
Una nuova tendenza
Al bar per farsi un pianto liberatorio: cosa sono e dove si trovano i “crying cafè”
Il fenomeno, nato in Giappone nel 2020, sta conoscendo una forte espansione: tutto è studiato per dare sfogo alla tristezza in un ambiente rassicurante e se le lacrime non ci sono anche i film tristi da vedere
Andare al bar per farsi un pianto liberatorio. Per quanto strano possa sembrare, esistono locali dedicati a questo scopo: sono i “crying cafè” e stanno avendo un grande successo. Tanto che, nati qualche anno fa come fenomeno di nicchia, ora in Giappone si stanno espandendo un po’ ovunque, da Tokyo alle aree più periferiche.
Cosa sono e come funzionano i “crying cafè”
Un “crying cafè”, spiega l’agenzia di stampa Adnkronos, è uno spazio progettato per facilitare e accogliere il pianto in un ambiente controllato e privo di giudizio. Il pioniere del settore è stato il Cafè Mori Ouchi, aperto nel 2020 nel quartiere di Shimokitazawa a Tokyo, con un cartello inequivocabile all’ingresso: «Solo persone negative». La regola è semplice: ordinare almeno una bevanda, per il resto i clienti possono portare cibo da casa. Il Cafè Mori Ouchi prevede anche un costo di 20 yen a persona ogni 3 minuti di permanenza, una sorta di tassametro della disperazione. La maggior parte dei “crying cafè”, invece, prevede solo l’obbligo di consumare una bevanda, senza costi aggiuntivi.
Dalle luci alla musica malinconica: nulla è lasciato al caso
Tutto nel locale è studiato per favorire l’abbandono al pianto, in un ambiente che venga percepito come sicuro e accogliente. Le luci sono soffuse, la musica è malinconica e il personale è formato per un ascolto empatico. I barman forniscono fazzoletti per asciugare le lacrime, asciugamani caldi per ridurre il gonfiore degli occhi e bevande rilassanti come tisane invece dei cocktail tradizionali. E qualora il pianto rimanesse a livello di groppo in gola, il bar fornisce anche del materiale per facilitarlo, compresa una selezione di film drammatici, video emotivamente coinvolgenti e commoventi libri illustrati.
Non solo tisane: nascono anche i “crying hotel”
Il fenomeno ha preso talmente piede che si è esteso anche oltre i bar tradizionali. A Tokyo c’è un hotel, il Mitsui Garden Yotsuya, che offre “crying rooms” a una cifra tutto sommato abbordabile, anche se certamente superiore alla consumazione al bar: una stanza costa circa 65 dollari a notte. Il servizio però è riservato alle ospiti donna. Anche in queste stanze si trovano film accuratamente selezionati per stimolare le lacrime, comfort moderno e un ambiente intimo e discreto.
Da cosa nasce il fenomeno dei “bar per piangere”
Il successo dei “bar per piangere” è strettamente legato al rui-katsu, letteralmente “caccia alle lacrime”, un movimento nato formalmente nel 2013. Il pioniere è Hidefumi Yoshida, autoproclamatosi “tear teacher” (maestro delle lacrime), che in sette anni e mezzo di attività ha fatto piangere oltre 50mila persone attraverso sessioni di gruppo e tour dedicati.
La scienza alla base del pianto liberatorio
Yoshida organizza “crying tours” a Kamakura e sessioni collettive dove i partecipanti vengono esposti a contenuti emotivamente coinvolgenti come cortometraggi e poesie. La sua filosofia si basa su basi scientifiche: il pianto rilascia ossitocina ed endorfine, riduce i livelli di stress e aiuta a espellere il manganese, un minerale associato ad ansia e irritabilità quando presente in alta concentrazione. Il rui-katsu si è evoluto includendo anche il nakugo, una variante dello storytelling tradizionale rakugo progettata per far piangere anziché ridere.
La tristezza e l’isolamento nella società giapponese
Non è un caso che i “crying cafè” siano nati in Giappone, dove è nato anche il fenomeno degli hikikomori che ormai interessa anche la nostra e altre società occidentali e riguarda ragazze e ragazzi che hanno deciso di ritirarsi dalla vita sociale e restano chiusi in casa, spesso stesi sul proprio letto, per giorni, settimane, mesi. I dati ufficiali del 2024 rivelano l’ampiezza del fenomeno che alimenta il successo dei crying cafè: il 39,3% dei giapponesi si sente solo “spesso o sempre”, “qualche volta” o “di tanto in tanto”. Questa percentuale è rimasta stabile dal 2021, quando il governo ha iniziato a monitorare sistematicamente la solitudine come questione di salute pubblica.
Gli smartphone come fattore che aggrava il senso di solitudine
La solitudine aumenta tra chi abusa dello smartphone, come emerso dal sondaggio del Cabinet Office: tra chi utilizzo il cellulare per più di otto ore al giorno, il 13,3% si sente solo “spesso o sempre”, percentuale che scende al 9,5% tra chi lo utilizza 7-8 ore quotidiane. Ma lo smartphone non basta a spiegare il dilagare della tristezza tra i giovani (e non solo). In Giappone, le cause principali della solitudine includono il lutto familiare (24,6%), la vita solitaria, i cambiamenti lavorativi o scolastici e gravi problemi di salute fisica o mentale.