
L'editoriale
Manovra, atto IV: entra in scena il ceto medio. Il “piano decennale” prende forma
La quarta manovra del governo Meloni rappresenta l’ulteriore tassello di un’architettura ambiziosa che di anno in anno prende corpo: quella di un’Italia che vuole tornare a reggersi sui pilastri chiamati occupazione, partecipazione e proiezione
La quarta manovra del governo Meloni rappresenta l’ulteriore tassello di un’architettura ambiziosa che di anno in anno prende corpo: quella di un’Italia che vuole tornare a reggersi sui pilastri chiamati occupazione, partecipazione e proiezione. Le prime tre leggi di Bilancio – come sanno bene i lettori del Secolo – sono state indirizzate principalmente ad affrontare le emergenze di questi anni, frutto della “tempesta perfetta”: l’incrocio fra guerra, inflazione e carestia.
Davanti alle necessità dell’Italia sofferente si è deciso di mettere in sicurezza prima di tutto i ceti sociali più esposti alla crisi: di qui i provvedimenti fondamentali contro il caro energia e le misure sociali come il taglio del cuneo contributivo e l’accorpamento dei primi due scaglioni dell’Irpef. Tutto questo – con l’abolizione del reddito di cittadinanza – accompagnato dallo stimolo della vocazione produttivista delle aziende e dal sostegno alla domanda (di lavoro). Spesso si dice nei dibattiti: «Ma queste misure sono state “di sinistra”…». Vero. L’unico ad non accorgersene è stato Maurizio Landini che anche quest’anno ha minacciato il solito sciopero generale “preventivo”: caso singolare di un leader sindacale che organizza una «rivolta sociale» contro un governo che taglia le tasse sul lavoro e ottiene il record di occupazione stabile.
“Landini su Marte” a parte, è vero ovviamente – prendendo per buone queste categorie un po’ datate – che è anche “di destra” l’impegno dell’esecutivo. La quarta manovra, con il taglio dell’aliquota Irpef (dal 35 al 33%), ha come obiettivo, infatti, il ceto medio: la spina dorsale, la parte più dinamica della Nazione. Sostenuta non solo sul fronte delle tasse ma anche su quello del sostegno alla famiglia (detrazioni più alte per chi ha un figlio) e del diritto a ripartire (con la “pace fiscale” che prevede la rottamazione delle cartelle esattoriali fino al 2023).
Ma insomma: è di destra o di sinistra la politica del governo? È la sintesi interclassista, bellezza: tipica formula di un’esperienza realmente laburista e nazionale. Non più una scommessa, dunque: è ormai una stabile certezza. Realtà apprezzata non a caso dai mercati finanziari (l’elemento che avrebbe dovuto rappresentare il “perturbante” di questa stagione secondo i profeti di sventura. E invece…) così come dai mercati rionali, dato che il consenso nei confronti del governo e per le forze della maggioranza – a tre anni ormai dalla vittoria delle Politiche – è tutt’altro che in discesa.
Cartina di tornasole il fatto che gli interlocutori sociali più attrezzati – sia sul fronte imprenditoriale che su quello sindacale e del terzo settore – continuano ad apprezzare e a sostenere l’azione della compagine capitanata da Giorgia Meloni: la promozione giunta del forum Ambrosetti e dal meeting di Cl poche settimane fa, così come la soddisfazione di Confindustria per la manovra e quella del sindacato cattolico della Cisl giunte ieri rappresentano il sigillo di un milieu che vuole tenere e far crescere insieme il corpo produttivo nazionale.
Ultima annotazione rivolta a chi ha giudicato la legge di Bilancio appena presentata una “manovrina” (18,7 miliardi contro i 40 della prima). A rispondere ci ha pensato la stessa premier: «È più “leggera” delle precedenti, perché va letta nel solco delle precedenti». Tradotto: le misure più importanti che vengono approvate di anno in anno – come ha spiegato ieri su queste colonne Annamaria Gravino a proposito di taglio del cuneo fiscale – diventano strutturali: sono un dato acquisito nel bilancio dello Stato.
Ciò significa che, tassello dopo tassello, fa tutto parte di un percorso organico. Anzi di un vero e proprio “piano decennale” ma senza alcun riferimento alle economie dirigiste di stampo sovietico. È l’esatto opposto: qui si tratta di predisporre sempre più fiducia nell’esprit della società, con lo Stato che torna a fare (solo e bene) lo Stato e con le forze vitali che tornano protagoniste del proprio destino: dentro e fuori i confini nazionali. La scommessa politica passa e porta alla conferma alle elezioni 2027: di questo passo si può fare. Eccome.