
Drenaggio fiscale o di voti?
Landini scalda i motori per scendere in piazza: “Il governo deve mille euro a pensionati e lavoratori”. Ma i conti non tornano: a pagare sarebbero sempre gli italiani
In un'intervista a "la Repubblica" il leader Cgil parla di tasse "pagate in più" e alza la voce col governo a cui chiede di restituire "i soldi persi con il drenaggio fiscale". E tra conti che non tornano e l'ennesimo rilancio di una patrimoniale, fa la sua mossa sindacal-elettorale, al netto della smentita di una discesa in campo
Alla faccia del dialogo, Landini alza la voce
Aria di scioperi, calendari già fissati in agenda per i mesi a venire, e la solita ricetta vetero propagandistica che rilancia una sorta di espropri alle casse pubbliche e più tasse su rendite e patrimoni, (come se fondi e spese dello Stato fossero un pozzo senza fondo). È in estrema sintesi il succo dell’intervista a la Repubblica in cui il segretario della Cgil Maurizio Landini chiede al governo di restituire mille euro in media a pensionati e lavoratori, ovvero «le tasse in più pagate in questi anni per effetto del drenaggio fiscale: 24 miliardi di maggiore Irpef». A margine poi, e non è un dettaglio da poco, il numero uno del sindacalista di sinistra torna a smentire ipotesi di discesa in politica. «Sarò segretario generale della Cgil anche durante le elezioni del 2027. Togliamo quest’argomento dal tavolo», spiega (rassicurando detrattori e competitor “interni”).
Landini: «Il governo restituisca mille euro a pensionati e lavoratori»
Ci risiamo: Landini torna alla carica su Irpef e presunti “drenaggi fiscali”, ignorando la realtà di bilancio e la lotta all’inflazione. «Tra il 2022 e il 2024 lavoratori e pensionati hanno versato 24 miliardi di Irpef in più perché scaglioni e detrazioni non sono stati rivalutati all’inflazione», sostiene Landini. Quindi prosegue: «Per un reddito di 30 mila euro significa circa mille euro persi. Quelle somme vanno restituite subito, anche con un conguaglio fiscale. E il sistema va riformato con un meccanismo automatico di indicizzazione. Non bastano ritocchi dell’Irpef».
Ma i conti di Landini non tornano…
Insomma, il segretario della Cgil, non smette di stupire per la sua pervicace capacità di rimanere ancorato a ricette economiche che sanno di naftalina e che, se applicate, potrebbero paralizzare il Paese e bloccare la macchina messa in moto dal governo che sul fronte economico ha raggiunto traguardi ragguardevoli, oltre che successi acclarati a chiare lettere e promossi a pieni voti, internazionalmente riconosciuti. Ma tant’è: con la sua ultima sortita mediatica, dalle colonne del quotidiano la Repubblica, Landini chiede la restituzione immediata di ben 24 miliardi di euro a lavoratori e pensionati, presentati come frutto di un presunto “drenaggio fiscale” (il famigerato “fiscal drag”). In sostanza, mille euro a testa, frutto delle “tasse in più” pagate tra il 2022 e il 2024 per la mancata rivalutazione di scaglioni e detrazioni all’inflazione.
