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Soli con un cane: le previsioni Istat sugli italiani del 2050 delineano un quadro desolante

Single al 41%

Soli con un cane: le previsioni Istat sugli italiani del 2050 delineano un quadro desolante

Economia - di Mario Bozzi Sentieri - 1 Settembre 2025 alle 10:27

Nel 2050 – secondo le  previsioni dell’Istat il 41% delle famiglie italiane sarà composto da single: una previsione “apocalittica” che destabilizzerà gli assetti sociali ed economici del Paese, avviato a fare i conti con una precarietà diffusa fino ad oggi inimmaginabile. A trionfare – secondo la più aggiornata sociologia – la fluidità di massa, dove tutto sarà (dovrà essere ?) “a termine”, relativo … “per un po’”: dal matrimonio all’acquisto della prima casa, dal posto di lavoro (non più fisso) ai sentimenti.
Secondo lo psicologo e psicoterapeuta Matteo Lancini (autore di Chiamami adulto) “non ci sarà a breve nessun motivo per cui convenga mettersi in coppia, nel senso tradizionale (…). Abbiamo detto ai bambini e alle bambine di essere indipendenti e autonomi; abbiamo alimentato l’idea che se rinunci a qualcosa per la manutenzione della coppia non va bene perché non realizzi più la tua identità. La coppia non ha vinto”. Pare essersi spappolato il senso più profondo dello “stare insieme”, avendo come riferimento il progetto individuale, prevalente rispetto a quello di coppia. L’amore per sempre pare essersi eclissato, lasciando ampi squarci all’individualismo, e all’instabilità di coppia.

Avanza il relativismo assoluto

“Oggi – nota Alessandro Rosina, docente di Statistica sociale alla Cattolica di Milano e  autore di Storia demografica d’Italia. Crescita, crisi e sfide –   l’instabilità coniugale si sta avvicinando a quella di altri Paesi: oltre un matrimonio su tre si scioglie e la maggioranza delle coppie si forma con un’unione informale. E oltre il 40% dei figli nasce fuori dal matrimonio”.
Di fronte a questo quadro è un errore credere che il “relativismo etico” (con lo sfarinarsi  di ogni rapporto di lunga durata, fondato su  una serie di impegni permanenti di ordine sociale e culturale)  sia un semplice problema intellettuale, da analizzare e da discutere all’interno dei circoli filosofici, – tanto lontano dalla sensibilità collettiva da essere incomprensibile ai più – o una questione tutta religiosa, da rinchiudere nelle sacrestie e da lasciare all’attenzione del solo magistero della Chiesa e di una coraggiosa (sempre più ristretta) pattuglia di credenti. La questione è politica ed insieme sociale e culturale. Deve diventare perciò l’occasione per analisi, iniziative, azioni in grado di fare ricrescere una nuova sensibilità-consapevolezza collettiva.
Oltre ogni visione intellettualistica la “frontiera” della famiglia e dei rapporti interpersonali rappresenta infatti la linea più avanzata di un fronte intorno al quale si agitano e si sovrappongono temi quali la Vita, la procreazione, le relazioni sociali, la morte, che rappresentano il nocciolo duro ed essenziale delle grandi questioni etiche sulle quali  è chiamato ad interrogarsi l’uomo contemporaneo.
Senza limiti morali la libertà del relativismo etico finisce per sovrastare i diritti altrui, mentre la legge diventa un fragile paravento, inadeguato a proteggere le vittime del relativismo stesso.
Pensiamo, nel campo del diritto di famiglia, alle conseguenze del divorzio nei confronti del coniuge debole e dei figli; nel caso dell’aborto ai diritti del nascituro e a quelli del padre non consenziente; nel campo della bioetica ai rischi determinati da normative che avvalorano l’eutanasia contro il soggetto malato.

