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Lettera aperta alla ragazza di Azione studentesca di Milano minacciata dai collettivi antifascisti

La lettera aperta

Cara ragazza di Azione studentesca Milano, come te ho affrontato l’odio politico, lo sconfiggerai con il coraggio e la gioia

Una storica militante della destra milanese racconta la sua esperienza, negli anni '80, come rappresentante d'istituto al Natta e Besta, la stessa scuola della studentessa minacciata in questi giorni dai collettivi antifascisti del vicino Molinari, il liceo di Sergio Ramelli

Politica - di Elia Cevoli* - 23 Novembre 2025 alle 07:00

*Riceviamo da Elia “Eci” Cevoli, storica militante della destra milanese e collaboratrice del Secolo, una lettera aperta per la studentessa del Natta e Besta minacciata dai collettivi, poiché additata come “fascista” per la sua militanza in Azione Studentesca. Anche Elia fu, negli anni ’80, studentessa e rappresentante d’istituto al Natta e Besta, due scuole che condividono lo stesso edificio e che con il dirimpettaio Molinari sono avvertite dagli studenti pressoché come un unico plesso. Com’è noto, il Molinari era la scuola frequentata da Sergio Ramelli. 

Cara ragazza,

ti scrivo con affetto militante, da una che certe strade le ha già calcate con decisione e senza paura. Ti scrivo perché riconosco in te quella scintilla che non si insegna: la forza di stare nel mondo senza farsi intimidire, pur conoscendo i rischi. Negli anni 1982-1987, anni duri e splendidi insieme, io scelsi deliberatamente di andare nella scuola di Sergio. Scelsi il punto più caldo, il luogo più difficile, il terreno dove la politica era fatta di corpi e non di pose.

E lì, in quell’arco di tempo, riuscii a strappare Natta, Besta (allora IX), Molinari e Settimo dal buio della violenza antifascista. Non con slogan, ma con presenza, costanza e un lavoro politico che non ha niente a che vedere con le sceneggiate di oggi. La nostra lista era Fare Fronte. E fronte lo facemmo davvero.

La scintilla che fece esplodere lo scandalo cittadino fu nel 1986: l’occupazione con gli autonomi di via dei Transiti. Precisiamo: due “pazze” del Fronte della gioventù insieme a un “pazzo” che militava in via dei Transiti. Noi ce la cavammo con un’espulsione momentanea. A lui, che ancora oggi è tra i miei migliori amici, nonché mio testimone di nozze, andò peggio (grande e grazie Roby!). Per i pavidi dell’epoca era impensabile: «Gli opposti estremismi insieme?». E invece successe. Io e Rita lo rendemmo possibile perché guardavamo oltre i muri, oltre le etichette, oltre gli steccati ideologici. Per tre settimane la scuola fu un laboratorio politico: dibattiti vivi, assemblee vere, festa, musica, energia.

Cl e Fgci contro di noi – i soliti bigottoni, oggi piddini travestiti da moderati – e i bidelli dalla nostra parte. Dormire in scuola? Lo facevamo credere. In realtà quando loro chiudevano, si tornava a casa. E all’alba si era di nuovo lì all’apertura. Perché l’occupazione non era per distruggere, ma per migliorare, per aprire, per respirare.

La tensione però non era un gioco. Un nostro compagno, quindicenne, fu portato al Parco Lambro e minacciato di morte. Da lì presi una decisione netta: estromisi i maschi dal nostro nucleo. Li volevo vivi.

I militanti dei Comitati antifascisti dell’Innocenti, uomini che potevano essere mio padre, mi mostrarono un dépliant di sedie a rotelle per intimidirmi. Io risposi: «Ma ti rendi conto che potresti essere mio padre?». E girai le spalle. Coraggio sì, ma mai senza lucidità.

I professori? Assenti quando serviva. Mi facevano prelevare durante le lezioni per processi sommari, come se fossi io il problema. Ma anche quella solitudine mi è servita: mi ha reso più forte.

E ora veniamo a ciò che più di tutto voglio consegnarti: ti salverà la rete di amici veri, quelli oltre le appartenenze politiche. Gli stessi che hanno salvato me. Perché allora almeno c’era una certezza: i compagni rispettavano le donne. Oggi non è più così scontato. È per questo che devi costruire relazioni sane, solide, libere. La politica talvolta passa, i momenti cambiano: le persone giuste restano.

E ricordati sempre: fare politica è anche gioia. Le primine volevano venire in gita dove andavo io perché sapevano che dove c’era “la Eci” c’era vita, risate, casino, movimento, libertà. La politica senza gioia diventa solo rancore. Con la gioia, invece, sposta montagne.
E poi sì, era l’86, quello della canzone di Venditti. E noi eravamo davvero le ragazze dell’86. Oggi, guardandoti, sento una cosa semplice e profondissima: tu sei il coraggio di quei giorni miei.

Con affetto militante,
Eci

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di Elia Cevoli* - 23 Novembre 2025