
A 50 anni dalla morte
Un anniversario “corsaro”: leggere Pasolini da destra per salvarlo dalla retorica della sinistra
Mai come oggi è al Pasolini “trasversale”, anticipatore della crisi delle vecchie ideologie, che bisogna sapere guardare. Per ritrovare il valore di una memoria nazional-popolare e l’inquietudine di chi cerca nuove rotte e nuove sfide
Il prossimo anniversario della morte di Pier Paolo Pasolini (2 novembre 1975) porta inevitabilmente con sé il rischio che sia la retorica d’occasione (così cara a certa sinistra) ad orientare l’approccio verso una delle figure più complesse della recente storia culturale italiana, laddove è proprio la sua complessità a farne un personaggio dai tanti volti, originale e trasgressivo, inquieto e ribelle.
Al di là di ogni schematismo ideologico Pasolini è il poeta civile legato al dialetto friulano, “lingua pura per poesia”; l’irriverente regista cinematografico; l’attento studioso di un’Italia stravolta dalla “modernizzazione”; il nostalgico di un mondo arcaico, fatto di lucciole, di lanterne ad olio e di processioni del Santo Patrono; il populista ed il reazionario, il cattolico ed il comunista; fino ad essere l’anti-antifascista fuori dagli schemi (pronto a denunciare – nel pieno degli Anni di piombo – un antifascismo di comodo, impegnato a “dar battaglia a un fenomeno morto e sepolto, archeologico appunto, che non può più far paura a nessuno”).
La destra degli Anni Sessanta inizialmente lo detestò per le sue idee e soprattutto per la sua dichiarata omosessualità (che peraltro gli era costata l’espulsione dal Partito Comunista, con l’accusa di avere condiviso “… le deleterie influenze di certe correnti ideologiche e filosofiche dei vari Gide, Sartre e di altrettanto decantati poeti e letterati, che si vogliono atteggiare a progressisti, ma che in realtà raccolgono i più deleteri aspetti della generazione borghese” – come scrisse, nell’ottobre 1949, “L’Unità”).
I suoi primi film furono oggetto di dure contestazioni da parte delle organizzazioni giovanili missine, con l’inevitabile strascico di incidenti, di fermi e contusi. Giornali “d’area” come “Lo Specchio”, “Il Borghese”, “Il Secolo d’Italia”, “Il Meridiano” e “L’Italiano” ne fecero un bersaglio privilegiato. E tuttavia a destra c’era anche chi non disdegnò il dibattito, come Piero Cerullo, storico dirigente del movimentismo giovanile, protagonista, con lo scrittore, nella Modena del 1958, di un animato, ma civile confronto ascoltato da una platea costituita per la massima parte da giovani di sinistra in un rigoroso silenzio.
Poi lentamente arrivò il tempo dell’attenzione ed infine – non sembri un paradosso – dell’innamoramento, per il suo andare contro, negli “Scritti corsari” (1975), i tabù del pensiero egemone, quello del partito borghese e radicale di massa. Contro l’aborto, contro l’omologazione consumistica, contro la scomparsa delle lucciole. E prima ancora contro la falsa contestazione dei giovani borghesi del ’68, coccolati dalla cultura dominante (di sinistra). Pasolini anche qui andò oltre, simpatizzando con i poliziotti (“perché – scriveva – sono figli di poveri./ Vengono da periferie, contadine o urbane che siano”) contro i “figli di papà” ricchi e borghesi.
Fino ad arrivare, nel suo ultimo libro di poesie (“La nuova gioventù”, 1975) ad affidare il suo testamento politico e morale ad un “giovane fascista”, espressione di una destra ”sublime”. La poesia in questione si intitola “Saluto e augurio” ed è scritta in friulano, la lingua del primo Pasolini, dell’identità profonda, dell’attaccamento alla sua terra. Vi si legge – tra l’altro: “Difendi i campi tra il paese e la campagna, con le loro pannocchie abbandonate. Difendi il prato tra l’ultima casa del paese e la roggia. I casali assomigliano a Chiese: godi di questa idea, tienla nel cuore. La confidenza col sole e con la pioggia, lo sai, è sapienza sacra. Difendi, conserva, prega!”.