Spaesati e contenti

La libertà del relativismo tanto più è assoluta, cioè senza limiti, tanto più appare foriera di nuovi traumi all’interno del corpo sociale. Ma di questo in molti non sembrano accorgersene, sovrastati dalla cultura dominante, schiacciati dal “politicamente corretto”, soffocati dalle banalizzazioni di massa.
E qui Hannah Arendt c’entra poco. Ad essere “banalizzato” nell’Italia d’oggi più che il male sembra essere il bene.  Nella misura  in cui con  il termine “bene” si viene a fissare ciò che agli individui appare desiderabile, al punto da potere essere considerato un fine da raggiungere nella propria esistenza, lo stravolgimento del bene metafisico, sotto i colpi di maglio del relativismo  e del soggettivismo, ha, oggi, svuotato di ogni valore oggettivo il concetto di bene. La vulgata corrente è che se  “non si fa male a nessuno” tutto è concesso. Inutile allora porsi domande sul bene e sul male.
Al contrario – rispetto ad una cultura corrente che tutto sembra assecondare –   l’autentica  frontiera dei diritti è quella di “fare domande”. Dalla loro formulazione passa la verifica di quelli  che possiamo definire i “costi sociali” del relativismo etico, cioè le conseguenze sociali delle analisi filosofiche, antropologiche, sociologiche, politiche che stanno alla base del relativismo.
Esistono dei diritti non negoziabili, attraverso i quali è possibile garantire una crescita ordinata dell’uomo e dunque delle relazioni sociali? Dove e come individuarli? Quali conseguenze ha il relativismo etico sull’organizzazione della società? Il suo manifestarsi, radicalizzarsi e radicarsi può essere ridotto alla sfera meramente privata dell’individuo? Può essere considerata una società votata al bene, una società che non considera come essenziale il diritto alla Vita, quindi alla sua tutela, già nel grembo materno?

Singoli gettati ai margini della società

Pensiamo ai diritti del bambino, costretto a subire la destabilizzazione familiare, attraverso il divorzio dei genitori. Non è oggettivamente prevalente il suo “bene”, nell’avere comunque una famiglia che lo sostenga negli anni decisivi della sua crescita, rispetto alla libertà dei singoli genitori? Pensiamo, sempre in ambito familiare, al diritto ad un’affettività completa, quella che nasce da un padre e da una madre. Pensiamo al senso della vita e della morte. Il progredire della scienza può arrivare a  banalizzare l’esperienza della morte, al punto da negare il senso della Vita?
Dei rischi a cui viene esposto dall’espandersi del relativismo, il cittadino non è allertato. Non ci sono cartelli indicatori che lo avvisino. Non ci sono campagne informative che lo sollecitino a riflettere su certe “derive”.
Al contrario, egli è quotidianamente sottoposto ad una costante opera di indottrinamento inconsapevole, in grado di rendere dolce il processo di depotenziamento collettivo, di resa, di assuefazione. E tutto questo senza che le conseguenze concrete di tale deriva siano ben chiare. Senza che i costi sociali e personali siano chiaramente indicati.
Il risultato è che le conseguenze di tali scelte ricadono sul malcapitato, al punto da stravolgere la sua vita e quella di chi gli sta intorno. Proviamo a moltiplicare queste conseguenze per milioni di volte ed avremo il quadro di una  società scricchiolante e sempre più instabile, di famiglie segnate da una crisi che diventa economica in quanto è crisi etica, di singoli gettati ai margini della società, senza più riferimenti esistenziali ancor prima che materiali.

Il soggettivismo finisce per sovrastare i diritti altrui

A pagarne le conseguenze sono e saranno sempre di più i “ceti deboli”, deboli non solo dal punto di vista economico ma anche dal punto di vista esistenziale. Deboli perché spesso incapaci di gestire le emergenze esistenziali, le lacerazioni familiari, la rottura dei vecchi legami, i costi materiali,  di fronte ad una vita così diversa, drammaticamente diversa e lontana rispetto al gossip patinato, alle cronachette rosa in cui divorzi, tradimenti ed abbandoni diventano accattivanti status symbol, mentre è sulla sottile  linea di demarcazione che separa amore e rancore che  la cronaca quotidiana da rosa si trasforma in nera, proprio là dove la libertà “allargata” aveva fatto presagire ulteriori e definitive “liberazioni”.
A pagarne le conseguenze sono  i singoli, ma un po’ tutto il sistema sociale. Con i bambini ed i giovani in prima fila, vittime di una precarietà di massa dai costi altissimi, che allarga l’esercito dei nuovi poveri letteralmente aggrediti dall’ aumento di divorzi e separazioni, diffusi soprattutto  nelle fasce sociali medio-basse.
Il soggettivismo finisce per sovrastare i diritti altrui, mentre la legge diventa un fragile paravento, inadeguato a proteggere le vittime del relativismo stesso. Pensiamoci quando, per giustificare le derive del relativismo e dell’egoismo, ascoltiamo chi dice: “non si fa male a nessuno”.

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di Mario Bozzi Sentieri - 1 Settembre 2025