Per l'Italia e gli italiani
Al Senato sì definitivo alla riforma della Giustizia. Meloni: «Un traguardo storico»
Quello di Palazzo Madama è stato l'ultimo passaggio parlamentare, ora la palla passa agli italiani che saranno chiamati a esprimersi con il referendum confermativo. Nordio: «Una vittoria della democrazia»
Dopo quasi 40 anni di tentativi, il Parlamento ha approvato la riforma costituzionale della Giustizia, che prevede la separazione delle carriere, il doppio Csm con sorteggio e un’Alta corte disciplinare. Il sì in quarta lettura, che ha chiuso l’iter parlamentare, è arrivato al Senato con 112 voti favorevoli, 59 contrari e 9 astensioni. Il voto è stato salutato con un lungo applauso da parte della maggioranza, che si è alzata in piedi per quello che la premier Giorgia Meloni, sui suoi social, ha definito «un traguardo storico». Il percorso perché questa «riforma epocale», com’è stata definita più volte, arrivi a pieno compimento prevede ora il referendum. È atteso «tra marzo e aprile», ha spiegato il ministro della Giustizia, Carlo Nordio.
Meloni: «Un traguardo storico»
«Oggi, con l’approvazione in quarta e ultima lettura della riforma costituzionale della giustizia, compiamo un passo importante verso un sistema più efficiente, equilibrato e vicino ai cittadini. Un traguardo storico e un impegno concreto mantenuto a favore degli italiani», ha commentato Meloni. «Governo e Parlamento hanno fatto la loro parte, lavorando con serietà e visione. Ora la parola passerà ai cittadini, che saranno chiamati ad esprimersi attraverso il referendum confermativo», ha proseguito la premier, sottolineando che «l’Italia prosegue il suo cammino di rinnovamento, per il bene della Nazione e dei suoi cittadini. Perché un’Italia più giusta è anche un’Italia più forte». Di «giornata storica» ha parlato Antonio Tajani, rivolgendo il proprio pensiero a Silvio Berlusconi e «a tutte le vittime di errori giudiziari». «Promessa mantenuta!», ha esultato poi Matteo Salvini sui social.
Nordio: «Una vittoria della democrazia»
Nordio ha voluto ringraziare il Parlamento, «a cominciare da tutti i colleghi dell’opposizione». «Questa è la regola della democrazia. La maggioranza è stata ottima», ha sottolineato il Guardasigilli, che ai cronisti che gli chiedevano se si trattasse di una vittoria dedicata a Silvio Berlusconi ha risposto che «è una vittoria dedicata alla democrazia». La riforma, ha ricordato, era nel programma di governo. Nordio ha chiarito che è sua intenzione spendersi personalmente per il referendum. Più volte, in questi mesi di dibattito acceso sul ddl che porta il suo nome, il Guardasigilli ha spiegato di ritenere quanto mai opportuno che, su un tema così delicato e con un impatto così forte sulla vita dei cittadini, i cittadini si esprimano. Tradotto: il governo non “subisce” un referendum obbligato dalle procedure di modifica costituzionale, ma lo saluta con favore in nome di quel popolo per cui la riforma è stata scritta.
L’appello alla magistratura a «non aggregarsi a forze politiche»
Resta, però, su questo tema la preoccupazione di una politicizzazione che travalichi il terreno della riforma e nella quale si faccia coinvolgere anche la magistratura. «È bene che la magistratura, come io auspico, esponga tutte le sue ragioni tecniche razionali che possono meditare contro questa riforma. Ma per l’amor del cielo non si aggreghi – come effettivamente ha già detto, ammesso e io lo ringrazio il presidente Parodi – a forze politiche per farne una specie di referendum pro o contro il governo», ha ribadito Nordio, avvertendo che «questo sarebbe catastrofico per la politica, ma soprattutto per la stessa magistratura».
La reazione dell’Anm
L’Anm, com’è noto, ha deciso di costituirsi in comitati per il no. Dopo l’approvazione al Senato, con una nota della giunta esecutiva centrale, ha ribadito la propria contrarietà alla riforma, sostenendo che «altera l’assetto dei poteri disegnato dai costituenti e mette in pericolo la piena realizzazione del principio di uguaglianza dei cittadini davanti alla legge». Come sottolineato dal sottosegretario alla Giustizia, Andrea Delmastro, in un’intervista al Secolo d’Italia, «la magistratura può e deve esprimere il suo parere», ma «dovrebbe farlo in maniera il più soft, istituzionale e meno militante possibile perché nessuno ha piacere che il referendum diventi uno scontro tra poteri».
L’opposizione sulle barricate: slogan e zero argomenti
Epperò, il rischio di quello che Nordio ha definito un «abbraccio mortale con l’opposizione» esiste e si è manifestato in modo chiaro in quell’intervento di Dario Franceschini in Aula, a luglio, che gli osservatori hanno letto come un messaggio “criptato” alle toghe, per fare fronte comune. L’opposizione va incontro a questo referendum come si va incontro a una battaglia campale, in quella costante, fallimentare ricerca di una spallata al governo. In Aula, dopo il voto, i partiti di minoranza hanno alzato cartelli con su scritto «no ai pieni poteri», rilanciando la tesi di una riforma voluta per i fini più biechi, dal sottrarsi al controllo della magistratura al volerla sottomettere al potere politico. Grida parossistiche di chi si rifugia nell’esasperazione dei toni e degli allarmi, non avendo argomenti di fronte a un governo che fa ciò che è stato chiamato a fare: attuare il programma per cui è stato votato.