
L'editoriale
Nella tempesta di questi tempi con i “belli ciao” al timone? Tenetevi forte
Elly Schlein ha scelto di essere così testardamente accondiscendente nei confronti della demagogia giallo-rossa da avere consegnato lo scettro dell’alternativa all’agenda radicale dei suoi alleati più scalmanati e improbabili
Nella malaugurata ipotesi ci fosse oggi la sinistra-sinistra (qualcuno ha visto arrivare il centro da quelle parti?) al timone fra i marosi della «tempesta» richiamata da Giorgia Meloni a Fenix, che posizione assumerebbe l’Italia sui principali dossier che preoccupano e occupano i pensieri degli italiani? Tenetevi forte, si balla. Diciamolo subito: per tenere in piedi la sua strategia «testardamente unitaria» Elly Schlein ha scelto di essere così testardamente accondiscendente nei confronti della demagogia giallo-rossa da avere consegnato lo scettro dell’alternativa all’agenda radicale dei suoi alleati più scalmanati e improbabili. I risultati dei “Belli ciao” sono i seguenti.
Partiamo dal tema più urgente: quello della tragica crisi di Gaza. La piattaforma di Pd, 5 Stelle ed Avs è sostanzialmente sovrapponibile a quella delle piazze pro-Pal: ossia dei centri sociali, degli islamisti e della rabbia dei casseur di casa nostra, i maranza. I risultati sono visibili con il caos e le violenze “pacifiste” che hanno contraddistinto la protesta di lunedì. Il sostegno alla proposta-spot targata Francia e Gran Bretagna – riconoscimento dello Stato della Palestina come viatico (con risultati “diplomatici” al momento disastrosi) per ripristinare il dialogo sulle due entità statuali distinte e separate – è solo formale. Dalle manifestazioni, infatti, il motivo forte che emerge in realtà è lo slogan «Palestina libera dal fiume al mare»: tesi che non contempla, a rigor filologico, l’esistenza di Israele. Cartina di tornasole del programma della sinistra-sinistra è l’assenza di una parola di sostegno sulla proposta più lucida giunta dalla comunità internazionale: quella della Lega araba, che vede il ritorno degli ostaggi a casa e di Gaza e della Cisgiordania sotto il pieno controllo dell’Anp ma senza più Hamas come soggetto che tiene in ostaggio la Striscia. Un governo Schlein-Conte-Fratoianni insomma – con l’Italia esposta pericolosamente a tutte le turbolenze che giungono dal Maghreb e dal Medioriente – avrebbe il profilo più radicale di tutta la sponda del Mediterraneo.
Sull’Ucraina? A differenza del dossier Gaza, a regnare nel campo largo è la “guerra civile” interna, dato che si va dai piddini con l’elmetto pronti a sostenere le bellicose manie di grandeur di Macron ai pacifisti filo-putiniani a 5 Stelle. Morale: in Aula, su un tema così dirimente di politica estera, la spaccatura sarebbe così evidente da mandare in crisi l’esecutivo alla prima votazione. Ancora più ingarbugliata la tela delle posizioni sul tema riarmo. Si è visto di tutto: nella stessa piazza si sono dati appuntamento gli ultrà dell’esercito europeo (le “truppe scelte” di Repubblica e mezzo Pd) e quelli che si oppongono a ogni forma di riarmo (l’altro mezzo Pd e Avs) i quali dovrebbero allearsi con quelli che su armi e difesa cambiano sponda e idea dal governo all’opposizione (Conte e i 5 Stelle). Italia armata o disarmata, dunque? La posizione del campo largo è letteralmente disarmante: un vulnus che è in politica estera è dimostrazione plastica di sottomissione al traino degli altri.
