
L'intervista
Quando le canzoni romane incontrano il Rap. Sulle note di Chino: “Racconto Tor Marancia, non mi interessano le tessere di partito”
Dalle canzoni popolari al genere Rap. Non è il titolo di un libro, ma l’esperienza musicale di Filippo Pisani, rapper 25 enne romano e originario di Tor Marancia. Nel panorama dell’Hip-hop è ancora un emergente, ma le sue canzoni sono un richiamo alla “giungla urbana” della capitale e alle periferie. In un’intervista al Secolo d’Italia, l’artista ha svelato il significato del suo nome che viene “dalle penne cancellabili” usate dalle due sorelle più piccoli. Una storia affettuosa che va di pari passo con l’amore per la sua zona: “Ci sono dei posti che per me sono fondamentali e infatti nel mio ultimo disco intitolato “Binario 35″ parlo di piazza Bompiani, che si trova proprio sotto casa mia”. Non è un alieno in patria e gli piace la definizione di “stornellare rap”, soprattutto perché fin da piccolo ascoltava artisti romani come Gabriella Ferri, Franco Califano, Lando Fiorini e Claudio Villa.
La sua intenzione primaria è quella di “valorizzare il posto da dove vengo” e lo fa anche prendendo in prestito le parole del collega Krs One: “Il Rap è quello che sei e da dove vieni”. Il suo profilo musicale e personale sembra essere quello di un pluralista: “Io racconto la mia vita e la dono alle persone, non chiedo all’ascoltatore di che partito sia e come la pensa su certi temi”.
Com’è nato “Chino”?
Quando ho iniziato a scrivere i testi usavo le penne cancellabili, perché ho due sorelle più piccole che le utilizzavano a loro volta per la scuola. Mi rimaneva sempre l’alone d’inchiostro alla mano e quindi è venuto fuori “Chino” (dalla China ndr). Tra l’altro, mi piaceva anche avere l’inchiostro sulla pelle. Per quanto riguarda il mio percorso musicale, devi sapere che io sono un grande fruitore di musica da quando ho memoria, perché sono cresciuto in una famiglia che mi ha stimolato all’ascolto. Mia nonna era una grande appassionata di opera lirica e di musica classica, mentre altri miei parenti ascoltavano altra musica romana tradizionale. Sono cose che ricordo con piacere, perché le collego a casa mia. A 14 anni, invece, ho scoperto il genere rap e lì mi sono innamorato: un sentimento nato tra i banchi di scuola. Comunque sia, in quello che faccio c’è tanto amore e tanta passione».
Come valorizzare le periferie?
«Innanzitutto io cerco di valorizzare il posto da dove vengo, che è Tor Marancia. Prendendo in prestito una citazione del rapper Krs One: “Il Rap è quello che sei e da dove vieni”. Io ho un amore incondizionato per il mio quartiere e quindi mi viene spontaneo parlarne: insomma, la mia zona è il teatro della mia vita. Ci sono dei posti che per me sono fondamentali e infatti nel mio ultimo disco intitolato “Binario 35” parlo di piazza Bompiani, che si trova proprio sotto casa mia. Si tratta di un luogo a cui sono affezionato, perché ci ho passato l’adolescenza e tutt’ora rimane una stella polare. Cerco sempre di descrivere agli ascoltatori lo scenario in cui vivo e che magari non conoscono, perché magari provengono da un altro quartiere. Lo faccio con il mio sguardo e attraverso il mio punto di vista».
Il termine “Stornelliere rap” le si addice?
«Sì, a me piace. Negli Usa il genere rap nasce dal campionamento, ossia dalla musica che gli artisti ascoltavano a casa. Io però sono nato a Roma e mi piace unire le canzoni popolari con questo genere, che poi rappresenta il modo in cui mi esprimo. Ci metto dentro la mia storia e quella di un ragazzo che viene da Roma. Nei fatti, lo stornello è rap allo stato puro. A tal proposito mi è venuta in mente una scena del film “Mamma Roma” di Pierpaolo Pasolini, in cui c’è Anna Magnani che scambia alcune battute con Franco Citti. Sembrava quasi un “dissing”, visto che nella pellicola non si stavano simpatici».
Nelle canzoni cita Gabriella Ferri e Carlo Verdone, ha una visione tradizionalista di Roma?
«In parte sì. Più che tradizionalista ho le mie “colonne portanti”, sono legato al passato ma anche al presente. L’importante è che una figura mi trasmetta la romanità. Tra gli attori più importanti per me ci sono Carlo Verdone, Thomas Milian, Alberto Sordi e Christian De Sica. Tra quelli della nuova generazione preferisco Pierfrancesco Favino e Edoardo Pesce. Quanto ai cantanti, mi piacciono tantissimo sia Gabriella Ferri che Franco Califano. Ascolto anche Lando Fiorini e Claudio Villa. D’altronde sono le voci che ascoltavo fin da piccolo».
Preferisci il Rap o la Trap?
«Sono due generi che vengono dalla stessa famiglia, ma vengono eseguiti in modo diverso. Si tratta di stili d’espressione differenti, io comunque ascolto tutto senza fare differenze. Mi trovo meglio con l’Hip hop anche se è pieno di contaminazioni. Il lavoro musicale che sto facendo con il mio produttore, ossia Rōōmer, punta ad influenzare il suono. D’altra parte la musica è piena di stili e quindi credo sia giusto sperimentare. Lui peraltro viene dalla musica elettronica e mi piace che ci metta del suo. C’è anche un altro produttore a cui tengo nella mia vita, che è Promo l’inverso, che ha prodotto le tracce di “Binario 35”. Tengo a precisare che sono molto felice di far parte dell’etichetta “Grande Onda”, fondata dal rapper romano Piotta (Tommaso Zanello ndr). Con questa realtà mi trovo benissimo perché è come una famiglia».
Il Rap può educare i ragazzi contro le dipendenze?
«Bella domanda, diciamo che la musica può essere salvifica. Ascoltando la musica mi sono arrivati anche messaggi positivi. Ogni artista ti racconta la sua esperienza e nel momento in cui capisci cosa sta dicendo, allora ottieni una conoscenza maggiore di una certa realtà. Il Rap può essere un modo di acquisire delle informazioni anche su un argomento che può essere meno conosciuto, anche da un ragazzino».
Questo genere può essere trasversale da destra a sinistra?
«Io racconto la mia vita e la dono alle persone, non chiedo all’ascoltatore di che partito sia e come la pensa su certi temi. Non è mio compito fare processi, io faccio l’artista e parlo di quello che c’è attorno a me. Non mi metto a giudicare le idee degli altri, anche perché la musica è fatta per tutte le persone. Allo stesso tempo, sottolineo che chi non è d’accordo con il mio pensiero può sentirsi libero di ascoltarmi o meno».