta riformatrice. Da Luigi XIV, il senso dello Stato e dell’integrità territoriale. Da Charles Péguy, che “morì per la Francia”, l’amore per la Patria. Per non parlare delle sue formidabili visioni profetiche, alla Tocqueville (sull’economia, la Cina, l’Algeria, l’Islam, ecc.). A questo si aggiunse un mix di astuzia e malizia degno di Georges Clemenceau. Questo grande uomo fu un distillato di quindici secoli di storia francese al suo meglio.
Dopo la sua morte passò dalla storia alla leggenda, poi dalla leggenda al mito, per diventare una di quelle figure tutelari attorno alle quali i popoli si uniscono.
Il ministro della cultura André Malraux, che per De Gaulle fu ciò che Joinville fu per Luigi IX, un amico e un bardo, sosteneva che la parola “sinistra” significava qualcosa di diverso da ciò che intendeva chi la usava, proprio come la parola “destra”. Nella storia, la sinistra avrebbe dovuto essere un’idea di giustizia, la destra un principio di autorità. La sinistra doveva essere l’uguaglianza, la destra la libertà. La sinistra il movimento e la destra l’ordine. La sinistra il perdono e la destra la responsabilità. La sinistra doveva essere il cuore e la destra la ragione.
Ma per De Gaulle non fu mai una questione di destra e sinistra: derideva la divisione tra destra e sinistra e diceva: “La Francia non è la destra, la Francia non è la sinistra, la Francia è tutti i francesi”. Quando André Malraux gli chiese cosa fosse esattamente il popolo, de Gaulle rispose senza esitazione: “La Francia!”
Quando la Francia crollò nel 1940, si affidò al vincitore di Verdun. Ma il maresciallo Pétain, che nel maggio 1917 era stato l’uomo delle circostanze, non era più l’uomo della Provvidenza, ma l’uomo dell’abbandono. Colui che la Provvidenza aveva scelto questa volta era un semplice generale di brigata, che, a Londra il 18 giugno, alla BBC, dichiarò: “La fiamma della Resistenza francese non deve spegnersi e non si spegnerà”. Per cinque anni, De Gaulle, incarnò la Resistenza francese e la continuità della Repubblica. Dopo la liberazione scongiurò il rischio di una guerra civile e se ne andò quando tornò il regime dei partiti che lui giudicava contrario agli interessi della Nazione. Nel 1958, quando la Francia era sull’orlo di una guerra civile e del fallimento, fu nuovamente l’uomo della situazione.
De Gaulle non cercò di distruggere politici o partiti soffocando la democrazia; sapeva che non poteva esserci democrazia senza politici e partiti. Ma non volle mai stare al loro gioco, immischiarsi nei loro piani, nei loro calcoli, nelle loro trattative. Creò la Costituzione della Quinta Repubblica e l’elezione del Presidente della Repubblica a suffragio universale perché la democrazia non fosse più fatalmente nelle loro mani.
Malraux sosteneva che non ci sarebbe stato gollismo senza il generale de Gaulle. Non intendeva dire che il gollismo non avrebbe lasciato traccia, ma che era una storia inseparabile dall’uomo che l’aveva scritta, attraverso tutto ciò che aveva compiuto e le testimonianze di tutti coloro che lo accompagnavano; De Gaulle non fondò né una religione né una chiesa. Non apparteneva alla stirpe dei profeti o dei dottrinari, ma a quella dei grandi personaggi della storia che rimangono a lungo fonte di ispirazione attraverso il ricordo delle loro gesta: Alessandro Magno, Giulio Cesare, Napoleone, Churchill, De Gaulle. Nessuno di loro ha lasciato una dottrina.
De Gaulle non ha lasciato alcun catechismo o breviario, solo memorie di guerra, memorie di speranza e le testimonianze di coloro che furono suoi compagni di guerra e di pace, come Cesare con “Le guerre galliche”, come Napoleone con “Il memoriale di Sant’Elena” e tutti i ricordi dei soldati della Grande Armata. La storia delle idee politiche collega il gollismo al bonapartismo, rendendolo, insieme al legittimismo reazionario e all’orleanismo liberale, una delle tre famiglie della destra francese.
Henri Guaino ricorda che, sebbene Napoleone e De Gaulle fossero figure i cui destini personali si intrecciarono ad un certo momento con quello della Francia, proprio come quello di Churchill, nel 1940, con quello dell’Inghilterra, il loro carattere, le loro circostanze e le loro ambizioni rendono le loro personalità incomparabili. Napoleone fu un conquistatore, De Gaulle un combattente della resistenza. Il primo era mosso da una volontà di potenza che al secondo mancava. Inoltre, il primo possedeva mezzi di governo che il secondo non aveva. Eppure, qualcosa unisce, nell’immaginario politico, ciò che entrambi incarnarono in epoche diverse.
Per René Rémond, storico delle idee politiche, i punti in comune tra gollismo e bonapartismo erano il ruolo del leader, il suo legame diretto con il popolo, che bypassava corpi intermedi e partiti attraverso plebisciti o referendum, e uno Stato forte e interventista fiero della sua sovranità. Il gollismo e il bonapartismo cercarono il senso dell’azione politica nella narrazione nazionale, nei drammi e nelle tragedie che ne formano il tessuto, in cui sono inscritti i destini eccezionali che si fondono con quello di una Francia stessa destinata a un destino eccezionale. Il gollismo e il bonapartismo rappresentano l’eterno ruolo della potenza dei grandi sogni nel destino delle nazioni. Ma né De Gaulle né Napoleone si accontentarono di sognare la Francia: la crearono!