Dopo averlo contestato, la destra non a caso gli concesse l’onore delle armi in occasione della sua morte, (evidenziandone da subito – come scrisse, sul “Secolo d’Italia” Franz Maria D’Asaro – l’ “Appropriazione indebita” da parte del Pci) poi iniziò ad interrogarsi sull’essenza del suo pensiero, sul suo essere “oltre” le vecchie appartenenze ideologiche.
Il 3 dicembre 1988, nella sezione del Msi-Dn di Acca Larenzia di Roma, si tenne l’incontro “Ripensare Pasolini … scandalosamente”, organizzato da Lodovico Pace, Teodoro Buontempo e Adalberto Baldoni. L’iniziativa innescò un ampio dibattito sulla stampa italiana: questa volta a destare scandalo erano stati i missini, impegnati a discutere, senza tabù, l’intellettuale … “corsaro”. Dall’altra parte il banale e piccato conformismo dell’intellighenzia di sinistra, pronta a parlare di sfrontatezza e di povertà culturale, ma ormai incapace di comprendere il valore autenticamente “trasgressivo” del percorso pasoliniano, poco più di un santino per la “sensibilità” culturale dei suoi estimatori.
Fuori dal coro – come già allora sapeva fare – Massimo Fini, che, su “Il Giorno”, andò dritto al cuore del problema: l’incapacità della sinistra di portare avanti i grandi temi della polemica pasoliniana, riducendosi a qualche celebrazione di facciata. Una scelta non casuale – puntualizzava Fini – espressione “della volontà di eludere le scomode domande che Pasolini poneva non solo alla società nel suo complesso, ma proprio alla sinistra, al suo materialismo, al suo sposare acriticamente il mito dello sviluppo e del progresso, a quel suo identificarsi, di fatto, col capitalismo e con le leggi di mercato … La destra non fa altro che riempire un vuoto colpevolmente lasciato dalla sinistra”.
Beppe Niccolai, figura storica della “sinistra missina”, arrivò a dichiarare la comunanza con Pasolini per la “critica radicale alla società dei consumi” e la volontà di “oltrepassare” le scontate definizioni di destra e sinistra. Nel 2010 furono Adalberto Baldoni e Gianni Borgna a sanare ogni cesura, attraverso il libro “Una lunga incomprensione. Pasolini fra Destra e Sinistra” , edito da Vallecchi. Baldoni, negli Anni Cinquanta e Sessanta, era stato ai vertici della Giovane Italia e del Msi, dirigendo varie testate dell’area di destra, per poi approdare al “Secolo d’Italia” e alla saggistica storica. Sul versante opposto, Borgna era stato segretario della Federazione Giovanile Comunista di Roma e, in seguito, consigliere del Pci alla Regione Lazio e assessore alla Cultura del Comune di Roma.
Due mondi culturali che si incontravano, proprio in ragione della trasversalità di un intellettuale fuori dagli schemi, a cui non si addicono, ieri come oggi, le sterili celebrazioni d’occasione, i paginoni inconcludenti della retorica conformista, che ci auguriamo non venga a segnare il prossimo cinquantenario pasoliniano. Mai come oggi è al Pasolini “trasversale”, anticipatore della crisi delle vecchie ideologie, che bisogna sapere guardare. Per ritrovare il valore di una memoria nazional-popolare e l’inquietudine “corsara” di chi cerca nuove rotte e nuove sfide.
Parlare di Pasolini, ben oltre la sua ricca produzione culturale, vuole dire interrogarsi anche su questo: di vecchi tabù infranti, di autentica volontà di guardare al presente con l’occhio rivolto al futuro, soprattutto di un nuovo radicalismo culturale. Non solo per un dovere di memoria e di verità. Nel confronto/scontro con Pasolini vanno recuperate le ragioni di un’epoca, fatta di passioni forti ed insieme della volontà di andare oltre le facili e scontate schematizzazioni ideologiche, così care alla vecchia sinistra, ma ben lontane dal sentire pasoliniano.