
L'intervento
Il varo del disegno di legge sul nucleare, una scelta strategica per la rinascita industriale e l’indipendenza energetica
L'energia coinvolge una filiera industriale continentale, fatta da una manifattura sia “pesante” sia “leggera”, da infrastrutture civili
L’Italia nell’era della transizione ecologica può giocare un ruolo da grande protagonista nel quadro europeo: per la sua posizione geo-strategica, che la rende hub naturale per gli approvvigionamenti che provengono dal Mediterraneo, per l’attuale consistenza nazionale del sistema delle rinnovabili, per il grande patrimonio di conoscenze nel settore energetico, nucleare incluso, per la presenza di centri di ricerca e di grandi imprese di rilevanza internazionale, con le quali trainare una modernizzazione energetica finalizzata a difendere la capacità di produzione industriale, e a rafforzare l’innovazione.
In questo turbolento scenario globale, il nuovo nucleare italiano è una grande sfida per lo sviluppo di un sistema di energia distribuita, integrata alle fonti rinnovabili e sempre più indipendente dalle fonti fossili; una sfida da studiare e da attuare con grande attenzione, che potrebbe vedere il nostro paese, ancora in questo settore molto ricco di capacità industriali e di forza innovativa, come protagonista, e non solo come spettatore della Grande Transizione.
L’importanza del nuovo disegno di legge
Ed è proprio in questa direzione che il varo del disegno di legge sul nucleare è una svolta ideale rispetto al passato, ed è un grande e fondamentale punto di partenza per una nuova politica industriale ed energetica nazionale.
Dopo l’approvazione preliminare in Consiglio dei ministri il 28 febbraio e il parere positivo di luglio in Conferenza Unificata, il 2 ottobre il Consiglio dei Ministri ha dato via libera al disegno di legge per la delega al Governo sulla materia della produzione di energia da fonte nucleare sostenibile e da fusione. Il disegno di legge – che all’articolo 1 prevede che, entro dodici mesi dall’entrata in vigore, il Governo emani uno o più decreti legislativi recanti la disciplina per la produzione di energia da fonte nucleare, e che all’articolo 2 stabilisce la redazione del programma nazionale finalizzato allo sviluppo della produzione di energia nucleare sostenibile – sarà ora trasmesso al Parlamento, con l’esame che dovrebbe essere avviato in prima lettura alla Camera.
Il disegno di legge contiene l’esplicita affermazione, come si legge nella relazione illustrativa, che “ La politica energetica costituisce uno degli assi strategici delle politiche volte ad assicurare l’approvvigionamento, lo sviluppo economico, la sovranità nazionale e l’indipendenza del paese. Dalle scelte relative a essa dipendono: a) la sicurezza nazionale, in quanto l’indipendenza energetica mette in sicurezza l’approvvigionamento energetico del Paese rispetto all’impatto che possono avere eventi geopolitici come quelli dell’epoca presente e, più in generale, le politiche energetiche dei Paesi fornitori; b) la capacità di concorrere agli obiettivi di decarbonizzazione necessari a fronteggiare il cambiamento climatico, attraverso la massimizzazione del ricorso a fonti di energia sostenibile; c) la garanzia di continuità nell’approvvigionamento in presenza di un incremento costante della domanda; d) la sostenibilità dei costi gravanti sugli utenti finali (domestici e non) e la competitività del sistema industriale incremento della domanda di energia elettrica nel Paese, sia per ciò che riguarda l’energia richiesta sia con riferimento ai picchi di carico.”
L’indipendenza energetica e il grande ritorno dell’opzione nucleare
La costante e inarrestabile crescita della domanda di energia – i fabbisogni di energia a livello mondiale dovrebbero passare da circa 30 migliaia di TWh nel 2030 fino a circa 45 migliaia di TWh al 2050 – la sicurezza degli approvvigionamenti e l’esigenza di famiglie e imprese di avere a disposizione energia a prezzi convenienti, rendono la trasformazione del sistema energetico una necessità inderogabile ed urgente.
