
La provocazione
Contro l’astensionismo facciamo votare i corpi intermedi. Oppure riscopriamo la filosofia…
La diserzione record delle urne in Toscana conferma che il fenomeno richiede una profonda riflessione: perché un tempo le vecchiette analfabete si facevano portare a spalla alle urne e oggi i loro nipoti con due lauree e quattro master non votano?
Non è compito di chi scrive analizzare, letti i voti della Toscana, se l’astensione dal voto abbia inciso o meno sui risultati ambivalenti del centrodestra, e in specie di alcune sue frange. Chi di ragione, e vive nel territorio, dovrebbe studiare cause ed effetti; e concludere se sono stati commessi errori.
In un precedente intervento, abbiamo fatto notare che sulla Calabria grava un’anagrafe degli elettori esteri non rispondente al vero, e l’assenza di lavoratori e studenti; fattori che non si rilevano in Toscana, però anche la Toscana patisce pesantemente l’astensione dal voto. Anzi, al netto di quanto sopra e senza banali sociologismi della domenica, l’astensionismo toscano (-53%) è peggio della Calabria. Dove sono finiti i guelfi e ghibellini, e l’Arbia colorata in rosso sangue, e, per dir cosa più recente, le gesta tragiche di Firenze del 1944 così ben cantate da Mario Bernardi Guardi?
È dunque in tutta Italia, e non solo nell’irenistico Sud, che la gente non va a votare. Ci fu un tempo in cui le vecchiette atavicamente analfabete si facevano portare a spalla alle urne elettorali; oggi le loro nipotine con due lauree e quattro master, non votano; o, semplicemente, non hanno ideologie politiche.
Ma siamo sicuri che le ideologie di cui lamentiamo la mancanza, quelle che abbiamo conosciute prima del 1980, siano ancora valide nel 2025? Non dico i partiti le cui sigle (Dc, Pci, Psi, Pli, Pri… il Msi-Dn è ricordato come Fiamma, ma per tutt’altri motivi) sono ricordi ormai sbiaditi degli anziani; dico le ideologie come interpretazioni della realtà sociale, quali si formarono con la rivoluzione industriale a partire dal XVIII secolo: il liberalismo, il socialismo (più esattamente, i socialismi e il comunismo), la dottrina sociale cattolica, il fascismo… teorie e prassi che ebbero uno scopo diverso ma omogeneo: studiare e risolvere i problemi delle classi sociali.
Si badi bene che le classi non sono ceti di nascita com’erano un tempo i cavalieri o i mercanti o i contadini; sono categorie in cui si entra per appartenenza a determinate modalità di mansioni lavorative, accompagnate da norme etiche. Per esempio, la vecchia classe media manteneva il proprio livello di vita grazie a indiscutibile disciplina familiare, incluso il calendario di cosa mangiare ogni giorno della settimana; e a precisi orari; il tutto sostenuto dalla sola entrata del padre, sorretto dalla dote della madre, obbligatoria e regolata dalla legge. Oggi ciò è così lontano dall’esperienza che è difficile far capire un romanzo ottocentesco o le sottili dinamiche della “Traviata” snocciolate da Germont, Codice Napoleone alla mano, e in testa soldi mascherati da amore e onore.
Quanto alla classe operaia, che aveva una “coscienza di classe”, essa è, almeno in Europa del XXI secolo, un concetto ancora più archeologico. Ed ecco che la sinistra, in difetto di operai, si alimenta di una massa che Marx con disprezzo chiamerebbe sottoproletariato: arricchiti, impoveriti, buonisti, parolai, intellettuali dai discorsi automatici, utopisti, ricercatori di felicità e quelli che spacciano i vizi per diritti… Il centrodestra si giova della prassi, però non pare avere un’ideologia; e non si affanna molto a cercarsene una.
Del resto, le antiche ideologie, assai prima di diventare strumenti di partito, ebbero una secolare e complessa preparazione filosofica, anzi teologica con l’Aquinate; e i fatti sociali ed economici vennero accompagnati da riflessioni di genuina filosofia. E dico filosofia, non philosophie di gazzettieri. A torto o a ragione, vennero espressi giudizi ponderati e poderosi sui fenomeni economici e sociali e politici. Fu il pensiero di Fichte a condurre i Tedeschi ad annientare Napoleone a Lipsia; e da allora in tutta Europa il patriottismo e nazionalismo vennero sorretti dal pensiero, dalla letteratura, dall’arte, e, direi, soprattutto dalla musica.
Di tutto ciò, nel 2025 non si scorge traccia. La letteratura è solipsistica, l’arte è individualistica, e persino la musica, che almeno fu sostegno dei movimenti giovanili negli anni 1970, oggi è roba da festival e denari. Quanto alla filosofia seriamente intesa, non c’è oggi alcun pensiero che si sforzi di capire il postmoderno. In mancanza di filosofie, non possono nascere ideologie e partiti capaci di aggregare.
Così la gente non vota. E, a proposito, non è lecito il dubbio che anche il concetto stesso di voto, e con esso quello di rappresentanza parlamentare e simili, siano strumenti superati, o da mettere in discussione? È vero che l’antiparlamentarismo nasce con i parlamenti, però ancora fino agli anni 1980 c’era una parte di classe politica che riusciva a sfuggire alla disistima e disaffezione. Oggi dilaga un qualunquismo che, senza proteste, genera semplicemente l’astensione; e nemmeno come rivolta, solo come noia. E i sistemi elettorali di seggi e schede sanno di stantio.
Ci può essere qualche altro modo di partecipare alla vita politica? Non si pretenda che chi scrive lo inventi ora e qui; potrebbe farlo, ma sarebbe il primo a dubitarne, come è accaduto a quanti, direbbe il Machiavelli, “hanno immaginato repubbliche e principati che mai non furono”. Certo è che il voto per testa, invenzione del 1789, si sta rivelando un sistema fallace, e con esso il fantasioso “uno vale uno”, e interessano sempre di meno a ogni tornata elettorale. E se si votasse per corpi intermedi e per appartenenze naturali e di categoria? Ecco un argomento meritevole di riflessione.