
Dopo Pisa e Torino
«Triste e pericoloso»: lo storico Perfetti avverte sui rischi della violenza Pro Pal nelle università italiane
Il professore e presidente della Giunta Storica Nazionale registra un «ritorno indietro di decenni» e non risparmia critiche ai colleghi che «metaforicamente imbracciano il fucile, venendo meno ai propri doveri di educatori»
«Quanto sta accadendo nelle Università italiane è triste e preoccupante». A dirlo è Francesco Perfetti, storico di lungo corso, professore emerito alla Luiss Guido Carli di Roma e presidente della Giunta Storica Nazionale, commentando quanto accade negli atenei italiani e, in particolare, quanto accaduto ieri: la “caccia al sionista” dei collettivi Pro Pal a Pisa, con il professor Rino Casella finito al pronto soccorso, e la decisione del rettore del Politecnico di Torino di sospendere il corso del professor Pini Zorea, dell’università israeliana di Braude e docente ospite, “reo” di aver fatto dispiacere gli antagonisti ricordando loro che se si parla della libertà palestinese, si dovrebbe aggiungere «libertà da Hamas» e raccontando la sua esperienza di soldato dell’esercito israeliano, che ha definito «pulito».
Perfetti: «Quanto sta accadendo nelle Università italiane è triste e preoccupante»
Intervistato dall’agenzia di stampa Adnkronos, Perfetti ha spiegato che ciò che accade è «triste perché indica uno snaturamento e una scarsa considerazione dell’Università e della funzione che essa dovrebbe avere nella società contemporanea». Ed è «preoccupante perché segnala un ritorno indietro di diversi decenni fino ai tempi della cosiddetta contestazione, quando, sul finire degli anni sessanta, le aule universitarie erano divenuti campi di scontro politico».
L’avvertimento sul fatto che la libertà d’espressione è un’altra cosa
«L’Università – ha ricordato il professore – dovrebbe essere un luogo, per certi versi, “consacrato” alla cultura, un luogo estraneo alla lotta tra fazioni o tifoserie politiche non un territorio di proliferazione di manifestazioni violente. La violenza, verbale o fisica che sia, non ha nulla a che vedere con l’Università e, più in generale, con le modalità di comportamento di una società civile». «Non si venga a dire che, condannando tali manifestazioni di intolleranza e di violenza, si limiterebbe il sacrosanto diritto di espressione delle opinioni politiche né, tanto meno, quello di manifestare solidarietà a una popolazione martoriata dalla guerra o di esprimere esecrazione nei confronti si azioni militari la cui intensità, durata e violenza non sembrano poter avere giustificazioni. C’è luogo e luogo e c’è modo e modo».
Quei docenti che “imbracciano il fucile”, «venendo meno ai propri doveri di educatori»
«La guerra non si estirpa con la guerriglia urbana, la violenza non si combatte con la violenza. E, tanto meno, nelle Università dove, semmai, il confronto dovrebbe essere pacato, argomentato, dialettico: un confronto, in una parola, di idee. Purtroppo ciò non avviene anche perché l’Università stessa ha perduto la sua “sacralità”, tanto che persino alcuni docenti, venendo così meno ai propri doveri di educatori, hanno preferito, sia pure metaforicamente, imbracciare il fucile e schierarsi da una parte o dall’altra», ha proseguito il direttore del periodico Nuova Storia Contemporanea, che ha raccolto l’eredità del grande storico Renzo De Felice.
«Intolleranza e violenza mettono a rischio la democrazia liberale»
Per Perfetti «in tutto ciò, c’è anche una responsabilità “politica” che riguarda i partiti, tutti i partiti, che spesso per motivi puramente elettoralistici, tendono a sfruttare al massimo le opportunità che si presentato loro per gestire o accrescere il consenso. Ma c’è anche una responsabilità che riguarda tutti gli uomini di cultura che troppo spesso rimangono silenti di fronte al degradare della situazione».
«Quello che sta accadendo nelle università italiane è triste e pericoloso. E lo confermo perché, al di là delle considerazioni fatte, esso è anche la spia del malessere che ha colpito la democrazia liberale che, piaccia o non piaccia – ha concluso il professore – è la migliore forma istituzionale sperimentata. E che è bene non sia messa in pericolo da una deriva dell’intolleranza e della violenza».