
Una speranza economica
Escludere la prima casa dal calcolo Isee è possibile? Ecco le agevolazioni per gli italiani nel caso di approvazione
Nel cuore della prossima legge di bilancio, una delle novità più significative potrebbe essere l’esclusione della prima casa dal calcolo dell’Isee fino a un valore catastale di 100mila euro (che corrisponde, mediamente, a un valore di mercato tra i 300 e i 400mila euro). La misura mira a correggere una distorsione di lungo periodo nel sistema di valutazione della condizione economica delle famiglie italiane. L’Isee, acronimo di Indicatore della Situazione Economica Equivalente, è un indice sintetico che misura la condizione economica di un nucleo familiare combinando tre elementi: redditi, patrimoni e composizione del nucleo. Il valore finale viene calcolato sulla base della dichiarazione sostitutiva unica (DSU) e serve alle amministrazioni pubbliche per modulare l’accesso alle prestazioni sociali e ai benefici fiscali in modo proporzionale alla capacità economica del cittadino.
La possibilità di escludere la prima casa dal calcolo Isee
Il problema è che, nel computo patrimoniale, l’Isee considera anche la prima casa di abitazione come un bene al pari di immobili dati in locazione o di strumenti finanziari, nonostante essa non generi reddito effettivo. Un paradosso: chi ha risparmiato per acquistare la casa in cui vive si trova spesso penalizzato rispetto a chi dispone di un reddito più alto ma vive in affitto, risultando così “più povero” agli occhi dello Stato. La casa di abitazione, soprattutto se acquistata con un mutuo o mantenuta con difficoltà, rappresenta un costo e non una rendita. Secondo i dati di Confedilizia e Censis, la spesa media annua per il mantenimento di un immobile – tra imposte, utenze, manutenzioni e rate di mutuo – supera i 6.000 euro per famiglia.
Nel frattempo, oltre il 72% delle famiglie italiane vive in un’abitazione di proprietà (Istat 2024), e per la metà di esse la casa è l’unico patrimonio significativo. Tuttavia, a parità di reddito, il valore catastale dell’immobile può far aumentare l’Isee anche del 20-25%, determinando l’esclusione da agevolazioni quali bonus energetici, riduzioni tariffarie o sostegni all’infanzia. Il Ministero dell’Economia e delle Finanze ha stimato che, per un appartamento di 90 metri quadrati con valore catastale di 90mila euro, l’incidenza sull’Isee può pesare fino a 4.000 euro in termini di “ricchezza figurativa”, falsando l’immagine reale della capacità di spesa.
L’Italia destina buona parte della spesa pubblica al welfare
L’Italia destina circa il 56% della spesa pubblica complessiva al welfare, pari a circa 540 miliardi di euro nel 2024 (fonte: Ragioneria Generale dello Stato). Di questi, oltre 140 miliardi riguardano trasferimenti assistenziali e agevolazioni legate proprio all’Isee: dai bonus sociali alle detrazioni universitarie, fino al reddito di inclusione. Tuttavia, uno studio della Corte dei Conti (2023) ha segnalato che fino al 18% delle erogazioni legate a indicatori Isee finisce a famiglie che non si trovano in effettivo stato di bisogno, proprio per effetto di parametri distorti come la valutazione della prima casa.
Escludere l’abitazione principale fino a una soglia ragionevole – 100mila euro di valore catastale, come propone il governo – avrebbe dunque un duplice effetto: ridurre le distorsioni distributive e razionalizzare la spesa pubblica, concentrando gli aiuti su chi è realmente in difficoltà. Secondo stime interne al Mef, il costo netto dell’intervento sarebbe inferiore ai 600 milioni di euro l’anno, ma migliorerebbe l’efficienza redistributiva del welfare di oltre il 10%. La misura oggetto di discussione nella manovra da 16 miliardi per il 2026, trova il sostegno di gran parte della maggioranza e il via libera politico della premier Giorgia Meloni, che ne condivide l’obiettivo: tutelare il potere d’acquisto della classe media senza aumentare la spesa pubblica complessiva.
Una scelta di buon senso
In un contesto economico segnato dal caro mutui e da una pressione fiscale ancora elevata, l’idea di non equiparare la casa in cui si vive a una rendita finanziaria rappresenta una scelta di buon senso e coerenza economica. Non è una misura assistenziale, ma una correzione strutturale: allineare l’Isee alla realtà, riconoscendo che la prima casa è un bene di uso, non di reddito. In sintesi, la riforma non mira a “premiare i proprietari”, ma a ripristinare la verità economica: la casa in cui si abita non arricchisce, ma costa. E uno Stato moderno deve basare il proprio welfare non su valori catastali fittizi, ma su dati concreti di reddito e capacità di spesa.