
Il testacoda della sinistra
Lo Stato palestinese e le condizioni della premier: le opposizioni abbiano il coraggio di accettarle in nome dell’interesse nazionale
“Se siamo uguali a voi in tutto il resto, dovremo rassomigliarvi anche in questo. Se un ebreo fa un torto a un cristiano, a che si riduce la mansuetudine di costui? Nella vendetta. E se un cristiano fa un torto a un ebreo quale esempio di sopportazione gli offre il cristiano? La vendetta. La stessa malvagità che voi ci insegnate sarà da me praticata, e non sarà certo difficile che io riesca persino ad andare oltre l’insegnamento.” (W. Shakespeare, “Il mercante di Venezia”)
Strano destino ha la destra italiana. Ci ha messo mezzo secolo per liberarsi dello spettro dell’antisemitismo agitatole contro dalla sinistra, con un percorso difficile ma autentico ed ecco che adesso viene accusata dell’opposto: di essere troppo filo-Israele, di avere compiuto un’opzione storica, tra ebrei e palestinesi; di avere scelto Gerusalemme contro Gaza. In verità, le leadership della destra parlamentare nel dopoguerra furono rigorosamente filo-israeliane. Ma la base, soprattutto giovanile, fu filo-palestinese, almeno nella sua componente maggioritaria.
Palestinesi e/o israeliani: l’immaginario e il percorso della destra
Colpa dell’immaginario: l’estetica del deserto, il fascino del mondo arabo, la suggestione di immagini e figure, dalla “Cittadella” di Antoine de Saint-Exupery, all’avventura di Lawrence d’Arabia; dall’attrazione verso il “socialismo nazionale” panarabista interpretato da personalità forti come il presidente egiziano Gamal Abd al-Nasser (1918-1970); fino all’ingenuo pensare che i palestinesi sono poveri e gli ebrei ricchi: tanti shakespeariani Shylock che si prendono le libbre di carne di milioni di donne, uomini, bambini di Gaza. In principio era la destra antisemita nella testa della sinistra. Giocavano contro, le letture a destra di autori dall’antisemitismo, più letterario che politico: dai francesi Celine, Brasillach, Drieu La Rochelle, al Nobel norvegese Knut Hamsun; e poi il sedicente “razzismo spirituale” di Julius Evola e dei suoi più intransigenti discepoli. Non ultime le scorie dell’ “Oremus et pro perfidis Judaeis” dei messali cristiani fino ai “fratelli maggiori” ritrovati da Papa Woytila con la storica visita alla Sinagoga di Roma (1986); non é poi da escludere qualche nostalgia del Gran Mufti Amin al-Husseini.
Dalle tesi anti-razziste di Fiuggi all’elezione di Ester Mieli
Giorgio Almirante, che fu segretario di redazione della “Difesa della Razza”, diretta da Telesio Interlandi, dopo la guerra fece pubblica ammenda del suo tragico errore; di tanto in tanto qualcuno ricorda quella rivista “maledetta”, con cogitazioni spericolate, per provare a colpire la premier Giorgia Meloni che il capo missino neppure conobbe. Ma quasi nessuno – solo qualche voce isolata, a destra – per limitarci al caso più eminente degli statisti della Repubblica, chiese conto dei suoi scritti razziali, ad Aldo Moro: (“La razza è l’elemento biologico che, creando particolari affinità, condiziona l’individuazione del settore particolare della esperienza sociale che è il primo elemento discriminativo delle particolarità dello Stato”, in Lezioni di Filosofia del Diritto tenute presso l’Università di Bari nell’Anno Accademico 1946-47).
Eppure i due leader erano coetanei. A difesa dalla e non della “Difesa della razza” scagliatele contro, nello scorrere della storia della Repubblica, furono portati sulla rive droite gli esempi luminosi di Giorgio Perlasca e Giano Accame, i volumi di Renzo De Felice, inclusa la “Storia degli ebrei italiani sotto il fascismo”, (Einaudi, 1961); gli studi di Giuseppe Parlato e i libri di Gianni Scipione Rossi, tra i quali, essenziale e coraggioso, “La destra e gli ebrei” (Rubbettino, 2003); fino alla esplicita e ineludibile pregiudiziale antirazzista, che segnò la nascita di Alleanza nazionale (1993), poi confermata e ampliata dalle Tesi di Fiuggi (1995) e dal viaggio a Gerusalemme di Gianfranco Fini (novembre 2003): una traiettoria sulla quale si é sempre mantenuta Giorgia Meloni, la quale ha portato in Parlamento, con una scelta molto simbolica, l’attuale senatrice Ester Mieli: giornalista, ex portavoce della comunità ebraica romana e nipote di Alberto Mieli, superstite italiano dell’Olocausto, autrice con lui del libro “Eravamo ebrei – Questa era la nostra unica colpa” (Marsilio, 2016); e ha aperto un dialogo proficuo con le nazioni del Mediterraneo, la cui cornice é il Piano Mattei.