Capitolo relazioni internazionali. Un esecutivo di sinistra – almeno a rileggere le dichiarazioni dei suoi leader – avrebbe già ritirato l’ambasciatore a Washington. Parola di Elly Schlein che all’indomani dell’uscita del presidente americano sull’intenzione di riallacciare i rapporti con Putin per iniziare di «pace» (sic) in Ucraina ha indossato subito la divisa…francese: «Con noi – spiegava, allineandosi ancora a un Macron ansioso di legittimazione all’estero dopo i disastri in patria – nessun rapporto con Donald Trump». Sbocco naturale per l’Italia secondo i giallo-rossi 2.0? Ovvio: quel “paradiso” di diritti e democrazia che è la Cina. Giuseppe Conte, qui, non ha perso tempo nel rivendicare la nostalgia filo-cinese dei suoi governi che avevano consegnato (senza alcun guadagno) sfera di influenza e infrastrutture strategiche italiane alla nuova Via della Seta di Pechino. «Giorgia Meloni – tuonava l’avvocato di Volturara appena esploso il tema dazi – dopo aver strappato l’accordo con la Cina che avevamo siglato per aprirci con il mercato cinese, torni da Xi Jinping con il cappello in mano, perché stiamo avendo difficoltà con gli Stati Uniti». Questo tanto per non smentire dove volge lo sguardo e il cuore il “partito cinese italiano”: con Massimo D’Alema e Romano Prodi già in modalità “grillini d’Oriente”.
Ed eccoci alla politica interna. Qui a dettare legge alla Schlein è la dottrina della “triplice” del campo largo: Maurizio Landini, Giuseppe Conte e Ilaria Salis. Smarrita ormai ogni velleità operaista, il leader della Cgil è diventato un agitatore politico in servizio permanente. Davanti all’impronta laburista del governo Meloni (taglio strutturale del cuneo fiscale per la fascia del lavoro operaio, riduzione degli scaglioni Irpef a partire dai ceti svantaggiati, legge sulla partecipazione dei lavoratori insieme a Cisl e Ugl, rilancio della contrattazione, boom dell’occupazione a tempo indeterminato) la risposta di Landini è la «rivolta sociale». Sulla base di una piattaforma sindacale? Macché. Come ha raccontato Annamaria Gravino sul Secolo è la narrazione sotto cui dilaga la protesta senza costrutto né base sociale dei vari agitatori green, dei No Tav, dei No Ponte e ovviamente dei pro-Pal.
La campagna delle Regionali, poi, ha fornito un assaggio della nuovissima proposta di sviluppo della sinistra: reddito di cittadinanza a go-go con una spruzzata di «graduidamente». Ad intestarsela, con la benedizione di Giuseppe Conte, il padre della misura nonché candidato governatore Pasquale Tridico, che fra una gaffes e l’altra spera di convincere i calabresi promettendo «cchiù redditu pe’ tutti» con fondi già impegnati e buchi di bilancio monstre che ricordano i tempi del Superbonus. E se non stupisce che ad accodarsi a Tridico sia stato il “collega” grillino Roberto Fico, indicativo del crollo programmatico in corso nel Pd è il contagio assistenzialista di esponenti (sulla carta) riformisti come Giani e Ricci.
Infine, per ciò che riguarda l’ordine pubblico, a farla da padrona a sinistra è la cosiddetta dottrina Salis. Da quando è emersa per “meriti” (militanza e reati nella sinistra radicale, “gite” a Budapest in compagnia dei simpatici martellatori antifascisti della Hammerbande) nella politica italiana, l’agenda squatter di Ilaria Salis ha scalato le posizioni fino a diventare la posizione ufficiale del campo largo contro il decreto sicurezza: lo stesso provvedimento, per dirne una, che tutela i proprietari, spesso anziani e indifesi, di case dalle occupazioni di immigrati e organizzazioni para-criminali. Anche in nome di questi “risultati” la Salis – imputata a Budapest per i pestaggi dei suoi amici (rei confessi) – è stata appena salvata dalla revoca dell’immunità parlamentare a Bruxelles dalla cosiddetta “maggioranza Ursula”.
Con una ciurma del genere e la rotta scelta accuratamente dalla “capitana” Elly è proprio il caso di dirlo: tenetevi forte. Si affonda.