In questo scenario di grande transizione, delimitato dalle incertezze di origine geopolitica del gas e dall’attuale dominio cinese della filiera delle rinnovabili, il nucleare, tecnologia ampiamente utilizzata nel mondo per la produzione di elettricità baseload a basse emissioni, rientra nella discussione dei policy makers e dell’opinione pubblica come possibile fonte primaria sicura e decarbonizzata su cui contare. E infatti il nucleare è stato, come noto, inserito, dopo lunghe discussioni, nella tassonomia verde dell’Unione Europea.
Il nucleare sembra infatti rispondere ampiamente alle tre grandi questioni dello sviluppo: ambiente, sicurezza, economia.
Se consideriamo le emissioni in atmosfera di gas climalteranti durante l’intero ciclo di vita delle centrali, dalla costruzione al funzionamento sino allo smantellamento, nei documenti dell’IPCC sono riportati valori di circa 12 grammi di CO2 equivalente emessa per ogni kWh elettrico prodotto con l’energia nucleare, contro i 490 grammi del gas naturale e gli 820 grammi del carbone.
Il nucleare riduce la dipendenza strategica ed è quindi un fattore chiave per la sicurezza energetica europea: la progettazione, la costruzione, gestione e smantellamento delle centrali nucleari, la fabbricazione del combustibile, la tecnologica, il know-how e le capacità realizzative sono interamente europee, ed anche ancora italiane.
Infine come fattore di sviluppo economico, il nucleare coinvolge una filiera industriale continentale, fatta da una manifattura sia “pesante” sia “leggera”, da infrastrutture civili e da servizi ad alto valore aggiunto. Inoltre, la programmabilità della produzione e la stabilità e prevedibilità dei costi di generazione sono fattori unici per le aziende e per il mercato elettrico.
I dati sul nucleare e l’elettrico
Nel mondo la generazione di elettricità da fonte nucleare c’è ed è in crescita. Nel report dell’IPCC (International Panel Climate Change), tutti gli scenari di decarbonizzazione al 2050 prevedono a livello globale un aumento dell’utilizzo dell’energia nucleare che va da un minimo di +100% ad un massimo di +722%; dai 417 GW attuali ai 620 GW o 900 GW in funzione degli scenari; crescita possibile grazie all’estensione della vita utile delle centrali esistenti, la costruzione di nuovi impianti e la penetrazione dei reattori modulari di piccola taglia. Alla fine del 2021, 437 centrali nucleari erano in funzione in 32 paesi nel mondo. Questi impianti hanno generato ~2600 TWh, corrispondenti a circa il 10% del totale dell’elettricità generata: il nucleare complessivamente è ancora la seconda fonte al mondo a basse emissioni di CO2 nella produzione di elettricità, dopo l’idroelettrico. Gli Stati Uniti (97), la Francia (56) e la Cina (55) hanno il maggior numero di reattori in funzione, mentre la Francia (70%), l’Ucraina (55%) e la Slovacchia (52%) producono la quota più alta di elettricità con tecnologia nucleare. Per quanto riguarda l’Europa, come noto fortemente dipendente dal gas e dalle sue volatilità, i cento reattori nucleari europei rappresentano la prima fonte energetica “green” dell’UE e forniscono (fonte Eurostat) il 21,9% dell’elettricità, seguiti dall’eolico (15,9%), dall’idroelettrico (11,3%), dal fotovoltaico (7,6%).
