Il libro
“Accelerazionismo eretico”, il saggio di Francesco Boco che invoca un’Europa come il Neo di Matrix
Per stare al passo con i processi tecnici che dominano il corso degli eventi, l'autore invita a recuperare «la radice del pensiero europeo per collocarsi nella storia come potenza attiva e centrale». Ricordando la lezione di Guillaume Faye sul fatto che «la tradizione europea sta nell’innovazione permanente»
C’è convinzione, diffusa e spesso non a torto, che questo lato dell’Occidente travolto dal destino (non insolito per tirare in ballo Lina Wertmüller e la sua fortunata pellicola) della Seconda Guerra Mondiale sia diventato la periferia delle avanguardie e del pensiero. Perché le idee anticipano e ci descrivono cosa ci sarà dopo. Quindi l’entropia dell’Europa ci pone in posizione subalterna nei confronti degli Stati Uniti d’America. Lì, osservando nei meandri di un mondo descritto perfettamente da Henry Miller – leggasi il suo Incubo ad aria condizionata, una stroncatura dell’american a way of life prima dell’american a way of life – ci sono pensatori europei e italiani che pongono le loro riflessioni sul crinale delle sfide dell’odierno. Uno di questi è Francesco Boco. Agitatore culturale, tra i fondatori del progetto Prometheica e dell’iniziativa editoriale Polemos, ha recentemente pubblicato per i tipi di Passaggio al Bosco il volume Accelerazionismo eretico. Oltre il regno per creare l’avvenire (288 pp.; 16,00€) con la prefazione della penna de La Verità Adriano Scianca.
Chiariamoci subito le idee. Boco è entrato, sfondando la porta, nel salone di una delle attitudini culturali degli ultimi decenni proveniente dal mondo anglosassone: l’accelerazionismo. Certo il prologo di questa visione nasce in Francia con Deleuze e Guattari, ma la messa a terra è opera di Nick Land e Mark Fisher. E su questa lunga scia incontriamo ora Musk, Thiel e Andreessen in una commistione tra pensiero e tecnica. Tra stringhe di dati e filosofia.
Entrare in questo spazio è come, a fine del secolo scorso, porsi davanti alla visione del film Matrix. La consapevolezza di vivere immersi non solo nel capitale globale, ma al centro delle alterazioni generate della più vecchia ideologia, tolte quelle religiose, esistente ovvero il liberalismo. Ecco dove opera l’autore. Ma il suo pregio principale è quello di porre questi concetti, generati al di là dell’Atlantico e della Manica, in mezzo al tavolo europeo. «La tendenza che ha preso piede in America – dice ai nostri taccuini Boco – sta trasformando rapidamente il mondo per come lo conosciamo. Ha senso parlare di accelerazionismo perché i processi tecnici dominano il corso degli eventi, allo stesso tempo costringono il pensiero a stare al passo, a essere veloce. Non è un caso che diverse figure chiave di questo frangente storico abbiano lauree in filosofia, vedi Thiel e Karp, o si dedichino allo studio di materie umanistiche».
Ecco la chiave. «Io mi domando, che ruolo può avere l’Europa?». L’atrofia delle visioni a queste latitudini è conseguenza dell’uscita – come italiani, francesi, spagnoli, tedeschi e via via – dalla storia. Serve, quindi, una scossa. «Come può innestare una sua prospettiva il nostro continente e creare una visione di lungo periodo in una tendenza che viene dall’esterno? Recuperando la radice del pensiero europeo e impiegandola in tutta la sua portata per darsi un nuovo inizio, per collocarsi nella storia come potenza attiva e centrale». Basta passività è il momento di agire. «Se la tecnica è un modo dell’Essere, velocizzare il processo di mutazione tecnica può aprire a una più completa comprensione dell’Essere nella sua radicale, pericolosa, presenza», aggiunge infine Boco.
Le pagine sono intrise di una verticalità cibernetica che spaventa popoli disabituati a scegliere la sorte da esploratori, eppure solo nell’avanti troveremo la capacità di riappropriarci di termini come progresso – parola usata per la prima volta con accezione politica ai tempi di Francesco Bacone – essenza ultima dell’intraprendenza insita nel codice genetico d’Europa. Nell’introduzione è lo stesso Scianca a scavare attorno alla parola cibernetica che «deriva da kybernetes, “pilota di navi”». Una pratica eternamente tesa dove dovremo incrociare «la finezza che ci occorrerà per saper trovare, tra le macchine, i nostri alleati futuri». Ed è qui aggrappati a Spengler e Heidegger che sorge «il pensiero accelerazionista», capace di «spingere il processo alle sue estreme conseguenze», come scrive l’autore nel testo, «accettare il rischio di saltare i passi intermedi, lasciarsi alle spalle ogni cautela e disprezzare le forze conservatrici che trattengono (Katechon) – per dirla alla Cacciari, ndr – così da raggiungere il punto zero del passaggio alla nuova era. Qualsiasi essa sia, qualsiasi cosa essa porti con sé».
Questo scenario potrebbe toglierci il fiato, ma inserito nella visione locchiana del tempo tridimensionale, ovvero sferico, ci riporta ancora una volta davanti al mito. Perché sul campo da gioco dove siamo protagonisti passato, presente e futuro ritornano imperterriti. Come nel calcio a un pallone scagliato verso l’incrocio del nostro destino. Era lo stesso Guillaume Faye, del resto, a dirci che «la tradizione europea consiste nell’innovazione permanente» e leggere questo saggio è il viatico per riscoprire il suddetto aforisma.
«Dunque, se si accoglie la tesi di nichilismo, affermata da vari autori di spessore, non ci si può limitare a constatare il vuoto, la disgregazione. Il nichilismo che mette in crisi vecchi ordinamenti, fa emergere anche i presupposti perché un nuovo ordine sorga. Ebbene: dobbiamo essere parte attiva di questa nuova formazione. E bisogna essere veloci»: ci lascia così Francesco Boco. Tocca a voi decidere, a questo punto, quanto è profonda la tana del Bianconiglio.