
L'analisi del voto
L’intervista. Luigi Di Gregorio: “Acquaroli e Occhiuto hanno vinto e convinto anche grazie all’effetto Meloni”
Con Luigi Di Gregorio, professore associato di Scienza Politica presso l’Università della Tuscia di Viterbo, abbiamo analizzato questi primi due round di elezioni Regionali che termineranno il 23 e 24 novembre con le votazioni in Puglia, Campania e Veneto.
Quali sono state le chiavi del successo per la vittoria nelle Marche?
Mentre Ricci accusava Acquaroli di “prendere ordini” da Roma e di non “battere i pugni sul tavolo”, Acquaroli ha risposto facendo capire che non serve battere i pugni sul tavolo e facendo emergere le differenze tra governi nazionale e regionale di sinistra e governo nazionale e regionale di destra. Negli anni di Renzi a Palazzo Chigi si è lasciata fallire Banca Marche, c’è stata la “svendita” di Indesit e le Marche sono state retrocesse a livello europeo, da regione sviluppata a regione in transizione. Col governo Meloni sono arrivati più aiuti per l’alluvione, si è nominato il commissario per l’Alta Velocità, è arrivata la ZES (Zona Economica Speciale)… In sintesi, il confronto “noi/loro” serviva a evocare due “immagini mentali” chiare negli elettori: ritorno al passato o continuità guardando al futuro. Ovviamente hanno pesato anche unità della coalizione e gradimento di Giorgia Meloni: un traino nazionale che ha rafforzato un racconto locale credibile.
Quali sono stati i meriti di Acquaroli e quali gli errori di Ricci?
Acquaroli ha avuto il merito di non cadere nelle tante “trappole” che, logicamente, l’avversario ha piazzato sul percorso, dovendo inseguire. Nella prima fase Ricci ha cercato di far passare il messaggio che i sondaggi segnavano una sorta di sorpasso a suo favore e che per questo Acquaroli avesse paura e scappasse ai confronti. La risposta è stata un numero record di confronti tra i candidati (credo circa 15) e sondaggi che, nell’ultimo giorno in cui si potevano diffondere, ci davano avanti di 5-6 punti. A quel punto, Ricci ha dovuto cambiare narrazione e strategia. Nei confronti è diventato ancora più aggressivo, ma il merito di Acquaroli è stato quello di non cedere mai alla tentazione – assolutamente umana – di salire sul ring e metterla sulla rissa verbale. Ha continuato ad attenersi alla strategia, con serenità ed equilibrio. E questo credo che abbia aiutato molto perché, senza reazione, l’aggressività di Ricci è stata percepita come nervosismo. Nella fase finale, poi, c’è stata la virata sulla Palestina, da parte di Ricci, che a mio avviso non ha pagato affatto.
Anche Tridico ha puntato sul riconoscimento della Palestina. Perché non è bastato per mobilitare gli elettori?
In un’elezione di portata nazionale – come le politiche o le europee – può essere un tema mobilitante, dato che ormai è un argomento dominante sui media e nel dibattito pubblico. In un’elezione locale, direi proprio di no. Alla domanda: “Quale sarà il suo primo atto da Presidente?”, Acquaroli rispondeva “la riforma dell’emergenza-urgenza”, cioè il miglioramento e l’efficientamento dei Pronto Soccorso; Ricci “il riconoscimento dello Stato della Palestina”. La prima è una risposta focalizzata sulla più importante competenza regionale; la seconda non è affatto una competenza regionale… solo gli Stati nazionali possono riconoscere altri Stati. È bene anche ricordarlo, ogni tanto.
Occhiuto, in Calabria, ha prevalso con ampio margine nonostante fosse indagato. Il giustizialismo non è più vincente?
Il Presidente uscente della Calabria ha gestito il suo avviso di garanzia in maniera eccellente, in termini di comunicazione. Ha dato lui la notizia, anticipando media e opposizioni e dettando quindi il frame interpretativo. Ricordate il video? “Sono indignato, a me, proprio a me si contesta la corruzione?! …In questi casi si dice “sono sereno”, sono sereno un piffero!” Con quel video ha ribaltato dall’inizio le forze, da parte debole è diventato parte forte. Al punto che si è dimesso e ricandidato proprio sulla scorta di quella strategia comunicativa. Per questa ragione, provare a cavalcare l’avviso di garanzia a Occhiuto può, a tutti gli effetti, rivelarsi un autogol.
Perché il campo largo fallisce l’appuntamento con le Regionali, mentre va meglio alle Comunali?
Va meglio nei comuni medio-grandi per via di un fenomeno che è in atto da decenni, praticamente in tutto l’Occidente, ossia la frattura tra voto urbano e voto periferico. In Italia, Stati Uniti, Regno Unito, Francia e altre democrazie occidentali, da molti anni è in corso una divaricazione forte, per cui nelle città medio-grandi tende a vincere la sinistra e nel resto del territorio tende a vincere la destra. Ad esempio, nelle Marche le prime due città per abitanti sono Ancona e Pesaro e in entrambe ha vinto Ricci. Ma, sommate, valgono 1/8 degli elettori delle Marche. Ovviamente ciò non significa che il centrodestra non abbia alcuna chance nei comuni medio-grandi o che il centrosinistra non possa vincere alcuna Regione. Però c’è una tendenza forte che avvantaggia i primi nelle regioni e i secondi alle amministrative delle città più importanti. Inoltre, alle comunali il sistema elettorale è diverso e prevede il doppio turno. Per coalizioni rissose o non proprio omogenee il doppio turno è un vantaggio perché ti permette di andare eventualmente diviso al primo turno, ma poi fare “massa critica” al secondo. Un esempio lampante, le ultime amministrative a Roma: 4 candidati forti, centrodestra avanti al primo turno, ma poi sconfitto al secondo perché parte degli elettori di Raggi e Calenda si è orientato su Gualtieri al ballottaggio. Questo alle Regionali non può succedere perché c’è un sistema maggioritario a turno unico, in cui vince chi arriva primo, senza dover raggiungere il 50% + 1 dei voti. E questo avvantaggia le coalizioni più omogenee in partenza.
Il centrodestra, invece, continua a vincere soprattutto le Regionali. Non è ancora finita la luna di miele con gli italiani?
In parte ciò accade per le ragioni appena esposte. In parte anche perché Giorgia Meloni e il suo governo continuano a tenere in termini di fiducia e gradimento. Ad oggi, il governo Meloni è il terzo su 68 per durata in carica. E arriva al tagliando dei tre anni con sondaggi molto buoni. E, di questi tempi, non è affatto facile, basta guardare cosa accade nel resto d’Europa.
Nel 2000 D’Alema si dimise da premier dopo la sconfitta alle Regionali, mentre nel 2009 Veltroni si dimise dopo aver perso in Sardegna. Oggi perché non si parla di dimissioni per Schlein e Conte?
Sono casi diversi, anche tra loro. D’Alema si dimise dopo che si votò in tutte e 15 le Regioni a statuto ordinario, nella stessa data. E finì col guadagno netto di 4 regioni da parte del centrodestra e con un distacco di circa 7 punti complessivi – sommando i voti di tutte le Regioni – a favore del centrodestra, in termini di voti. Veltroni si dimise dopo una serie di sconfitte, a cominciare da quella netta alle politiche del 2008. La Sardegna fu la “goccia” finale. Non credo che Schlein e Conte debbano dimettersi per l’esito di una o anche di qualche elezione regionale. Certo è che se le Marche dovevano essere l’Ohio d’Italia, qualche contraccolpo interno ci sarà, almeno nel PD. La leadership di Conte non mi pare contendibile.