Gli errori dell’Italia negli anni ottanta
La generazione di elettricità da fonte nucleare è dunque ampiamente presente nel mondo, con oltre 30 paesi dotati di centrali atomiche in funzione e altri che hanno annunciato l’intenzione di costruirne, fra cui Turchia ed Egitto. Ciò è particolarmente vero fra i Paesi OCSE: la maggioranza dei grandi paesi sviluppati utilizza questa fonte con quote più o meno elevate nel proprio mix produttivo. Vista da questa prospettiva l’eccezione è stato il nostro Paese che, con una buona dose di autolesionismo, decise di abbandonarla nominalmente nel lontano novembre 1987 – sotto l’emozione collettiva dell’incidente di Chernobyl – senza rinunciarvi nella pratica, visto che si è continuato ad importare ogni anno elettricità per il 10-15 per cento dei nostri consumi, largamente riconducibile alla produzione nucleare di Francia, Svizzera e Slovenia. In sostanza, l’uscita dal nucleare in Italia non ha rimosso l’atomo dal paniere del consumo elettrico degli italiani né dal punto di vista strettamente tecnico – l’energia nucleare che importiamo è superiore a quella che produrrebbe un impianto moderno di grande taglia sito nel nostro paese – né da quello della sicurezza, data la densità di centrali a breve distanza dai nostri confini. Abbiamo però scelto di rinunciare ai benefici economici visto che, alla luce delle regole del mercato elettrico europeo, cittadini e imprese italiane pagano l’energia di importazione a un prezzo molto vicino a quella prodotta nel nostro paese e non a quello, nettamente inferiore, a cui la stessa energia viene venduta ai cittadini francesi. Insomma, la nostra eccezionalità ha comportato un prezzo salato, sia in termini di costi relativi dell’energia rispetto ai nostri vicini, soprattutto francesi, che di maggiore dipendenza dalle importazioni di combustibili fossili.
Un trend in grande crescita
Guardando ai trend storici, la potenza netta installata da impianti nucleari è sempre aumentata negli anni, ma ha visto un chiaro rallentamento dopo l’incidente di Chernobyl nel 1986, a causa di un ridotto supporto da parte dei governi e dell’opinione pubblica per via della messa in discussione della sicurezza degli impianti nucleari, ma anche a causa della disponibilità di nuove ed alternative tecnologie di generazione quali i cicli a gas e, più tardi, le rinnovabili.
Il trend di sviluppo appare oggi consistente: 56 centrali nucleari sono in costruzione nel mondo, per una capacità totale di 57 GW, la maggior parte con una capacità anche maggiore di 1GW. Gran parte di esse è in costruzione in Asia, a conferma del trend degli ultimi 20/30 anni che ha visto le economie emergenti (Cina e India in particolare) come attori principali del nuovo sviluppo di impianti e i paesi occidentali ridurre al minimo i nuovi progetti.
L’Europa si muove
In Europa, i francesi stanno già da tempo rivedendo il design dell’EPR, con una riduzione della taglia, e pianificando la costruzione di 6 nuovi EPR2 – più altri eventuali 8 – per i prossimi anni. Ma la rinnovata attività d’oltralpe sembra contagiare anche altri: Finlandia, Svezia, Repubblica Ceca, Romania, Slovacchia, Slovenia, Polonia, Paesi Baltici, Belgio, Olanda, stanno pianificando o seriamente considerando l’opzione di nuove costruzioni.
La disponibilità di energia nucleare verrà come detto garantita sia da estensioni della vita utile degli impianti esistenti, laddove possibile ed economicamente efficiente, sia dalla costruzione di nuove centrali “convenzionali” , della tipologia di quelle attualmente in costruzione (grossi impianti ad acqua leggera di generazione III o III+), sia, con grande probabilità, da una nuova filiera attualmente in fase di sviluppo, quella degli Small Modular Reactors. Un altro contributo, disponibile intorno al 2040, sarà quello dei reattori “avanzati” (Advanced Modular Reactors – AMR), molto diversi da quelli attuali, con alti standard di sicurezza e un passo avanti in termini di sostenibilità del ciclo del combustibile . Infine, per i reattori a fusione la futura fase commerciale dell’energia da fusione sarà verosimilmente disponibile attorno al 2030, periodo indicativo per la prima prova sperimentale di accensione del reattore ITER, il più grande progetto internazionale dedicato a questa tecnologia, in costruzione a Cadarache in Francia, al quale l’Italia, insieme ai partner europei, sta collaborando con Cina, Corea del Sud, Giappone, India, Russia e Stati Uniti. Realisticamente, però, sembra difficile pensare di avere la prima centrale nucleare a fusione commerciale collegata alla rete prima del 2050-60.