Una richiesta roboante, perfetta per la piazza, ma che ignora volutamente la complessità della gestione finanziaria pubblica e, soprattutto, gli sforzi del governo già in atto per contenere l’inflazione e sostenere i redditi. Un governo che, tra le righe, il leader sindacalista dipinge alla stregua vessatore fraudolento, impegnato a sottrarre ingenti somme dalle tasche dei contribuenti. La verità però, come noto, è ben diversa…
Ed è quella che a suon di cifre e riconoscimenti internazionali, racconta di un esecutivo che ha attuato nel tempo diverse risoluzioni di una politica dello sviluppo che per esempio, dalla misura sperimentale introdotta con l’ultima legge di bilancio, che prevede una riduzione di 4 punti dell’aliquota Ires – dal 24 al 20 per cento – per le imprese che investono nella produzione e assumono nuovo personale. Passando per una politica della concertazione che il governo Meloni sta portando avanti, e che contempla la riduzione del cuneo fiscale, rilanciano interventi massicci e mirati che hanno l’obiettivo non solo di alleggerire il carico sui lavoratori a basso e medio reddito. Ma anche di stimolare l’occupazione. E gli ultimi dati Istat, sul fronte occupazionale, parlano chiaro…
Landini e la mossa sindacal-elettorale (al netto della smentita di una discesa in campo)
Insomma, parlare di “restituzione” quando ingenti risorse sono già state mobilitate per alleggerire la pressione fiscale è quantomeno discutibile (per non dire “disonesto intellettualmente”). Inoltre, la mancata indicizzazione degli scaglioni, lungi dall’essere un mero “furto”, è in parte un effetto indotto da una battaglia, quella contro la spirale inflazionistica, che ha richiesto e richiede ancora sacrifici. La priorità non può essere l’immediato e utopico conguaglio, ma una riforma strutturale e organica che il governo ha già messo in cantiere. E non certo le estemporanee “mance” richieste dal sindacato…
Pertanto, la richiesta di Landini appare un ennesimo specchietto per le allodole. Un tentativo di soffiare sul fuoco del malcontento popolare in vista della manifestazione già annunciata di ottobre. L’obiettivo? Cavalcare il disagio sociale per fini che sembrano sempre più politici che meramente sindacali, nonostante le smentite di una discesa in campo nel 2027. Non a caso, sulla manifestazione decisa da tempo dalla Cgil, Landini sottolinea che l’obiettivo è evidenziare «che l’Italia reale fatica ad arrivare a fine mese. Che c’è troppa precarietà… E che c’è chi non ha i soldi per curarsi e nemmeno per andare al mare».
Il solito slogan propagandistico di una patrimoniale (neanche tanto mascherata)
Perché «non bastano ritocchi dell’Irpef – insiste Landini – serve una riforma strutturale del fisco a favore del lavoro. I soldi – spiega – si trovano dove ci sono: lotta all’evasione e tassazione progressiva di patrimoni, rendite e profitti». E così, riecco spuntare, neanche tanto in sordina, la solita ricetta massimalista: “Tassare i più (o più o meno) abbienti. Sì, perché la parte più preoccupante dell’intervista è la solita, stanca litania sulle coperture finanziarie. Dove trovare i 24 miliardi? La risposta, che arriva direttamente dalla più obsoleta delle dottrine economiche di sinistra, è: «lotta all’evasione e tassazione progressiva di patrimoni, rendite e profitti». Come se Landini ignorasse che la lotta all’evasione è una priorità di ogni esecutivo (e i risultati si vedono, anche in quest’ultima fase) ma non può essere la sola cassaforte su cui fare affidamento per miliardi di spesa corrente.
Proposte e ricette per un futuro incerto?
Ma soprattutto, l’insopprimibile desiderio di tassare i patrimoni e le rendite rivela la vera anima del sindacalismo rosso: un massimalismo ideologico che punta a punire la proprietà e l’impresa con il ciclico ritorno di una patrimoniale “mascherata” (ma poi neanche tanto). Tralasciando il fatto che tassare rendite e profitti significa disincentivare gli investimenti: Penalizzare il risparmio. E, in ultima analisi, frenare la crescita economica.
Eppure, sempre nell’intervista, Landini si dice pronto a convergere con Confindustria su alcune tematiche: «Possiamo convergere su fisco, politiche industriali, costo dell’energia da ridurre e stop ai sussidi indiscriminati. Ma c’è un punto dirimente: rinnovare i contratti nazionali, a partire da metalmeccanici e tlc, smantellare i subappalti, cancellare i contratti pirata ed estendere le elezioni dei delegati alla sicurezza in tutti i luoghi di lavoro, fino a una legge sulla rappresentanza». Da un lato, insomma, apre a una sorta di “dialogo”. Ma dall’altro, allo stesso tempo, pone condizioni irricevibili. Parole in codice per mascherare un’ideologia che rischia di ingabbiare l’impresa e frenare lo sviluppo.