
Crociata sinistra
Landini arruola i lavoratori nella guerra alla Meloni: “Lo sciopero pro-pal è politico”(Video)
Dal richiamo al 1943 alle accuse di “genocidio”: il segretario piega la Cgil alla propaganda su Gaza e dimentica salari, contratti e fabbriche
Maurizio Landini a Omnibus su La7 ha offerto l’ennesima prova di quanto la Cgil sia ormai più vicina a una sezione politica che a un sindacato. Il segretario generale ha paragonato lo sciopero del 1943 contro il fascismo e la guerra mondiale allo sciopero proclamato per Gaza. Un accostamento che urla forzatura: allora l’Italia era sotto occupazione nazista, i lavoratori rischiavano la vita per opporsi a un regime che li schiacciava; oggi Landini trascina i metalmeccanici nella contesa israelo-palestinese, una guerra che non ha nulla a che vedere con i diritti sindacali.
Il falso mito dello “sciopero per la pace”
Landini ha sostenuto che «senza pace non esistono i diritti del lavoro». Ma il suo sillogismo è ingannevole: i diritti dei lavoratori non dipendono dall’interruzione delle ostilità in Medio Oriente, bensì da riforme interne, da contratti equi, da relazioni industriali solide. Richiamare Gaza per giustificare un fermo generale equivale a usare la tragedia altrui come pretesto.
La retorica “landiniana”
Il segretario Cgil ha parlato di «sterminio» a Gaza e di «deportazione». Parole pesanti, che evocano Auschwitz e la Shoah. Ma qui la storia si piega alla propaganda. Israele non sta deportando un popolo: sta conducendo un conflitto durissimo dopo il massacro del 7 ottobre, quando Hamas ha assassinato civili israeliani in casa propria. E in tutto ciò, il governo Meloni, ha già condannato le azioni sproporzionate del governo Netanyahu nella Striscia e si è sempre dichiarato per la soluzione “due popoli, due Stati”. Landini però tutto ciò evita di ricordarlo: cancella il contesto, esagera i termini, piega il diritto internazionale alla sua narrativa.
L’Onu e il gioco delle parole
Landini ha citato le denunce Onu sul «genocidio». Ma anche qui la realtà è diversa: all’Onu convivono stati democratici e dittature (si pensi solo all’Iran, alla Cina, al Venezuela), e il termine viene agitato spesso come clava politica. La giustizia internazionale non si misura in talk show, ma nei tribunali competenti. Un sindacalista dovrebbe saperlo, invece di farsi megafono delle risoluzioni più faziose.
Le sanzioni a geometria variabile
Quando si tratta di Putin, Landini approva le sanzioni. Quando si tratta di Israele, invoca il boicottaggio totale: «basta armi, basta commercio». Coerenza vorrebbe che ricordasse la differenza: Mosca ha invaso uno Stato sovrano; Israele risponde a un attacco terroristico. Equiparare le due vicende significa ignorare la realtà geopolitica e fare il gioco di chi vorrebbe cancellare Israele dalla carta geografica.
La deriva del sindacato politico
Landini rivendica apertamente lo sciopero come «politico». È la confessione che mancava: non si tratta di salari, non si tratta di contratti, non si tratta di fabbriche. Si tratta di usare i lavoratori come truppe della marcia ideologica. E mentre l’esecutivo si adopera a risolvere l’occupazione, la precarietà e il carovita come problemi concreti, la Cgil preferisce ergersi a paladina di Gaza.
La vera conseguenza
Così Landini sposta il sindacato fuori dal suo campo naturale e la protesta diventa militanza. Scelta, questa, che rischia di alienare migliaia di iscritti che non si riconoscono in questa torsione attivista. Perché un conto è difendere i diritti degli operai, altro è sventolare la bandiera palestinese per le strade di Roma o Milano.
Il sindacato che si appropria di guerre lontane smette di essere sindacato. Diventa partito. E in questo caso, partito di una sola parte.