
Il podcast da via della Scrofa
Fini ospite di Radio Atreju: l’amarcord, gli errori e quei ricordi su Meloni. «Credeva in quello che diceva, studiava, era capace» (video)
In quasi un'ora di intervista senza rete, l'ex presidente della Camera ha ripercorso la storia della destra italiana e affrontato il tema delle sfide future, chiarendo perché solo questa parte politica dimostra di averle capite davvero
Qualche ricordo giovanile, lo storico congresso di Fiuggi, l’ammissione di alcuni errori: dallo scioglimento di An, «che non chiederei più al congresso», all’aver inizialmente sottovalutato la portata della nascita di FdI, con la quale invece Giorgia Meloni ha avuto il «grande merito di aver ridato una casa comune al popolo della destra». Gianfranco Fini è stato intervistato da Radio Atreju, il podcast dei giovani di FdI, e per quasi un’ora ha ripercorso con onestà la storia della destra, soffermandosi sui ricordi di una Meloni giovanissima, che a ogni snodo si è sempre dimostrata all’altezza del compito cui era stata chiamata, a partire dalle elezioni provinciali che per la prima volta, a 21 anni, la videro eletta nelle istituzioni.
L’intervista di Fini a Radio Atreju
«A Radio Atreju oggi abbiamo un ospite che non è proprio un ospite, perché queste stanze le ha frequentate per qualche decennio», ha scherzato Marco Gaetani, il giovane conduttore che ha intervistato Fini in una puntata anticipata da una breve clip sui social con il commento «certi amori non finiscono, fanno dei giri immensi e poi ritornano», in cui si vede Fini varcare il portone di via della Scrofa.
I ricordi «da Giorgio a Giorgia»
La conversazione ha preso le mosse proprio dall’arrivo della destra, allora ancora Msi, in quella che poi sarebbe diventata la sua sede storica ed è proseguita attraverso i ricordi di Fini, che con l’ausilio di alcune foto è passato dal raccontare il primo incontro con Giorgio Almirante a quello con Giorgia Meloni. «Da Giorgio a Giorgia», ha scherzato Gaetani, cambiato l’immagine. Il primo ricordo nitido per Fini è quello delle provinciali. Era «una ragazza, in senso letterale del termine, che era impegnata in una sezione storica di Roma, la Colle Oppio, che nell’immediato dopoguerra era molto militante. Poi nel corso del tempo aveva assunto una dimensione che non aveva uguali nelle altre sezioni romane, un po’ “futurista”». In questo contesto Fini ha fatto una digressione sui famosi manifesti col gabbiano, poi diventati simbolo della comunità di Colle Oppio, e sulla telefonata che fece a Fabio Rampelli per farseli spiegare quando lo avvertirono che Roma ne era tappezzata: «Mi disse che il gabbiano era il simbolo del fatto che bisognava uscire dalla palude, mi piacque».
Un racconto che spazza via la narrazione in «malafede» di una sinistra «senza argomenti»
Il racconto ha una sua valenza specifica, perché, qualora ce ne fosse ancora bisogno, ricorda quanto falso sia da decenni lo stereotipo di una destra muscolare e passatista che ancora qualcuno cerca di appiccicare alla premier e alla classe dirigente di FdI. Una riflessione che è tornata in maniera esplicita quando Fini ha parlato di Fiuggi, della malafede e della mancanza di argomenti di chi ancora parla di “neofascismo” per attaccare la premier, dimenticando che l’uscita «dalla casa del padre con la certezza di non farvi più ritorno» è storia sedimentata da oltre un trentennio.
Giorgia a 21 anni: «Autentica, empatica, preparata»
In quelle provinciali «Giorgia Meloni fu candidata ed eletta. La conobbi meglio, aveva 21 anni. Sicuramente aveva il merito di credere molto in quel che diceva e quindi di essere convincente. Può apparire una banalità, ma se credi in quello che dici – ha sottolineato Fini – forse riesci a convincere qualcuno. Se reciti un ruolo non convinci, non c’è quella empatia». «E poi studiava, approfondiva. Forse aveva paura di non essere all’altezza, paura di deludere. Ora direi, facendo il professore, che era preparata».
Dal congresso di Azione giovani alle sfide del futuro che solo la destra ha capito davvero
L’altro ricordo nitido è quello del congresso di Azione giovani, dove Meloni fu eletta battendo Carlo Fidanza, «che poi ha avuto anche lui una splendida carriera politica, meritata (è capodelegazione di FdI al Parlamento europeo, ndr)»: Meloni «non partiva con i favori del pronostico, lo sfidante era Fidanza e Giorgia vinse per pochi voti. Io mi feci mandare dal mio capo della segreteria il discorso che aveva fatto e dissi: “Bene, brava, bene”».
Poi vennero la candidatura e l’elezione alla Camera; la vicepresidenza di Montecitorio durante la quale, ha ricordato Fini, Meloni ottenne anche i complementi pubblici dell’allora presidente Fausto Bertinotti per come sapeva tenere l’aula; il ruolo di ministro della Gioventù, che il leader di An non dovette imporre poiché fu accolto con favore tanto da Silvio Berlusconi quanto da Pierferdinando Casini. «E il resto è storia», ha detto Fini, avvertendo sulla sfida che questi tempi pongono alla politica e che solo la destra dimostra di aver capito, intercettando la domanda che viene dai popoli europei: quella dell’identità, che è l’unica chiave possibile per rispondere a temi epocali come l’immigrazone, il terrorismo, l’intelligenza artificiale, le questioni climatiche.
Lilli Gruber? «Molto capace e, come tanti, molto di parte. Quando leggo di TeleMeloni mi viene da ridere…»
Infine un passaggio sull’ultima volta che è stato ospite da Lilli Gruber, quando ha respinto la tesi della giornalista su una presunta sudditanza di Meloni a Trump e Netanyahu e ha liquidato la domanda maliziosa se abbia «rapporti con Meloni» chiarendo che «non rispondo a domande stupide». « Ho creato i miei figli e nessun altro. Meloni è figlia di una storia politica e di nessun altro», ha precisato Fini, che ai microfoni di Radio Atreju ha commentato ricordando che «Gruber è molto capace, ha una grande esperienza, ma è molto di parte come tanti altri. Mi fa molto sorridere quando leggo di TeleMeloni…».