L'editoriale
Torna la violenza comunista: pensare di cavarsela con un «fascista!» non sarà la soluzione
Chi ha tappato la bocca a Fiano sono stati gli studenti comunisti, gli antifascisti militanti, i neo-stalinisti. Quelli per i quali il “fascismo” – ossia ogni cosa che non rientri nel proprio abbecedario – si combatte con il “metodo comunista” che prevede, dalla notte dei tempi, ogni atto illiberale: bavaglio e mazzate incluse
Le parole, insegna Lacan, hanno la stessa forza dei simboli: formano anch’esse la nostra idea di realtà. Davanti a una precisa realtà – la violenza e l’intolleranza di molte, troppe, sue frange – la sinistra istituzionale ha perso da tempo le parole. O meglio non riesce a pronunciare altro che la solita parola: pensa di cavarsela con un «fascista!». L’ultima è il caso di Emanuele Fiano. L’ex parlamentare del Pd ed esponente autorevole della comunità ebraica, dopo la grave contestazione subita a Venezia dai militanti del Fronte della gioventù comunista (al grido di «fuori i sionisti dall’Università») non è riuscito proprio a chiamare le cose con il proprio nome. L’atto discriminatorio e liberticida dei pro-Pal nei suoi confronti? «Atteggiamento fascista», così lo ha definito.
Un esercizio di “neolingua” orwelliana? Una rimozione a tutti gli effetti? Da un certo punto di vista si potrebbe pure capire lo sgomento nello sgomento: le contraddizioni, in questa dolorosa vicenda che riguarda il destino di Gaza, sono tutte interne alla sinistra. È in quelle manifestazioni che le contestazioni alle politiche di Netanyhau hanno assunto tutte le sembianze di una campagna antisemita. Ammetterlo e prenderne apertamente le distanze, dalle parti del Nazareno che da quelle piazze pensa (sbagliando) di poter monetizzare consenso, è ormai una vana speranza. Fa un po’ effetto però che nemmeno un esponente come Fiano, animatore di “Sinistra per Israele” e non certo vicino alle tesi dei giallo-rossi, abbia voluto qualificare i suoi assalitori per quello che sono.
E allora un punto deve essere stabilito, una volta per tutte: non si tratta di «fascisti rossi» (come li ha definiti un altro dem come Filippo Sensi o come spesso ripete persino qualche esponente del centrodestra) né si può sviare con «metodo fascista» una prassi che ha dei richiami ben precisi. Per essere ancora più chiari: chi ha tappato la bocca a Fiano – e prima ancora a David Parenzo e a Maurizio Molinari, sostenitori “da sinistra” del diritto ad esistere di Israele – non sono stati i giovani neofascisti. Sono stati gli studenti (molti un bel po’ fuori corso) comunisti, gli antifascisti militanti, i neo-stalinisti. Quelli per i quali il “fascismo” – ossia ogni cosa che non rientri nel proprio abbecedario – si combatte con il “metodo comunista” che prevede, dalla notte dei tempi, ogni metodo illiberale: bavaglio e mazzate incluse.
Ha fatto e detto bene Ignazio La Russa, la seconda carica dello Stato, a solidarizzare apertamente con Fiano sottolinenando, però, che in questo caso «citare il fascismo come principio guida per i pro Pal è un po’ azzardato. Forse riservare al fascismo le indubbie colpe storiche verso gli ebrei italiani e chiamare invece col loro nome le idee che ispirano oggi i proPal sarebbe più onesto e opportuno». Piaccia o no è questa l’idea di realtà con la quale la sinistra istituzionale, giornalistica e culturale deve fare i conti e imparare a chiamare per quello che rappresenta.
Intolleranti oggi solo dopo l’azione sconsiderata dell’esercito d’Israele nei confronti dei gazawi? Non proprio. C’è una lunga storia di discriminazioni del «metodo comunista»: dalle violenze dei partigiani rossi contro i “partigiani bianchi” all’odio dei comunisti contro gli esuli giuliano-dalmati (con il latte gettato a terra al passaggio del treno che li trasportava dalle loro terre, pur di non sfamare i figli del confine orientale). Dalla violenza fisica dell’antifascismo militante a quella parolaia degli «antifascisti immaginari»: la versione farsesca e salottiera stanata e ritratta perfettamente da Antonio Padellaro nel suo ultimo pamphlet.
Sono gli stessi che oggi evocano nei cortei «10, 100, 1000 Acca Larentia», quelli che dipingono Charlie Kirk appeso a testa in giù, quelli che bruciano nelle piazze le immagini di Giorgia Meloni, quelli che assaltano i banchetti dei movimenti di destra e che impediscono ai giornalisti “non allineati” di poter parlare all’università o di poter esprimere le proprie posizioni nei dibattiti. E sì, sono gli stessi che contestano la «Brigata ebraica» alle celebrazioni del 25 aprile.
Sono un gran problema per la sinistra. O almeno dovrebbero esserlo per Schlein & co: perché ne invadono sempre di più gli spazi, l’agenda, l’identità. Qualcosa che non può essere ignorato ancora per molto da quelle parti o pensare che si possa risolvere “camuffandolo” goffamente con gli spettri del fascismo. Il problema a sinistra si presenta in carne ed ossa ed è più vivo che mai: si chiamano comunisti. E lo sono di fatto. O meglio: coi fatti.
Il ritorno dell’antisemitismo di sinistra sveglia la parte dormiente che attacca a testa bassa!
La Elly gruppettara cade dal pero insieme ai suoi compagni che fanno finta di non vedere quello che succede alle loro spalle!
Ormai il bubbone è saltato , adesso devono uscire tutti allo scoperto !
Tra immunità, impunità e complicità una buona parte della sinistra ormai
è ostaggio di una parte violenta e antisemita della loro stessa compagnia che ogni giorno facendo finta di niente “marciano” a braccetto ” sotto i cartelloni con la Meloni con le mani sporche di sangue, bruciano le bandiere di Israele e il 7 ottobre lo festeggiano come una sorta di resistenza!