L’Italia, la Germania, l’antisemitismo e lo Stato palestinese che non c’è
Dopo tanto lavoro politico e approfondimento storico- culturale, la vulgata anti-destra adesso si capovolge. La lotta all’antisemitismo non é più una priorità politica e morale. E’ sconvolta da una imprevedibile inattualità. Basta così, la destra non si impegni più su quel fronte, sembrano dire “di là”. Quella trincea è stata abbandonata dai “compagni”, costretti loro a difendersi a livello globale dall’accusa di antisemitismo, che come sappiamo è stato tutt’altro che estraneo alla gauche mondiale. In questa ondata di follia politica che marchia il discorso pubblico, persino Liliana Segre, da monumento vivente di memoria condivisa, è diventata complice del “genocidio” palestinese; insomma assistiamo a un incredibile testacoda progressista.
Cosi nel mirino “left” finiscono due Nazioni – la Germania e l’Italia – che sono molto prudenti nel riconoscere lo Stato palestinese, a partire dal profilo “realistico” della questione: quale statualità ? Quale territorio? Quali confini ? Quale diritto internazionale ? Quale Stato si vuole riconoscere ? lo “Stato terrorista” di Hamas ? E che ne sarebbe degli accordi di Oslo (1993) di cui la dichiarazione dello Stato di Palestina sarebbe una palese violazione? Tutte problematiche serie che non depongono a favore della corsa, guidata da Emmanuel Macron, a “riconoscere”, ma senza alleviare le sofferenze immani della popolazione di Gaza. Certo è legittimo chiedersi se la destra europea, l’una popolare e l’altra conservatrice, alla guida dei governi tedesco e italiano, mantenga cautela nel riconoscere lo Stato di Palestina, anche per l’eredità collettiva, del passato che non passa, della “colpa” ereditata senza colpa dal nazismo e dal fascismo.
Ma a Berlino nel governo Merz ci sono anche i socialisti
E tuttavia – elemento che nessuno mai annota, eccolo – a Berlino, non c’è un governo di centrodestra come a Roma. Ma una coalizione tra popolari e socialisti i quali – membri del Pse, la famiglia politica di Elly Schlein – nell’esecutivo, accanto al cancelliere Merz, esprimono rappresentanze di peso: come il vice-cancelliere, che è anche ministro federale della Finanze e i titolari di Difesa e Giustizia. Eppure la Germania popolare-socialista, non fa forzature; esattamente come l’Italia. Potremmo, allora, aggiungere che il Regno Unito ha un heritage opposto – un complesso peloso verso i palestinesi – che ne influenza le decisioni? E davvero si può ancora diffondere l’idea sommaria che i Paesi europei, tra cui anche la Danimarca, a guida progressista, i quali non dichiarano oggi, sic et simpliciter, il riconoscimento di principio, ma fatuo, dell’inesistente Stato di Palestina, macchiano se stessi di sangue gazawo ?
Non bastano i consistenti aiuti umanitari italiani ? Neppure i tanti bambini della Striscia curati nei nostri ospedali ? Non rileva il buon rapporto della nostra presidente del Consiglio con Mahmūd Abbās (Abu Mazen), presidente dell’Autorità nazionale palestinese ? E la ferma condanna italiana dell’occupazione che provoca ogni giorno decine di vittime e indicibile dolore, anche se come risposta sproporzionata e spropositata all’orrendo attacco di Hamas e alla denegata liberazione degli ostaggi? Non conta che il servizio pubblico, il Tg1 così “telemeloniano”, offra, senza remore o filtri, un giornalismo di prim’ordine sulle atrocità commesse a Gaza; non vale la contrarietà ferma del nostro governo, espressa nelle sedi internazionali, alla cacciata dei gazawi dalla loro terra ? Tutta responsabilità di Netanyahu così “destro” e maldestro. Certo, certo.
La Flottilla “difesa” dal governo e la proposta di Meloni all’Onu
Ma cosa pensate? Ci fosse stato un altro premier a Tel Aviv il 7 ottobre 2023, ci sarebbe oggi una reazione più morbida alla ferocia di Hamas? E la missione della Global Flottilla? La Marina militare italiana, su disposizione del ministro Crosetto – che ha inviato un’unità navale -sta facendo il proprio dovere di tutela degli italiani a bordo, da attacchi di droni avvenuti in acque internazionali, ma non può giungere a violare il blocco navale di Israele per fare passare le imbarcazioni della missione umanitaria in zona di guerra.
Le opposizioni accolgano la proposta Meloni in nome de comune interesse
E ciò a prescindere dalla facile osservazione che una flottiglia similare che andasse a chiedere la liberazione degli ostaggi in mano ad Hamas, nessuno l’ha neppure lontanamente pensata; come non si segnalano in Italia e in Europa altre manifestazioni in tal senso. Bisogna, di certo, evitare la ripetizione del drammatico incidente di Mavi Marmara (2010): quel dimenticato precedente della “Freedom Flottilla per Gaza” costò la vita a nove attivisti e parecchi feriti tra i militari israeliani. Si può fare di più per Gaza; si deve, dobbiamo; ma le fregole internazionali a fini interni, le legittime manifestazioni pubbliche, ancor meno le devastazioni, le vetrine infrante e i poliziotti mandati all’ospedale, non sono, né aggiungono, corridoi di salvezza per il popolo palestinese. Ora, la proposta lanciata all’Onu dalla premier italiana indica una via realistica, mediana: sì allo Stato palestinese, ma a condizione che siano liberati gli ostaggi e con Hamas out. Non sarebbe, anche per le opposizioni, una scommessa da cogliere, in nome del comune interesse nazionale ?