Dopo i fatti di Torino
La sinistra movimentista stile anni ’70 sbaglia strada (leggere Pasolini…). Qualcuno ne chiederà conto a Schlein?
Il Pd continua a cavalcare la tigre della protesta di piazza come negli anni 70 rinunciando a qualsiasi vocazione riformista. Un danno per tutto il Paese
La sinistra continua a essere prevalentemente movimentista. Come e anche peggio del 1968. Tanti lustri dopo, e con una situazione sociale e politica radicalmente diversa, il Pd, che avrebbe dovuto rappresentare la sintesi tra postcomunisti e postdemocristiani, è sempre di più una sorta di contenitore di collateralismi radicali. Che richiama alla memoria Pasolini, Sciascia e i più grandi intellettuali (di sinistra) inascoltati. Allora ed oggi.
Il proletariato e la lezione dimenticata
Che si manifesti oggi per la Palestina andando a disturbare un incontro politico (di Forza Italia) e assalendo i poliziotti è molto più innaturale di Valle Giulia. Allora, nel 1968, (e fu anche il momento drammatico della divisione tra destra e sinistra) c’erano ragioni di rinnovamento collettivo e internazionale a giustificare in parte la scelta della piazza. Pierpaolo Pasolini, citato dopo i fatti di Torino da Tajani, in un famoso articolo sul Corriere della Sera, scrisse di schierarsi apertamente per “i figli del popolo”, che erano i poliziotti, contro i figli di papà. Ma quella lezione sembra quasi dimenticata.
Schlein pensa in chiave proporzionale e non collettiva
Che Elly Schlein cavalchi questa tigre non è una sorpresa. Lo si sapeva sin dal momento del suo insediamento alla segreteria nazionale del partito. Il Pd di fatto tiene come percentuali. Ed è quello che le interessa. Ragiona come ragionava il Pci con una grande differenza: il Partito Comunista era legato a un’ideologia chiara e netta che lo teneva fuori dai giochi di governo, seppure con le eccezioni del consociativismo. Il Pd dovrebbe puntare all’ambizione di guidare una coalizione vincente. Cosa che non esiste e che danneggia paradossalmente anche chi governa.
Il monito di Sciascia e il conflitto di classe
Anche Leonardo Sciascia criticava aspramente il movimentismo e l’atteggiamento ambiguo del Pci. Fu lui a coniare il termine (insieme a Pasolini) del “fascismo antifascista” quando, negli anni di piombo, si giustificavano le aggressioni ai militanti missini. Ma Sciascia richiamava l’intero mondo della sinistra a sganciarsi dal massimalismo e a costruire atteggiamenti riformisti, moderati, capaci di dialogare con le classi intermedie. Nel tempo, dal periodo di Silvio Berlusconi ad oggi, la sinistra si è di fatto prima “alleata” con la magistratura, rinunciando alle sue vocazioni di libertà pur di defenestrare “il nemico”, e poi ha smarrito la bussola imitando maldestramente i Cinquestelle. Dimostrando di non essere né carne, né pesce. Non ha più nemmeno la capacità di innescare un conflitto di classe, poiché, al netto probabilmente del mondo dell’istruzione, non riesce a rappresentare i bisogni collettivi. Non c’è nelle fabbriche, gli operai non la votano più da tempo.
Perdendo non si impara niente
Perdendo si impara dicevano i vecchi motti. Ma questo non sembra sia il caso della sinistra. Pd, Cinquestelle e Avs sembrano la stessa cosa, seppure nel Partito Democratico non manchino le voci di critica alla politica della segreteria nazionale. Qualcuno prima o poi chiederà conto a Schlein di questi errori? E’ un mistero buffo, direbbe Dario Fo. Ma è un mistero che aleggia come un fantasma nella lunga notte di inquietudine della sinistra italiana.