In sintesi, per far fronte all’enorme incremento di domanda di elettricità decarbonizzata in Europa nel periodo post 2030, e considerando la fisiologica uscita di produzione di parte del parco nucleare esistente nel nostro continente per raggiunti limiti di età, è del tutto ragionevole pensare che sarà necessaria la realizzazione nei prossimi anni di una quantità significativa di nuove centrali.
Il Ritorno del nucleare nel mix energetico italiano, per la sicurezza energetica e per la decarbonizzazione
Le stringenti esigenze di sicurezza degli approvvigionamenti ed indipendenza energetica evidenziano con chiarezza la necessità per l’Italia di ripensare, rapidamente, al proprio futuro energetico. Diversificazione delle fonti, disponibilità di energia di base, flessibile e decarbonizzata, ed economicità, impongono quindi di considerare il nucleare nelle possibili scelte, soprattutto in relazione alla prevista crescita esponenziale della domanda.
Come si può leggere nella relazione illustrativa al disegno di legge “Un indicatore del prevedibile trend di crescita della domanda è anche rappresentato dalla grande richiesta di energia necessaria per alimentare data center e sistemi di Intelligenza Artificiale (I.A.), che devono garantire la disponibilità dei servizi senza interruzioni. L’aumento del fabbisogno di energia elettrica si inserisce, inoltre, nell’orizzonte della decarbonizzazione, che impone la progressiva sostituzione delle fonti fossili. È necessario considerare che, attualmente, l’Italia dipende in misura significativa dalle importazioni di energia elettrica, specialmente nelle ore notturne. L’invecchiamento del parco nucleare francese e l’aumento della domanda anche nei Paesi attualmente esportatori potrebbe però rendere meno affidabile questa fonte di approvvigionamento nel lungo termine, anche al netto del mutamento degli equilibri geo-politici. La difficile situazione internazionale, infatti, rafforza, ora più che mai, l’importanza della stabilità e della sicurezza degli approvvigionamenti, soprattutto con riferimento ai terribili scenari geopolitici che potrebbe comportare un’interruzione repentina delle forniture di determinate risorse da Paesi dai quali alcuni Stati dipendono quasi totalmente. In conclusione, sebbene l’incremento di energia rinnovabile e l’estrazione di maggiori quantitativi di risorse energetiche sul territorio nazionale contribuiscano alla riduzione della dipendenza energetica dei Paesi dell’UE, ciò non sembra, tuttavia, sufficiente.
Perseguire l’obiettivo della crescita
Una governance lungimirante impone di perseguire l’obiettivo di una produzione di energia in grado di rendere le generazioni future realmente indipendenti dal punto di vista energetico. Il problema dei costi che gravano sull’utenza – che vede l’Italia nel segmento di coda rispetto agli altri paesi avanzati – è una ulteriore ragione per la quale è necessario valorizzare ogni risorsa in grado in incidere positivamente su tali costi… A ciò è da aggiungere l’opinione largamente condivisa tra gli esperti del settore secondo cui, allo stato, gli obiettivi di decarbonizzazione entro il 2050 (Net Zero) non potranno realizzarsi esclusivamente puntando sulle fonti di energia rinnovabili, che pur ricoprono un ruolo centrale nella predetta strategia… All’attuale mix energetico (fossili, gas, rinnovabili e altro) va dunque sostituito un nuovo mix energetico nazionale, che possa prevedere, tra l’altro, anche lo sviluppo di una fonte low-carbon programmabile e continua quale il nucleare. Puntare su un mix energetico equilibrato e diversificato, peraltro, riduce i rischi associati all’affidamento esclusivo su una singola tecnologia… Il nucleare sostenibile può offrire energia elettrica pienamente decarbonizzata in modo continuativo nel tempo, emancipando al tempo stesso il Paese dalla dipendenza dai fornitori esteri di fonti fossili e di tecnologie rinnovabili e dalla relativa volatilità nei prezzi. Secondo le ipotesi di scenario inserite del PNIEC, un mix equilibrato di rinnovabili, nucleare e gas …può consentire di raggiungere gli obiettivi di decarbonizzazione al 2050, in particolare con una quota ottimale di produzione da fonte nucleare che copre tra l’11% e il 22% della richiesta di energia elettrica (ovvero tra gli 8 e i 16 GW di capacità nucleare installata).”
