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Donatella Di Cesare, Ilaria Salis, Francesca Albanese

Icone à porter

Salis, Albanese, Di Cesare: fenomenologia delle nuove “Papesse” per capire fino in fondo il disastro della sinistra

Una volta i modelli di riferimento erano Iotti, Anselmi, Merlin. Guardando a quelli di oggi non si può che prendere atto che qualcosa nel processo evolutivo della sinistra al femminile deve essere andato davvero storto

Politica - di Dalila Di Dio - 12 Ottobre 2025 alle 07:00

C’erano una volta Nilde Iotti, Tina Anselmi e Lina Merlin, icone a cui le giovani donne di sinistra potevano volgere lo sguardo immaginandosi deputate, senatrici e persino ministri in un tempo in cui tutto questo era ancora, purtroppo, l’eccezione. Donne capofila di una schiera di migliaia di altre donne volitive, ambiziose e testarde che in pochi decenni hanno trasformato quell’eccezione in normalità: nessuna di loro entrerebbe mai in un immaginario Pantheon della destra eppure a loro si guarda ancora, dalla riva opposta, con rispetto e considerazione.

Se è vero, però, che gli alberi si vedono dai frutti, qualcosa nel processo evolutivo della sinistra al femminile deve essere andato storto, stortissimo: le madri nobili del nostro tempo, ne siamo certi, creerebbero non poco imbarazzo alle loro antesignane, al punto da farle dubitare della pervicacia con cui si sono battute per la partecipazione delle donne alla vita politica del Paese.

Sì, perché le nuove matrone della sinistra italiana sono piuttosto pittoresche e a tratti potenzialmente pericolose: si va dall’antifascista militante amica di picchiatori in terra magiara, alla paladina del concetto per cui i terroristi “devono essere compresi”, passando per l’accademica malinconica per la scomparsa della “compagna” brigatista.

È di qualche giorno fa il salvataggio ai punti – è proprio il caso di dirlo – di Ilaria Salis, graziata dagli europarlamentari che, col favore del voto segreto, hanno rigettato la richiesta di revoca dell’immunità avanzata dall’Ungheria, che chiedeva solo di poterla processare per i gravi delitti di cui è accusata. «La vittoria dell’antifascismo», ha commentato la maestra occupatrice di immobili altrui. «Vince lo stato di diritto», è il coro unanime dei progressisti e via di festeggiamenti pugnetto d’ordinanza al vento. D’altronde, come avrebbero potuto sopravvivere le istituzioni europee senza il prezioso contributo di una pluripregiudicata, paladina delle occupazioni abusive, candidata solo perché imputata in un procedimento penale con l’accusa di aver sprangato un tizio in nome dell’antifascismo?

E mentre grazie alla Salis (e ai franchi tiratori) si celebrava il ritorno allo stato di diritto, sancendo implicitamente che l’Ungheria non sarebbe un Paese civile, in terra calabra si consumava la disfatta di un’altra delle “sante” portate in processione da mesi dalla sinistra nostrana: 499 volte santa, per la precisione; 499 come il numero delle persone che hanno avuto il coraggio di scrivere sulla scheda elettorale il nome di Donatella Di Cesare, professoressa universitaria e filosofa (così scrive Wikipedia), che così commemorava via social la vita e le opere della brigatista Barbara Balzerani, all’indomani della sua morte: «La tua rivoluzione è stata anche la mia. Le vie diverse non cancellano le idee. Con malinconia un addio alla compagna Luna. #barbarabalzerani». E chissà quanto sarà stato malinconico Tridico davanti al disastroso risultato della imbarazzante candidata, difesa a spada tratta dall’intellighenzia di sinistra quasi al completo.

Tempi duri anche per “nostra signora del genocidio”, Francesca Albanese, da mesi sulla cresta dell’onda, che sulla causa palestinese – rectius la causa di Hamas – ha costruito un brand internazionale: sguardo penetrante, voce melliflua, look studiato, Albanese incarna il perfetto agente di influenza. Peccato che il messaggio che porta in giro per teatri, consigli comunali, piazze e sagre sia che in fondo i terroristi vanno capiti perché senza di loro tutto questo – col dubbio che sia da intendersi la sua ascesa all’olimpo del progressismo – non sarebbe stato possibile. Che l’istrionica rapporteur Onu, autodeclassatasi da avvocato a semplice giurista dopo aver usato per anni un titolo mai conseguito, abbia le spalle ben coperte a dispetto del vittimismo, lo dimostra la sfrontatezza con cui ha attaccato impunemente la senatrice Segre, accusandola di essere poco lucida a causa del suo trascorso.

Chiunque altro sarebbe stato impalato sulla pubblica piazza ma per lei, al netto di qualche timida presa di distanza, tutto sommato non ci sono state ripercussioni di rilievo: evidentemente, anche la senatrice a vita è sacrificabile sull’altare dell’astro nascente di Ariano Irpino. Albanese gode di un credito illimitato: bullizza e poi perdona sindaci del Pd, giustifica sanguinari terroristi in pubblici consessi e impartisce lezioni a vittime della Shoah. Come si riciclerà ora che la pace in Medio Oriente sembra vicinissima grazie a coloro che ha ripetutamente e reiteratamente accusato di complicità in genocidio?

Mentre aspettiamo risvolti, non possiamo che osservare quanto sia stata precipitosa la parabola che ha portato da Tina Anselmi a Ilaria Salis, da Nilde Iotti a Donatella Di Cesare, da Lina Merlin a Francesca Albanese. D’altronde, lo scenario attuale si attaglia perfettamente a questa sinistra guidata da Elly Schlein che, mentre il mondo è in fiamme, si preoccupa dei matrimoni tra omosessuali ballando sui carri del pride. Conoscendoli, però, non c’è molto da preoccuparsi: i simboli della sinistra durano il tempo di una stagione teatrale. Le audizioni, la prova generale, poi la prima, qualche replica in giro per il Paese. Giusto il tempo di ricevere qualche prestigioso premio per la preziosa opera prestata, poi una tirata d’acqua e avanti la prossima.

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