La forza del gollismo è per Malraux la difesa della sovranità con l’affermazione del “No” nella storia; è il “No” fermamente opposto da De Gaulle nel dicembre 1944 all’alto comando alleato, che aveva ordinato alle forze francesi sotto il suo comando di evacuare Strasburgo, appena liberata, di fronte alla controffensiva tedesca nelle Ardenne. È, nel 1965, il “No” della Francia, attraverso la politica della sedia vuota, alla deriva della Politica Agricola Comune Europea. È, nel 1966, il “No” della Francia alla logica dei blocchi e alla possibilità di essere trascinata, in virtù della sua appartenenza al comando militare integrato della NATO, in una guerra che non voleva. Nel 1944, la Francia non si separò dagli Alleati. Nel 1965, non lasciò la Comunità Europea. Nel 1966, non lasciò l’Alleanza Atlantica. Ma ogni volta, accettò il rischio di innescare una crisi con i suoi partner, dimostrando che, in ultima analisi, conservava il diritto di decidere autonomamente e che nessuna alleanza o impegno avrebbe potuto privarla di tale diritto. L’esercizio del diritto inalienabile di dire “No” quando è in gioco un interesse superiore della Nazione. Questa è la vera definizione della sovranità di un popolo. Tuttavia, ciò richiede leader che si preoccupino degli interessi superiori della Nazione e che abbiano il coraggio di difenderli quando sono minacciati, anche a costo di una crisi per prevenirne di peggiori.
Uomo d’altri tempi, senza dubbio, in fatto di morale, pur liberalizzando la contraccezione, De Gaulle sapeva meglio di chiunque altro che la civiltà materiale e tecnologica ha bisogno di un’anima, di ideali che la trascendano. Sapeva che il capitalismo, con il suo potere di creare ricchezza e progresso di ogni tipo, non aveva futuro se lasciato incontrollato e non regolamentato. Non si limitò a dire che la politica francese non si faceva in borsa. Cercò nella partecipazione dei lavoratori agli utili di azienda una terza via in cui i difetti e le ingiustizie del capitalismo sarebbero stati corretti, senza cadere nelle insidie del socialismo e del collettivismo. “Si tratta”, dichiarò, “di realizzare la vasta trasformazione sociale che sola può condurci a uno stato di equilibrio umano e che la nostra gioventù invoca istintivamente”.
Un vasto progetto sociale, troppo avanti per i suoi tempi: nel 1945 istituì i consigli di fabbrica. Nel 1959 e nel 1967 aprì la strada alla partecipazione agli utili. Ma la partecipazione, che mirava a coinvolgere tutti non solo nei profitti ma anche nei processi decisionali, incontrò resistenze da parte dei datori di lavoro, che la consideravano collettivista, e da parte dei sindacati, che la vedevano come una sfida alla lotta di classe che avrebbe legato il lavoratore al padrone. Infine, nelle aziende, la partecipazione diretta dei dipendenti agli utili, al capitale e alle responsabilità doveva diventare un aspetto fondamentale dell’economia francese. Ciò rappresentò una vasta trasformazione sociale in cui la partecipazione agli utili, ora obbligatoria per legge, rappresentò un passo significativo.
Nel XXI secolo, cinquantacinque anni dopo la morte del generale de Gaulle, il gollista è colui che ancora guarda a questa storia, iniziata nel giugno del 1940 e conclusa nel novembre del 1970, come a una fonte di ispirazione per sé e per le generazioni future.
Ciò che manca oggi alla Francia è una politica che, come il gollismo, passi costantemente dall’ideale alla realtà della vita, dalle idee pure alle contingenze materiali e umane che tutti gli esseri viventi su questa terra si trovano ad affrontare. Chiunque sia, lo statista ha un’idea che lo eleva al di sopra del tecnocrate dedito alla tecnica e lo distingue dal politico che ha un programma ma nessuna idea. Il politico, in ogni campagna elettorale, srotola il suo catalogo infinito di misure che promette a ogni classe sociale, un catalogo che sarà poi la sua unica bussola di governo. Il più delle volte, dire tutto sul programma significa non dire nulla sull’ideale. Ciò equivale a non sapere come governerà il candidato, una volta eletto, poiché le mutevoli circostanze della vita renderanno buona parte del programma inapplicabile.
De Gaulle non fu il nome di una piattaforma elettorale. Lo statista, secondo De Gaulle, non ha un catalogo da vendere agli elettori, ma sappiamo dove sta andando perché lo sa lui stesso, perché il pensiero che guiderà tutte le sue azioni è chiaro. In definitiva, gli elettori sapevano solo una cosa precisa ma che era essenziale: De Gaulle non chiese mai nulla per sé, ma tutto per il prestigio della Francia e dello Stato.
De Gaulle non fu il titolo di un nuovo catalogo di promesse non mantenute; è il nome che molti francesi oggi danno alle virtù che, nella loro mente, distinguono lo statista dal politico, in un’epoca in cui i politici abbondano e gli statisti stanno diventando sempre più rari, anche se la situazione della Francia richiederebbe il contrario.
De Gaulle fu decisamente fuori dal suo tempo; si preparò sempre per il futuro, mai per le prossime elezioni. Uomo austero che non desiderava nulla per sé, il generale De Gaulle volle tutto affinché lo Stato potesse dominare gli interessi privati con il suo potere e il suo prestigio
De Gaulle aveva i tratti del monarca ma non del dittatore e non voleva fare la Francia senza i francesi; ragion per cui se ne andò dopo aver perso il referendum.
De Gaulle è il nome di tutto ciò che manca alla Francia.