
Il disastro francese
Macron, il funambolo del potere: vara il Lecornu bis, un governo che nasce per sopravvivere e non per governare
Tra tecnocrazia e crisi di consenso, Parigi cerca di evitare il tracollo istituzionale mentre l’Eliseo tenta di imporre un fragile equilibrio di potere
La Francia si risveglia con un nuovo governo, il secondo tentativo in otto giorni di Sébastien Lecornu, e già con l’acqua alla gola per approvare il bilancio dello Stato. Un esecutivo tecnico, costruito in fretta e furia, che Le Figaro definisce «il momento orwelliano della vita politica». L’immagine è calzante: Emmanuel Macron, pur privo di maggioranza, continua a esercitare il potere come se nulla fosse, rifiutando ostinatamente di cederne il controllo.
Un governo dal profumo di 2017
Domenica sera, attorno alle 22, l’Eliseo ha diffuso la lista dei 34 ministri. Un déjà vu: dirigenti d’impresa, alti funzionari, figure della società civile, volti quasi sconosciuti al grande pubblico. Jean-Pierre Farandou, presidente della Sncf, passa al Lavoro; Monique Barbut, già alla guida del Wwf Francia, va alla Transizione ecologica; Serge Papin, ex patron del gruppo Système U, assume il Commercio e l’Artigianato. Il consigliere di Stato Édouard Geffray prende le redini dell’Istruzione nazionale, mentre Laurent Nuñez, prefetto di polizia di Parigi, diventa ministro dell’Interno. È un governo di tecnici e fedelissimi, che rievoca i fasti del macronismo originario ma senza più l’aura del 2017: questa volta, il capo dello Stato gioca in difesa, non all’attacco.
Macron e l’illusione della continuità
Dall’Eliseo assicurano che la lista è stata «composta conformemente alla Costituzione, su proposta del primo ministro». Ma nessuno dubita che ogni nome porti l’impronta presidenziale. Macron ripete lo schema di sempre: “società civile” e apparente neutralità politica come copertura di un controllo personale e assoluto. È l’ostinazione elevata a metodo.
Lecornu, fedele tra i fedeli, è stato richiamato a Matignon nonostante le dimissioni del primo governo. Di fronte a un’Assemblea frammentata, la Francia rivede il fantasma della paralisi parlamentare, mentre all’Eliseo si persevera nella strategia del doppio linguaggio: il rinnovamento come sinonimo di continuità.
I fedeli e la società civile
Catherine Vautrin passa dal Lavoro alle Forze Armate; Rachida Dati resta alla Cultura; Roland Lescure conserva l’Economia; Amélie de Montchalin i Conti pubblici. Gérald Darmanin sopravvive come guardasigilli, pur ammonito dal premier: «Il governo deve essere disconnesso dalle ambizioni per il 2027». Lui replica con un tweet: «Mi metto in congedo da ogni attività politica di partito».
Nel frattempo, il partito presidenziale Renaissance fa comunque incetta di portafogli. Stéphanie Rist alla Sanità, Éléonore Caroit alla Francofonia, David Amiel alla Funzione pubblica. Macron resta fedele al suo cerchio, ma lo traveste da apertura. Persino Alice Rufo, ex consigliera all’Eliseo, ottiene un ministero presso le Forze Armate.
Un equilibrio impossibile
L’inclusione di Laurent Panifous, presidente del gruppo Liot, tenta un gesto d’apertura verso il centro parlamentare. Ma l’operazione è fragile. I Républicains, già divisi, esplodono. Sei dei loro membri siedono nel governo, e il partito li espelle senza esitazione. Bruno Retailleau, rifiutando il ministero dell’Interno, alza le mani.
Una corsa contro il tempo
Martedì si terrà il primo Consiglio dei ministri. L’urgenza è assoluta: il governo deve presentare la legge di bilancio entro poche ore per rispettare i termini costituzionali. Senza bilancio, la Francia sarebbe ingovernabile. Ma il rischio di una mozione di censura incombe: la sinistra radicale e Marine Le Pen hanno già annunciato il voto contrario. Il socialista Olivier Faure avverte: senza una «sospensione chiara e certa della riforma delle pensioni», anche il Partito socialista voterà la sfiducia. Basterebbero i 58 deputati socialisti a far cadere Lecornu, il quarto premier in diciotto mesi.
Il paradosso del macronismo
Macron chiama “governo di missione” ciò che appare come un governo di sopravvivenza. Dietro la retorica della responsabilità si nasconde la logica opposta: il potere per il potere, l’immobilismo travestito da pragmatismo.