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Aspettando l’Unesco, ma la cucina italiana è già “patrimonio dell’umanità”: fare zapping per credere

Identità a tavola

Aspettando l’Unesco, ma la cucina italiana è già “patrimonio dell’umanità”: fare zapping per credere

I programmi sulla nostra tradizione culinaria sono la testimonianza di tutto quello che c'è oltre il piatto: tradizione, memoria, territorio, stile di vita. Da Lidia Bastianich a Stanley Tucci, passando per Little Big Italy

Cronaca - di Guglielmo Pannullo - 23 Novembre 2025 alle 07:00

C’è un entusiasmo che profuma di basilico appena spezzato e un filo di apprensione che sa di cottura al dente: l’Italia attende dicembre, quando a New Delhi l’Unesco scioglierà la riserva sulla candidatura della cucina italiana a Patrimonio immateriale dell’Umanità. Non un piatto, non una tecnica, non una ricetta: tutta la cucina italiana, il suo modello culturale, i suoi gesti, la sua memoria, la sua identità.

È un traguardo storico che porta la firma di un governo che sulla difesa delle radici fa sul serio: il ministero dell’Agricoltura di Francesco Lollobrigida e quello della Cultura, prima con Gennaro Sangiuliano e poi con Alessandro Giuli, hanno costruito un dossier di una coerenza tale da ricevere un primo sì tecnico dagli esperti dell’Unesco. La verità è che la cucina italiana è molto più di una tradizione gastronomica. È un fatto pop, culturale, identitario. È la nostra lingua franca nel mondo.

Prima dei social network, prima degli influencer, prima della tv a colori, l’Italia aveva già un suo talent planetario: la propria cucina, schietta, ricca, riconoscibile e apprezzata ovunque. È attraverso i piatti — veri, poveri, ingegnosi, radicati — che il mondo ha imparato a conoscerci, amarci, imitarci (a volte bene, spesso meno). E anche quando la cultura globale si è appropriata della cucina, lo ha fatto parlando italiano. Basta guardare tre casi iconici.

La storia di Lidia Bastianich è l’Italia migliore: quella che nonostante la tragedia non perde la propria identità. Esule istriana, bambina costretta a fuggire dalle persecuzioni titine, rifugiata alla Risiera di San Sabba, emigrata in America nel ’58. Da lì, con un grembiule e una memoria culinaria tatuata nel cuore, ha costruito un impero del gusto che ha portato la cucina italiana ovunque. Con Lidia’s Table ha raccontato agli Stati Uniti che la tavola italiana non è un complemento d’arredo, ma il centro simbolico della casa e della vita. Raccontava ricette, certo, ma soprattutto raccontava l’Italia: quella che soffre, crea, tiene unita la famiglia, resiste. È la prova vivente che le radici italiane possono essere calpestate dalla storia, ma non cancellate. Joe Bastianich, suo figlio, ha saputo raccogliere il testimone – più imprenditoriale che identitario – ma sta comunque portando avanti un’ottima narrazione sul mondo della cucina, professionale e non.

In un mondo saturo di food blogger improvvisati e puristi da tastiera che pretendono di canonizzare ogni ricetta per un pugno di like, Little Big Italy restituisce la verità più semplice: l’autenticità italiana è un fatto popolare, non elitaro. Il programma mostra come la cucina italiana nel mondo sia un faro identitario per intere comunità di emigrati, e al tempo stesso un magnete irresistibile per chi italiano non è, ma vuole sentirsi tale almeno per una cena. Ovunque si vada, esiste un “italiano fuori casa” che impasta, cucina, trasmette — e difende — la propria italianità attraverso il cibo. A volte bene, a volte opportunisticamente, ma comunque con quel richiamo alla nostra identità collettiva sempre presente.

Con Searching for Italy, Stanley Tucci compie un atto d’amore verso la nostra penisola: racconta l’Italia attraverso la cucina perché sa che è lì che si custodisce l’anima del Paese. Le sue puntate sono un tributo all’idea che la cucina italiana sia, allo stesso tempo, popolare e sofisticata, semplice e colta, quotidiana e millenaria. Un codice identitario comprensibile a tutti perché nasce da una verità: non c’è piatto senza storia, non c’è regione senza memoria, non c’è sapore senza territorio. In Italia, ovunque vai, mangi bene. E c’è sempre uno storytelling, una narrazione, dietro ad ogni pietanza. Dall’acqua cotta dei butteri, alla zuppa di fieno alto atesina, alle dolcezze sicule.

Le radici, lo sappiamo, non hanno confini. Ce lo ricordano le storie più incredibili, come quella testimoniata dal giornalista Stefano Mensurati con Giulia Giacchetti Boico sugli italiani di Crimea: discendenti di famiglie che partirono ai tempi di Cavour, travolti poi dalle persecuzioni sovietiche, ma ancora oggi legatissimi all’Italia. E che cosa tiene vivo questo legame, fra le altre cose? Un gesto semplice, quotidiano, quasi domestico: le orecchiette pugliesi fatte a mano. L’agroalimentare italiano, ricordo dolce e materno della terra natìa. A secoli di distanza, dopo esodi, traumi, repressioni, quella comunità continua a impastare farina e acqua come si faceva nelle case pugliesi dell’Ottocento. È la prova che la cucina, come la tradizione, non è il passato, ma ciò che non passa. La tradizione è ciò che resiste, ciò che tiene insieme ciò che siamo stati e ciò che ancora siamo.

Oggi la cucina italiana vive anche nel grande show digitale. Da un lato, milioni di giovani fanno scoprire ricette, territori, trattorie dimenticate, creando un turismo agroalimentare che nessun altro Paese può vantare. Dall’altro, proliferano i “puritani della pasta”, i dogmatici del soffritto o della carbonara, i professionisti dell’indignazione culinaria. Fa parte del gioco. La cultura social, oggi, è così: amplifica e polarizza tutto. Ma resta un dato: nessun altro Paese ha questa forza di attrazione. Il mondo parla italiano quando si siede a tavola.

Ora l’Unesco potrebbe compiere il passo finale. La cucina italiana diventerebbe la prima al mondo a essere riconosciuta nella sua totalità come Patrimonio dell’Umanità: non un prodotto, ma un sistema culturale. Sarebbe la consacrazione di un’Italia che sa custodire e rinnovare le sue radici, che considera la tradizione non un museo ma una spinta creativa, che parla al mondo con la lingua universale del gusto. Restiamo in attesa, con il nostro misto di sorriso e scaramanzia, facendo le corna o giocherellando con un cornetto. Ma qualunque sarà il verdetto, una cosa è chiara: l’Italia è il Paese in cui la cultura e l’identità non sono il contorno, ma il piatto principale.

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