Una sfida che l’Italia può raccogliere
Ma l’Italia può realisticamente affrontare la sfida nucleare, c’è la necessaria fiducia sociale per affrontare con forza questa grande percorso di politica industriale? Sembra a tal proposito utile sottolineare che, nonostante la lunga decennale battaglia culturale antinuclearista e un diffuso clima di rassegnazione post-industriale, nel nostro paese ancora prosperano grandi competenze e forze industriali, capaci di assumere un posizionamento primario per lo sviluppo del nucleare: oltre al ruolo determinante di Enea, Cnr e Rse nella ricerca sulla fusione e sulla fissione di nuova generazione, alle competenze dell’ispettorato nazionale per la sicurezza nucleare e la radioprotezione (ISIN), e della Sogin, la società pubblica specializzata nel settore nucleare che si occupa del decommissioning degli impianti nucleari italiani e della gestione dei rifiuti radioattivi, operano sette università dedicate alla formazione e alla ricerca nel campo dell’ingegneria nucleare (Palermo, Roma “La Sapienza”, Pisa, Bologna, Padova e i Politecnici di Torino e Milano) che negli ultimi 4-5 anni hanno visto più che raddoppiare il numero di studenti.
Poco tempo fa, l’Italia ha registrato il record storico di progetti di ricerca selezionati e finanziati da Euratom (l’istituzione deputata a gestire e finanziare le attività nucleari in Europa): su 47 progetti approvati, ben 24 vedevano la partecipazione o la leadership di aziende o enti di ricerca o università italiane. Certamente il rafforzamento della filiera nucleare italiana richiederà un profondo lavoro di costruzione, a partire dalle non poche eccellenze industriali esistenti e dai centri di ricerca, protagonisti in Europa e nel mondo, per essere pronti ad attivare un effetto di scala virtuoso.
Abbiamo un ottimo background
Nonostante il lungo sonno europeo e italiano, esiste ancora in Italia un profondo giacimento di conoscenza sull’energia nucleare, e soprattutto è presente un vivace e diffuso entusiasmo industriale. Da qua si deve partire, con tenacia e perseveranza, potendo anche far leva su fondamentali e possibili discontinuità tecnologiche, ove l’Italia è già molto presente con capacità di ricerca e industriali, in grado potenzialmente di rappresentare un vero e proprio cambio di paradigma: quella della ricerca sulla fusione, vera e proprio frontiera per l’indipendenza energetica, e quella dei reattori modulari di piccola taglia (Small Modular Reactors), che grazie alle loro ridotte dimensioni si prestano ad una realizzazione industrializzata in serie, con conseguenti riduzione dei costi di produzione e tempi di costruzione, in modo da ridurre drasticamente l’investimento iniziale e l’esposizione finanziaria durante le fasi realizzative. Infine, tali reattori si prestano ad una produzione di elettricità su piccola scala, per alimentare specifiche comunità o aree industriali, rappresentando un perfetto elemento di integrazione sistemica alla produzione rinnovabile anche in termini di stabilizzazione di specifici nodi di rete elettrica.
L’energia rinnovabile è un’occasione
La visione del net zero sarà certamente realizzata principalmente attraverso il ricorso all’energia rinnovabile, il principale fra i vettori della transizione energetica. In questa prospettiva, la fonte nucleare sarà chiamata nel medio periodo a giocare un ruolo complementare, per garantire una indispensabile quota di elettricità che sia allo stesso tempo decarbonizzata e programmabile. Serviranno pazienza e impegno per affrontare con serenità il tempo necessario a superare le difficoltà culturali, tecniche, e burocratiche, per potenziare i nostri centri di ricerca, per rilanciare le filiere industriali e innovare la governance del settore.
Si tratta di una sfida di fondamentale importanza per l’Italia, per la ricerca dell’indipendenza energetica e della rinascita industriale. Il varo del disegno di legge sul nucleare è una svolta per la politica energetica italiana: i prossimi mesi, con la redazione dei decreti e del programma nazionale, saranno decisivi.
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