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«A corto muso»: Giuseppe Falci ci spiega la filosofia vincente di Massimiliano Allegri

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«A corto muso»: Giuseppe Falci ci spiega la filosofia vincente di Massimiliano Allegri

Il nuovo libro di Falci è un "trattato" sul mister Massimiliano Allegri: un tipo umano che racchiude la quintessenza di quella Prima repubblica guidata con concretezza da democristiani e socialisti. Simbolo di un’Italia capace di tenere duro nei momenti di crisi per poi mietere risultati

Libri - di Fernando Massimo Adonia - 12 Ottobre 2025 alle 07:02

«Corto muso» era ed è un’espressione troppo ghiotta per non trasformarla in un titolo. Efficace, sintetica, filosoficamente pregna. Giuseppe Alberto Falci, giornalista del Corriere della Sera che da anni macina chilometri tra i corridoi del potere, non poteva perdere l’occasione di spingere in rete il pallone dopo l’assist dichiarato di Livio Gigliuto, il presidente dell’Istituto Piepoli. A corto muso. Max Allegri e gli altri. Il calcio diventa politica, per i tipi di Paesi Edizioni, con la prefazione di Pierluigi Battista, le conclusioni di Massimiliano Gallo e un inserto statistico curato dal già citato Gigliuto, è il tentativo “divertentemente serio” di sviluppare un sintagma che ha diviso il mondo del calcio, il Paese e ha reso manifesto il conflitto a bassa intensità non tanto tra gli juventini e gli anti, ma tra gli anti-allegriani e tutti gli altri.

Campione di realismo

È il 13 aprile 2019 ed è in conferenza stampa che il fu allenatore bianconero tornato di recente a Milanello consegna alla storia una massima che soltanto un Mao particolarmente ispirato avrebbe potuto scolpire: «Nelle corse dei cavalli basta mettere il musetto davanti, non c’è bisogno di vincere di 100 metri. Fotografia: corto muso. Semplice. Quello che perde di corto muso, arriva secondo. Quello che vince di corto muso, primo». In fondo, la vita funziona così. Allegri ha detto una verità nota a tutti, che talvolta non riusciamo a vedere perché l’abbiamo sotto il naso, come i baffi. Un realismo che talvolta offende e scandalizza i più puri.

Nemico della tattica esasperata, dei moduli da applicare scientificamente, del sensazionalismo,  talvolta anche del bel gioco, ma non dei risultati e delle vittorie. Sì, perché Allegri ha vinto tantissimo. In Italia, certamente. E va da sé che lo abbia fatto alla guida di un Milan stellare e di una Juve schiacciasassi in un momento storico in cui le rivali erano prive del fiato necessario. Ma cinque scudetti consecutivi non arrivano mai per caso. Anche senza convincere.

Colpo mortale al “guardiolismo”

E lui lo ha spiegato senza fronzoli: «Se vincono gli schemi, Messi non vale 200 milioni, Ronaldo non vale 400 milioni e Higuain non ne vale 100. Bisogna vedere i gesti dei giocatori, non rendete il calcio complicato». È il trionfo dell’anti-accademia. Il colpo mortale al guardiolismo e ai suoi derivati. Il ritorno della chiesa al centro del paese. Ed è proprio qui che le transaminasi di Lele Adani schizzano alle stelle, assieme alle sue quotazioni giornalistiche. Perché anche lui, una volta indossati i panni ufficiali dell’anti-Allegri, ha chiarito i contorni di un brand riconoscibile, il cui precedente illustre è l’antiberlusconismo di Marco Travaglio.

Anti e pro. Amici e nemici. Da Carl Schmitt in poi è impossibile pensare alla politica se non in termini oppositivi. E dove c’è conflitto c’è anche politica. E viceversa. Tra il serio e il faceto, Falci lo ha inteso perfetto e ha approfondito parecchie domande a partire da un’immagine iconica: l’Allegri descamisado che sfida arbitri, Fgci, vertici bianconeri e l’intero pubblico dell’Olimpico dopo aver strappato la Coppa Italia alla temibile Atalanta di Gian Piero Gasperini. Un addio in caciara, che spazza via lo stile Juventus assieme all’impeccabile dress code aziendale che in lui ha sempre trovato un modello inequivocabile.

Ricordate l’arrivo alla Continassa di Maurizio Sarri, allergico alla giacca e alla cravatta? Max Allegri ha rappresentato da sempre il profilo opposto. Toscani entrambi, ma diversi in tutto. Se l’uno è stato il profeta del corto muso; l’altro ha trasformato in schemi la narrativa della Grande Bellezza proletaria e partenopea che sfida il capitalismo sabaudo della dinastia Agnelli. Erano gli anni del Napoli di Higuaín e Insigne e della propaganda in rete del Soviet sarrista. Sì, perché Sarri si è sempre dichiarato di sinistra. Dell’Allegri politico non sappiamo proprio nulla, nonostante provenga dalla rossa Livorno, città natale del comunismo made in Italy.

L’idealtipo della Prima Repubblica

Falci però non ha dubbi: in Allegri c’è la quintessenza di quella Prima repubblica guidata con concretezza da democristiani e socialisti. Un’Italia capace di tenere duro nei momenti di crisi per poi mietere risultati, cavalcare mercati e mordere il tallone di americani, inglesi, francesi e tedeschi. Ma quella classe dirigente è stata spazzata via dal vento populista di Tangentopoli, sul quale i comunisti avevano soffiato fino a perdere il fiato.  Una stagione azzerata dai livori degli insoddisfatti perenni, nonostante il benessere, e dal fuoco amico dei propri tifosi. Già, perché l’anti-allegrismo è nato proprio in casa Juventus. Non fuori. Una dinamica che può dire tanto del sistema Italia e non solo.

Una curiosità. Nel libro di Falci fa capolino una rilevazione demoscopia su Allegri. Il 36% degli intervistati nutre fiducia nei suoi confronti; il 35% però nutre il sentimento opposto. E fin qui ci siamo. Il dato interessante è tuttavia un altro: piace soprattutto a destra (46%), gode di un ampio consenso anche tra i pentastellati (38%) e lo stesso vale tra gli elettori del Pd (34%). Insomma, il profeta del corto muso gode di un appeal trasversale, capace di pescare ovunque. Non ditelo però a quelli del cosiddetto campo largo, digiuni di vittorie e in cerca di un leader che sappia spiegare loro che «il calcio è molto semplice: bisogna fare due cose, la fase offensiva e quella difensiva, e bisogna farle bene tutte e due». Come nella politica, del resto. Con buona pace degli intellò di ogni specie.

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