
L'intervista
Flavio de Luca e il libro-verità su Sigonella: “Ha vinto l’orgoglio nazionale. Ma gli Usa ce la fecero pagare”
“Sigonella segnò la fine della Prima Repubblica, il filo rosso che collega la crisi a Tangentopoli è evidente”. L’ex commissario della Flotta Lauro, Flavio de Luca, non ha dubbi: quel “no” non è mai andato giù agli Stati Uniti, l’immagine dei carabinieri che circondano i marines scavò un solco profondo nei rapporti tra Roma e Washington, tanto da avere ripercussioni pesanti per il nostro Paese già pochi anni più tardi. Nel libro “La Flotta – Prova generale di Tangentopoli” (Graus Edizioni), analizza le conseguenze di quella prova di orgoglio nazionale e i collegamenti con l’inchiesta Mani Pulite.
Quando la nave Achille Lauro fu dirottata da un commando terroristico palestinese lei era il Commissario della Flotta Lauro. Era il 7 ottobre del 1985, aveva poco più di trent’anni ma fu stato uno dei protagonisti. Cosa ricorda?
Il primo pensiero va alla riunione infuocata a Palazzo Chigi poche ore dopo aver saputo del dirottamento. C’era Spadolini che si era già accordato con gli israeliani per un intervento delle loro forze speciali a bordo della nave. Craxi era contrario e furibondo si rivolse a me, chiedendomi informazioni sulla nave. Io risposi che avevamo da poco installato un radar di ultima generazione, alludendo al fatto che il blitz israeliano non sarebbe andato a buon fine. In questo modo scongiurammo un intervento militare dalle conseguenze imprevedibili. Andreotti invece lo avevo incontrato poco prima della riunione, a casa sua, e mi aveva informato di essere già in contatto con Arafat e i vertici dell’Olp: mai visto una persona mantenere la calma in quel modo.
Fu effettivamente uno degli ultimi atti di sovranità nazionale?
Sicuramente. In quel momento non c’erano governo, opposizione, correnti varie che tenessero: prevalse un senso di unità nazionale e politica. Certo, il prezzo da pagare fu alto, gli americani non hanno mai mandato giù la fuga di Abu Abbas, capo del commando terroristico, e in generale la scelta italiana di schierarsi con i palestinesi e gli egiziani e non con loro. Fu un successo diplomatico ma un suicidio politico. Non è un caso che pochi anni dopo Craxi dovette scappare e Andreotti rimase intrappolato in una serie di processi…
L’allusione è ad un collegamento tra Sigonella e Tangentopoli?
Sì, perché la verità è che la frattura con gli Stati Uniti non si ricompose mai. Certo ci fu la lettera di Reagan a Craxi “Dear Bettino”, ma la realtà è che dopo Sigonella la classe politica di allora venne scaricata. A quel punto la Magistratura, con una classe politica indebolita e invisa, pensò di avere mano libera e colpì duramente con Mani Pulite. Gli Usa lasciarono fare.
Nonostante questo gli esiti di Tangentopoli non furono quelli che alcuni speravano…
Tangentopoli fu un’ottima operazione contro la corruzione, ma un fallimento dal punto di vista politico. Distrutti i partiti di governo, i grandi partiti di massa, i soggetti di ideologici, alla fine ha vinto Berlusconi. E il Pci, seppur rifondano come come Pds, ha perso le elezioni. Quindi il concetto che la Prima Repubblica fosse una democrazia bloccata perché partiti di governo avevano più finanziamenti poteva anche essere corretto, ma gli italiani si rivelarono fondamentalmente anticomunisti.