Contro il terrore
Francia, dieci anni dopo gli attentati di Parigi: il Paese che non ha più smesso di guardarsi alle spalle
Tra allerta permanente e identità ferita: come il trauma del 2015 ha trasformato il popolo d’Oltralpe e fatto avanzare il dibattito europeo sulla sicurezza
Dieci anni dopo la notte in cui la Francia fu colpita al cuore, Parigi sembra aver imparato a convivere con un’allerta costante. Il Paese continua a muoversi, lavorare e ritrovarsi nei suoi luoghi simbolici — stadi, bar, teatri — con una postura diversa, più vigile, modellata dal trauma.
Dieci anni dopo gli attentati
Le telecamere che oggi sorvegliano Le Carillon, lo stesso locale attaccato nel 2015, raccontano questo mutamento meglio di qualunque discorso istituzionale. Non rappresentano soltanto un aumento del controllo, ma il segno di una normalità nuova, in cui il rapporto tra libertà e sicurezza ha cambiato equilibrio. Lo riconosce apertamente anche chi fu in prima linea.
Jean-Michel Fauvergue — alla guida del RAID durante le operazioni del 13 novembre e deputato macronista dal 2017 al 2022 — definisce l’apparato legislativo costruito negli anni successivi “il bellissimo scudo che offre un’eccellente protezione”. Secondo lui, questo assetto ha contribuito a prevenire nuovi massacri dopo quello di Nizza.
Nicolas Lerner, direttore dell’intelligence estera, ha osservato che la capacità delle organizzazioni jihadiste di condurre in Europa attacchi complessi si è “notevolmente ridotta”. Nessuno, tuttavia, considera superato il rischio. Il quadro normativo emerso tra il 2015 e il 2017 — che rafforza la sorveglianza, consente restrizioni senza previa autorizzazione giudiziaria e irrigidisce il controllo sulle organizzazioni religiose — appare ormai parte integrante della politica francese.
Il politologo Julien Fragnon interpreta questo processo come una dinamica irreversibile: “La legge, nella sua scala di gradazione, sale di un livello… e nessun politico vuole tornare indietro”. A distanza di dieci anni, nessuna forza politica ha mostrato intenzione di farlo.
Verviers: il prologo mancato del 13 novembre
Prima che la Francia conoscesse la notte del Bataclan, ci fu un preludio quasi dimenticato. Il 15 gennaio 2015, Verviers — cittadina vallona segnata dalla crisi industriale e da reti islamiste radicate — divenne teatro di un’operazione che, col senno di poi, appare come la prima stesura del copione del 13 novembre.
Al centro della vicenda c’era Abdelhamid Abaaoud, belga‑marocchino, figura di rilievo dello Stato Islamico, come spiega Le Figaro. Le autorità francesi lo indicheranno più tardi come il regista degli attacchi del 2015. In Siria, sotto il nome di Abou Omar al-Belgiki, aveva già acquisito una feroce notorietà: in un video diffuso nel marzo 2014 appariva mentre trascinava cadaveri, ridendo e insultandoli come apostati. Su di lui pendeva anche un mandato d’arresto della giustizia belga per la partenza verso la Siria.
Nel dicembre 2014 Abaaoud rientrò in Europa passando per Izmir, Lesbo e Atene, accompagnato da Sofiane Amghar e Khalid Ben Larbi. I due seguirono poi la rotta balcanica e entrarono in Belgio nei primi giorni di gennaio, sostenuti da una cellula logistica che Abaaoud coordinava dalla Grecia.
La polizia belga, ignota ai jihadisti, aveva già iniziato a seguirli. Le intercettazioni registravano movimenti sospetti, arrivi dall’estero, materiali da nascondere. Un sospetto disse: “Ho tutto”. Gli investigatori risalirono così a un appartamento al numero 32 di Rue de la Colline.
Il 15 gennaio scattò il blitz. Amghar e Ben Larbi vennero uccisi nel conflitto a fuoco, mentre un terzo uomo fu arrestato. Nell’appartamento la polizia trovò armi automatiche, pistole, munizioni e gli ingredienti per il TATP, l’esplosivo usato a Parigi e Bruxelles. C’erano anche uniformi di polizia, dettaglio che lasciava intendere un attacco contro le forze dell’ordine.
Due giorni dopo, ad Atene, gli agenti mancarono per poco la cattura di Abaaoud e trovarono su un computer schemi di ordigni e piani operativi. Il 12 febbraio, sulla rivista Dabiq, Abaaoud dichiarò: “Allah ci ha scelti per terrorizzare i crociati che fanno la guerra ai musulmani. Siamo riusciti a ottenere armi, abbiamo stabilito una safe house e pianificato operazioni contro i crociati”.
In quei giorni, il premier francese Manuel Valls chiarì che “sembra non vi sia alcun legame” tra Verviers e gli attentati di Parigi di gennaio. Non poteva sapere che Abaaoud, sfuggito alla cattura, stava già ricostruendo una nuova cellula con il sostegno dei fratelli Abdeslam.
Le reazioni italiane: memoria e identità nel decennale
Nel decennale della strage, anche l’Italia ha ricordato quella notte con parole cariche di memoria e monito. La politica italiana ha posto l’accento sulla minaccia persistente e sulla necessità di non abbassare la guardia.
Il vicepremier e leader della Lega, Matteo Salvini, ha scritto su X: “Dieci anni fa Parigi, l’Europa, l’Occidente venivano colpiti al cuore dalla strage del Bataclan. 130 vittime innocenti, tra cui la giovane italiana Valeria Solesin, uccise dal fanatismo islamista. A distanza di un decennio, l’estremismo islamico rimane la principale minaccia alla nostra sicurezza, ai nostri valori, alla nostra identità. Un pensiero alle famiglie e ai sopravvissuti: onorare la memoria di quella strage ci ricorda che non possiamo – e non dobbiamo – mai abbassare la guardia”.
Il presidente della Camera, Lorenzo Fontana ha aggiunto: “Il ricordo ci unisce nel rifiuto del fanatismo e nella difesa della libertà”.