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In Israele sta fiorendo il seme della pace: dopo due anni il cessate il fuoco che fa sperare

La missione

In Israele sta fiorendo il seme della pace: dopo due anni il cessate il fuoco che fa sperare

Il diario della deputata Sara Kelany nella sua seconda missione in Israele. Uno sguardo utile per dare la misura del cambiamento nell’approccio della politica, della sicurezza e della società civile dopo l'approvazione del piano di pace di Donald Trump

L'Intervento - di Sara Kelany* - 27 Ottobre 2025 alle 07:00

Il 7 ottobre ha cambiato tutto in Israele. Il 7 ottobre ha cambiato irreversibilmente le vite di chi ha perso gli affetti più cari, i figli, le madri, i padri, gli amici. Ha cambiato negli animi degli israeliani il modo di pensare alla guerra ed al terrorismo, in un lembo di terra che comunque ha sempre vissuto di instabilità e insicurezza, ma che fino a quella maledetta data non avrebbe immaginato un’evoluzione così tecnicamente implacabile e così terribilmente violenta.

Quattro mesi dopo l’attacco di Hamas questi luoghi erano ancora annichiliti. Nel febbraio 2024, durante la prima missione che ci ha portato a Tel Aviv, Gerusalemme, Sderot e il Kibbutz di Kfar Aza, tutto sembrava ancora immobile, sospeso in un singulto di terrore. L’aeroporto Ben Gourion era quasi deserto: pochi voli in arrivo ed in partenza ed i corridoi dello scalo quasi vuoti facevano sentire il peso di un colpo durissimo, ma non ancora compreso. Negli occhi dei parenti degli ostaggi c’era inconsapevolezza del destino dei propri cari e la ferma volontà di riavere tutti a casa. C’erano bambini piccoli rapiti, donne, anziani, ragazzi inermi, belle mani di un gruppo terroristico feroce, che non avrebbe risparmiato alcuna sofferenza a nessuno. La politica israeliana, senza differenze di schieramento, concordava nel non poter rinunciare ad una risposta. I giovani scampati dal Nova Festival portavano ancora evidenti i segni delle ferite. Le città ed i kibbutz colpiti galleggiavano in un silenzio spettrale, riempito solo dalle voci delle giovani soldatesse che tentavano di raccontare, con composta sofferenza, gli orrori di quel giorno orribile.

Siamo appena tornati, dopo oltre un anno da quei giorni e vediamo che il seme della pace, seppur piantato su un terreno impervio e difficile da coltivare, inizia a dar segni di vita. La prima impressione, con l’aeroporto che brulica di persone in arrivo e in partenza, è quella di una intensa voglia di cambiare pagina. Arriviamo in un luogo che sembra stia metabolizzando le scorie di due anni terribili, all’inseguimento di una pace che sembra una chimera, ma che è pervicacemente aggrappata ai desideri di chiunque si incontri per strada. La restituzione degli ostaggi e il fragile cessate il fuoco sembra aver restituito un barlume di speranza, che si respira negli sguardi delle persone, assetate di vita e stremate dalle tensioni. La popolazione civile di Gaza inizia ad avere respiro, dopo un conflitto che ha colpito in maniera devastante e che doveva avere fine.

Ebbene, per comprendere queste dinamiche, era necessaria una seconda missione qui, che ci potesse dare la misura del cambiamento nell’approccio della politica, della sicurezza e della società civile. Era necessario ritornare in questi luoghi per darci delle risposte che non fossero mediate da una narrazione che arriva a noi intrisa di ideologia e di propaganda. Perché i popoli del Medio Oriente meritano di essere compresi nella loro dimensione quotidiana e non giudicati sul metro di coloro che chi li vorrebbero schiavi o, peggio, annientati.

*Deputato di Fratelli d’Italia

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di Sara Kelany* - 27 Ottobre 2025