
Il Lecornu bis da barzelletta
Macron e il gioco delle tre carte, la stampa straniera lo fa a pezzi: “E’ crisi infinita, siamo all’autodissoluzione”
«Una decisione shock», titola la Cnn. The Guardian la definisce «senza precedenti». La Süddeutsche Zeitung chiama Monsieur le Président «testardo» e «isolato»
Sébastien Lecornu ritorna a Matignon. In realtà, non se n’è mai davvero andato. Emmanuel Macron, prigioniero di un equilibrio che non regge e di una maggioranza che non esiste, ha scelto di riconfermare il suo “monaco-soldato” dopo averne accettato le dimissioni appena quattro giorni prima. La Francia, intanto, trattiene il respiro: «Una decisione shock», titola la Cnn; The Guardian parla di una mossa «senza precedenti»; la Frankfurter Allgemeine Zeitung riassume il paradosso: «Un presidente senza popolo».
“Auto-dissolversi per non dissolvere”
Il gesto non chiude nulla: apre tutto. E restituisce l’immagine di un potere che gira su sé stesso. «Auto-dissolversi per non dissolvere» — scrive un editorialista di Le Figaro — «è questa la conclusione di un venerdì tragi-comico in cui il Capo dello Stato acconsente a rinviare – dopo di lui, la rovina – l’unica riforma del suo secondo mandato». Un quadro impietoso, ma fedele a una crisi che dura ormai da un anno e quattro mesi.
Il “room service” repubblicano
Macron gestisce la Repubblica come un pronto soccorso, dove ogni crisi viene medicata d’urgenza con nuovi nomi e vecchie ricette, mentre la sala d’attesa del Paese continua a riempirsi. Il problema non è soltanto aritmetico: è politico e strategico. I «macronisti parlano ai macronisti e nominano altri macronisti», mentre «il resto del Paese non crede ai propri occhi», scrive ancora la stampa francese. La continuità macroniana è l’unica cosa rimasta nella testa di Monsieur le Président.
La ripartenza con Lecornu non è un reset, ma un tentativo di salvare facciata e sostanza del potere riproponendo la stessa formula: medesimi equilibri, stessi veti incrociati, identica fragilità parlamentare. Si temporeggia, peccato che i tempi siano ormai scaduti. Entro lunedì bisogna depositare il bilancio, e farlo «senza ricorrere all’articolo 49.3». Una promessa che si trasforma, immediatamente, in banco di prova per Lecornu.
Matignon come parafulmine
Che lo si definisca «monaco» o «soldato», a Matignon cambia poco: l’unica utilità del primo ministro, oggi, è offrire un po’ di tregua al Capo dello Stato. Il nodo non è l’Assemblea, ma l’Eliseo. È la scelta di presidiare il controllo anziché aprire il campo. La riunione con i partiti – convocati tutti, tranne Rassemblement National e La France Insoumise – ha partorito l’ennesima promessa di «compromessi» e «carta bianca» al premier. Ma il clima, all’uscita, è rimasto rovente: «Tutto questo finirà molto male», ha avvertito l’ecologista Marine Tondelier, la donna conosciuta per la sua giacchetta verde. Il Partito socialista, per ora, non offre «alcuna garanzia di non-censura».
La destra repubblicana ondeggia o forse galleggia, il centro si riassesta, gli alleati smentiscono e poi ammorbidiscono. Intanto, il Rn di Jordan Bardella ha già tracciato la linea: «Una vergogna democratica e un’umiliazione per i francesi… censureremo naturalmente e subito questo carrozzone senza futuro». Marine Le Pen è stata glaciale: «Noi, è con i francesi che abbiamo appuntamento».
Il nodo pensioni e il tabù del 49.3
La chiave di volta resta il dossier pensioni. L’Eliseo, per sminare il terreno, ha evocato una soluzione-ponte: «slittamento democratico» dal 1º gennaio 2027 al 1º gennaio 2028. Non è la «sospensione» pretesa dalla sinistra, ma è un segnale di flessibilità che costa e apre un fronte di coerenza: o il governo regge politicamente questa curva, oppure la concessione diventa la premessa di una «capitolazione vergognosa». Lecornu già avverte: niente scorciatoie. Ma allora servono maggioranze vere, su ogni voce di spesa e su ogni riga d’imposta.
L’altra promessa è la «giustizia fiscale», cavallo di Troia per aprire una finestra negoziale con socialisti, ecologisti e comunisti. L’azzardo è evidente: allargarsi a sinistra senza perdere i resti del blocco centrista, evitando di spingere Les Républicains verso un’opposizione frontale, quella cui si fa portavoce l’ex ministro dell’Interno Bruno Retailleau. Una partita a incastri che ha già bruciato Lecornu I in «14 ore e 26 minuti».
Stupore e scetticismo internazionali
Fuori dai confini, il giudizio converge. Il New York Times parla di una «sferzata» per placare una «crisi politica ribollente», ma nota il paradosso: «Giuridicamente nulla impediva a Macron di riconfermare Lecornu, ma politicamente questa decisione rischia di irritare molti oppositori». The Telegraph parla della «peggiore crisi interna dall’inizio della sua presidenza». The Times definisce la vicenda «uno degli episodi più strani della politica francese contemporanea» e ricorda un dato implacabile: solo il 14% dei francesi dichiara di avere fiducia nel presidente. In Germania, la Faz inchioda la diagnosi: «Grave deficit di legittimità… neppure il miglior primo ministro potrebbe liberarlo da questa trappola». La Süddeutsche Zeitung insiste su un presidente «testardo» e «isolato».
Dalla Spagna, El Mundo riporta l’affondo di Marine Le Pen – «spettacolo angosciante, disperato e patetico» – e l’esclusione di Rn e Lfi dalle consultazioni. El País taglia corto: «L’idea di un Lecornu bis non entusiasma nessuno».
Sul fronte economico, Bloomberg misura la scadenza: far passare un bilancio «attraverso un parlamento diviso» per evitare «elezioni anticipate» e «una nuova fase di instabilità».
L’aritmetica della sfiducia
Il dato parlamentare resta implacabile: senza una coalizione dichiarata, il governo vivrà “a geometria variabile”. Rn e Lfi hanno giurato di «votare contro tutto». I socialisti, per ora, mantengono la linea del «nessun accordo». La maggioranza presidenziale conta sulla disciplina di Renaissance — che ha già dato il suo sostegno —, MoDem e Horizons, ma il campo è minato da ambizioni e rivalità.
Dalla Place Beauvau in giù, i nomi contano meno degli impegni: Lecornu pretende che i futuri ministri si «disconnettano dalle ambizioni presidenziali per il 2027». È la condizione per accogliere profili tecnici, “governativi”, non in corsa per l’Eliseo. Un vincolo necessario, ma insufficiente a costruire una maggioranza.
Nel frattempo, i francesi osservano un potere che «avanza di quarantotto ore in quarantotto ore», con l’eco di Alain Duhamel: «La crisi più grave dal 1958». Perché la Quinta Repubblica funziona quando il presidente ha popolo e numeri; si inceppa quando resta solo il palazzo. Assediato oggi dalla sfiducia. Come titola Le Figaro: «Siamo davanti a una patetica serie che Emmanuel Macron non riesce a concludere e che delizia Marine Le Pen».