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Tra poco riaprirà la stagione della caccia: ecco perché la riforma è importante, oltre gli steccati ideologici

I problemi sono altri

Tra poco riaprirà la stagione della caccia: ecco perché la riforma è importante, oltre gli steccati ideologici

Politica - di Guglielmo Pannullo - 7 Settembre 2025 alle 07:00

Mancano pochi giorni oramai all’apertura ufficiale della stagione di caccia, e già sono iniziate le solite polemiche fini a sé stesse, rese quest’anno ancor più colorite dalle opposizioni al governo a causa della riforma della legge 157/1992 fortemente voluta dal ministro Francesco Lollobrigida. Già negli scorsi mesi sono circolate vere e proprie menzogne sul tema, ordite dalle associazioni animaliste e da influencer in – speriamo – buona fede ma sicuramente male informati, nonostante la riforma presentata al Senato avente come primo firmatario Lucio Malan (FdI) conti ‘solo’ diciotto articoli condensati in sette pagine, e sia pubblica e reperibile per chiunque.

La riforma della legge 157 del 1992 segna un cambio di prospettiva importante: non più solo la tutela della fauna selvatica, ma una gestione integrata che tenga insieme conservazione, sicurezza ed esigenze umane. Il testo riconosce la caccia come parte della tradizione culturale italiana, con un valore non solo sociale ma anche economico e ambientale, e al tempo stesso rafforza il ruolo delle regioni, chiamate a pianificare in maniera più flessibile e moderna le politiche faunistiche e venatorie.

Manca poco alla stagione della caccia: ecco tutte le novità della riforma

Le novità riguardano diversi ambiti: dalle semplificazioni sui richiami vivi e sugli appostamenti fissi, all’ampliamento dei controlli faunistici negli aeroporti e ai piani di contenimento delle specie, fondamentali per affrontare emergenze come la peste suina africana. Viene inoltre aggiornata la disciplina delle aziende venatorie, con la possibilità di costituirle in forma d’impresa, e si introduce una maggiore autonomia per le regioni nella definizione dei calendari venatori.

Un pacchetto di misure che, nel complesso, punta a modernizzare il settore, bilanciando la salvaguardia della biodiversità con la necessità di una gestione attiva e responsabile del territorio, in cui la caccia viene riconosciuta come attività legittima, regolata e integrata nella vita economica e sociale del Paese. Quindi nessuno potrà sparare in spiaggia, come falsamente affermato; o cacciare di notte o a partire dai 16 anni; non saranno ridotte le aree protette o aumentato il numero delle specie cacciabili; non verrà liberalizzata la cattura di richiami vivi o cacciare nei fondi privati senza regole.

Perché la riforma sulla caccia è necessaria, oltre gli attacchi ideologici

Una riforma della 157/92 resasi necessaria dopo più di 30 anni e che, secondo il capogruppo in commissione Agricoltura di Fratelli d’Italia alla Camera dei deputati, Marco Cerreto, merita di essere aggiornata per poter meglio assolvere alla propria funzione, previo il dovuto e giusto dibattito parlamentare, il quale si preannuncia complesso. Sono infatti ben più di 2000 gli emendamenti presentati da parte delle opposizioni in commissione al Senato, molti dei quali con l’evidente finalità di bloccare i lavori e ritardare di qualche mese il voto finale. Nonostante ciò, da mercoledì 10 settembre le commissioni Ambiente e Agricoltura riprenderanno la discussione e l’esame della riforma.

Un attacco meramente ideologico, quindi, è quello che sta portando avanti l’opposizione nei confronti di un tema condiviso come quello della caccia. Emblematico in questo senso è la risposta data da Francesco Merlo su La Repubblica ad una lettrice che sosteneva faziosamente che “con la destra al potere si spara di più, anche alle specie a rischio”. In maniera condivisibile ed equilibrata, Merlo le fa notare l’inconsistenza della dicotomia ‘destra=caccia’, sostenendo che “ne conosco tantissimi di sinistra. E le dico più: qualcuno è persino vegetariano” sostenendo che i cacciatori sono “un impasto consapevole di retorica arcaica e di ecologia. E spesso chi li caccia ama gli animali più di chi li alleva in condizioni di estrema sofferenza, per mangiarli”.

L’impatto ambientale a zero non esiste, altro che superiorità morale

L’impatto ambientale zero, purtroppo, non esiste. Ogni essere vivente ne ha uno sin dalla propria nascita. Per gli uomini, la specie indiscutibilmente col maggior impatto, fa sorridere la presunta superiorità morale di alcuni – una infinitesima minoranza – che tendono a voler esternare sguaiatamente le proprie scelte etiche e alimentari, con la finalità di voler catechizzare e affermare una presunta superiorità morale nel rapporto con gli animali e la natura. Torna alla mente John Dutton (Kevin Costner) nella popolare serie tv Yellowstone, che ad una manifestante animalista ebbe a dire “Hai mai arato un campo, Summer? Per piantare la quinoa, il sorgo, o quello che mangiate voi… devi uccidere tutti, anche sottoterra. Si, uccidi ogni serpente, ogni rana, ogni topo, talpa, arvicola, verme, quaglia… devono morire. Quindi la vera domanda: è quanto deve essere carino un animale perché vi interessi se muore per sfamarvi?”.

Al netto della generalizzazione televisiva, è interessante notare come spesso gli stessi detrattori della caccia o dell’alimentazione onnivora, in tutela della fauna e dell’ambiente, siano coloro che promuovano l’acquisto di cibi etnici o equi e solidali provenienti da Paesi del terzo mondo, coltivati in maniera non controllata, con lavoratori privi di tutele e infine trasportati a bordo di container su navi cargo provenienti dall’altra parte del mondo. Non proprio il modello green, locale e autosufficiente che invece ognuno di noi dovrebbe auspicare.

Il problema risiede in una produzione industriale eccessiva e negli allevamenti intensivi

L’eccesso malsano della produzione industriale di cibo, e il conseguente aumento di allevamenti intensivi e prodotti lavorati, ha portato direttamente a reazioni che vanno nel senso contrario e più estremo possibile, dando vita a dei ferrei oppositori non solo dell’industria intensiva ma dell’alimento carne (o pesce) in sé, con repulsione conseguente anche dei metodi più antichi e naturali di procacciarsi il cibo, la caccia e la pesca. La verità, probabilmente, è nel mezzo, e la radice va ricercata nell’industrializzazione estrema e nella sovralimentazione cui tutti siamo soggetti.

In un’epoca dove non saremmo in grado di sopravvivere qualche ora senza elettricità, dove la maggior parte della popolazione vive in contesti urbani e non è assolutamente autosufficiente, dove parte della popolazione mondiale crede che il tonno cresca nelle scatolette e che nuggets e pollo siano due cose differenti… beh, avere un sano contatto con la natura, con gli animali, con gli elementi e, perché no, con la vita, con la morte e con il ciclo della vita, non sarebbe poi tanto male. Ci potremmo rendere conto che è più rispettoso nutrirsi di un animale cacciato con le proprie mani, che di uno preincartato e che non ha mai visto la luce del sole.

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